fondazione Mida

Siamo lieti di pubblicare

"ALLEVARE IL CRATERE. STORIE DI PASTORI E ALLEVATORI DAL 1980 A OGGI",

il rapporto di ricerca 2022 dell'Osservatorio sul Doposisma e del CERVENE, curato da Simone Valitutto.

Il testo in formato pdf è scaricabile liberamente a fondo pagina nella sezione Download allegati, in formato pdf, cliccando sul titolo.

Pubblicato in Chi Siamo

PUBBLICHIAMO NEL GIORNO DELLA MORTE DI CIRIACO DE MITA UN'INTERVISTA RIMASTA INEDITA E DATATA 30 DICEMBRE 2019, A CURA DI STEFANO VENTURA.

 

Intervista a Ciriaco De Mita

30 dicembre 2019

Ciriaco De Mita è un signore del 1928, conosciuto a livello nazionale per aver svolto ruoli di primissimo piano nella politica italiana, come la Presidenza del Consiglio nel 1988 e la segreteria DC tra il 1982 e il 1989.

Ha sempre avuto un ruolo politico ed elettorale forte in Campania, fino alle elezioni più recenti, anche se non può essere identificato con un partito nazionale: si potrebbe dire che è di centro, la testimonianza vivente di quel modo di dire di tanti anni fa: “moriremo democristiani”.

Questa forza politica e questo seguito si deve a un’azione politica di lungo corso che però ha un chiaro carattere clientelare, basato sulla gestione di posti di lavoro nella pubblica amministrazione, nella sanità e nei rapporti con quegli imprenditori parassiti e fedeli a lui prima ancora che ai partiti o alle idee.

Oggi è sindaco di Nusco, al secondo mandato dopo essere stato eletto nel 2014.

De Mita ha presieduto a lungo anche il comitato dei sindaci che si occupa della Strategia Nazionale Aree Interne e raggruppa 25 comuni dell’Alta Irpinia.

Per gli irpini De Mita non è solo questo: è molto di più. Ci sono pagine, post, fotomontaggi che ancora oggi girano sul web spesso e ironizzano sul “grande G” (Giriago è la pronuncia nuscana che rimanda alla parlata dello stesso De Mita). Dobbiamo questa definizione alla pagina Irpinia Paranoica, ormai un punto di riferimento per gli irpini di Facebook, gestita proprio da un nuscano.

E’ il 30 dicembre 2019. Mentre trascorro a Teora, mio paese d’origine, le vacanze natalizie, riesco ad ottenere un appuntamento per le 15 con Ciriaco De Mita grazie alla mediazione della vicesindaco di Teora che De Mita considera «una di famiglia».

A Nusco c’è neve, la giornata è stata fredda e con nevicate gelide a tratti. La villa è circondata da mura e con un cancello blindato. Le visite a questa villa sono un fatto consueto e di dominio pubblico, soprattutto per l’8 agosto, ricorrenza di San Ciriaco. Per me è la prima volta però.

Ci accolgono due signore che ci fanno passare nel tinello. Vicino al fuoco troviamo il Presidente, come tutti lo chiamano.

Si svolgono le presentazioni di rito e gli dono tre miei libri. De Mita si aspetta che io voglia scrivere un libro su di lui. Lo correggo dicendo che il tema sarà il terremoto.

Basta con il terremoto, fra poco sono quarant’anni. Non vedo cosa ci possa essere di interessante, di memorie e storie ne sono state raccontate ormai tante e ogni volta si ripetono le stesse cose”.

Però subito dopo inizia la sua riflessione. Un evento così in Italia non c’è stato quasi mai. La forza fu spaventosa. Nusco è in alto e di solito la faglia le passa sotto senza toccarla, infatti nella storia è rimasta abbastanza intatta. Ma in quella occasione le case non sono cadute: sono state segate a metà, quindi il terremoto si è fatto sentire nella parte che va verso l’Ofanto dove la qualità delle case era più fatiscente e non ha avuto effetti nella strada che va verso Ponteromito. La casa in cui siamo è stata costruita nel 1972 circa e ha resistito.

Quello che il Presidente sottolinea fu l’impreparazione totale, fu sottovalutato.

De Mita ricorda che era in prefettura e chiamò a Roma, il ministero dell’Interno allora era il responsabile e dissero: “oggi dite così ma vedrete che poi domattina andremo a vedere e ci direte che non è successo niente”.

Invece lui sentiva che soprattutto in Alta Irpinia c’erano problemi. Chiamavano le caserme e non rispondevano, non perché non c’erano ma perché erano cadute e i militari erano morti. Un generale dell’esercito diceva che era al corrente di tutto ma in realtà mentiva.

Alle sei di mattina arrivò a Lioni, vide le case piegate ma non crollate; incontrai il sindaco che mi diceva che non era successo niente, gli chiesi cosa facesse in quel punto e mi disse che lì sotto c’era la moglie, morta: era in evidente stato di shock, un altro signore anche era sulle macerie e scavava per salvare la moglie.

Chiamò il responsabile dei Vigili del Fuoco che disse di chiamare Roma e far inviare i vigili del fuoco e mi diede un numero: 4478. Gli chiesi il perché di quel numero e mi disse che quelli erano tutti gli effettivi a disposizione, poiché ci sarebbe stato bisogno di tutti, visto il disastro che era successo.

Poi il volontariato fu enorme, arrivò di tutto: cibo, aiuti, volontari da tutte le parti.

De Mita passa poi a parlare del lungo periodo del doposisma.

La ricostruzione fu, a suo parere, tra le meno costose (quella edilizia e urbanistica), anche perché prima non c’era nulla, le case erano molto malmesse.

Soprattutto in area rurale ci sono abitazioni dignitose, anche se due cose non gli sono mai piaciute: il marmo utilizzato all’esterno, perché appesantisce, non è sicuro e perché per la neve è scomodo, si guasta e si scivola. Seconda cosa: gli arredamenti degli interni, di cattivo gusto.

Gli investimenti hanno migliorato la vita della gente irpina. L’idea degli interventi industriali è stata una richiesta della “gente di qua”, dice lui, dei sindaci. Oggi molti preferiscono stare in Irpinia a emigrare perché quello che guadagnano, seppur a volte più basso della media, è al netto di spese, perché molti hanno casa di proprietà. Si è passati dall’essere contadini a operai, i posti creati sono stati notevoli. Prima l’agricoltura voleva dire grano, e nella mentalità significa fatica e poca resa. Però c’era anche la frutta, e di qualità, solo che questa poi si è persa ed è un peccato. A parte le zone alte, sopra i 600-700 metri di altitudine, poi ci sono tanti paesi che sono ricchi di acqua e dove le coltivazioni potevano rendere bene.

Quella del vino è una storia positiva, indipendente dal terremoto, le produzioni di qualità ci sono e ci sono molte zone favorite anche dall’esposizione al sole.

A proposito di vino, De Mita mi ha raccontato un aneddoto su un dottore di Luogosano che ha un terreno ben esposto al sole dove si produce un vino buonissimo e che lo regalò a suo padre).

Intervengo per chiedere quali furono i criteri che guidarono il piano di sviluppo industriale (venti aree industriali, circa 15mila posti di lavoro da creare con circa 2500 aziende) e come poi si svolse la scelta delle aziende per le aree industriali.

De Mita risponde che la procedura era molto raffinata; fu creata una commissione mista con a capo un delegato scelto da Confindustria. Per partecipare ai bandi bisognava dimostrare di avere immediata liquidità e capacità imprenditoriale, perché bisognava anticipare una discreta somma. Poi la commissione incrociava le richieste con le possibili destinazioni e poi si veniva ammessi al contributo, ma le aziende furono davvero tante.

Anche su questo punto De Mita vede il bicchiere pieno, quindi. Anche se i dati demografici e occupazionali di oggi dicono ben altro.

 

Il problema è stato inserire Napoli nella ricostruzione perché molte delle case di Napoli non c’entravano molto con la ricostruzione. De Mita lo disse da subito, scontrandosi con Zamberletti che volle portare a Napoli il commissariato in un hotel mentre doveva stare ad Avellino perché qui c’era stato il terremoto, portandolo a Napoli si sarebbe dirottata la ricostruzione. Il fatto è che a Napoli c’erano tutti i partiti rappresentati in Parlamento: in Irpinia c’erano solo i democristiani, secondo una sua lettura abbastanza sbrigativa.

I comuni inizialmente terremotati erano quelli dell’Alta Irpinia. Poi, dopo la scossa di febbraio 1981 furono inseriti tutti quelli della provincia di Avellino, che erano 119, ma inserire 687 comuni per quasi 7 milioni di abitanti fu effettivamente un errore.

L’attacco alla ricostruzione fu politico: il presidente della commissione che poi divenne presidente della Repubblica era un ipocrita moralista, non poteva fare la morale sul terremoto ad altri.

Sono molte le vicende che si accavallarono tra il 1988 e gli anni della caduta della Prima Repubblica, De Mita le ripercorre brevemente attraverso alcuni episodi che testimoniano un orgoglio di parte rispetto all’operato personale e di partito.

Tra questi episodi cita quando nel 1995 o 1996, in un incontro ad Avellino, il direttore del Giornale e il direttore del Mattino di allora chiesero scusa insieme per gli scandali giornalistici degli anni precedenti, ma questa cosa passò sotto silenzio.

Domando quale sia stato il ruolo della scuola in questi anni di ricostruzione.

Per De Mita il problema della scuola è stato quello di aver voluto creare omogeneità, rendere tutti uguali, abbassare i livelli senza premiare le eccellenze. I licei anche attualmente hanno una buona qualità, ma si sono create tante scuole tecniche, per geometri e ragionieri e manca una scuola di avviamento professionale che impieghi subito i ragazzi, un po' com’era l’idea di don Giovanni Bosco nel Nord. Qui è mancata l’istruzione professionale vera. C’era l’idea di spostare da Avellino in Alta Irpinia l’Agrario di Avellino, perché qui c’era potenziale interesse, ma non ci si riuscì.

Il tentativo di aprire un indirizzo agrario, settore produzioni e trasformazioni, a Calitri, è stato palesemente osteggiato da De Mita, in contrapposizione al sindaco di Calitri, Di Maio, e all’allora preside del Liceo, Gerardo Vespucci.

Il giudizio complessivo sui quarant’anni di ricostruzione è positivo, la situazione della gente qui è notevolmente migliorata, il tenore di vita complessivo è notevole.

Il tema successivo sul quale stimolo la sua riflessione è quello della salute e dei servizi sanitari, ma per lui non è un tema di potenziale interesse rispetto al terremoto.

Il problema è la gestione sanitaria e il ridimensionamento che premia Napoli, gli ospedali devono essere gestiti da medici e non da cretini e incapaci. Ci sono esempio di ospedali che fanno interventi chirurgici all’avanguardia, non vanno inseriti negli ospedali tanti operatori che non fanno niente e poi mancano i sanitari, va chiesto ai medici di organizzare le cose.

All’ospedale di S. Angelo dei Lombardi mancano i primari, quindi i pazienti vanno direttamente ad Avellino perché sanno che a S. Angelo non possono curarsi.

Purtroppo con la pandemia da Covid-19, scoppiata due-tre mesi dopo la nostra chiacchierata, I limiti e lo sfacelo del sistema sanitario territorale è stato dimostrata dalla mancanza di posti di terapia intensiva in un’area di tanti paesi e molto estesa, solo per dirne una.

Siamo ai saluti, dopo circa un’ora e mezza di chiacchierata. Non ci diamo altri appuntamenti, se non quello dell’anniversario del terremoto. De Mita dice che per il quarantesimo bisogna puntare alla visione futura senza ripercorrere le solite cose.

Vado via pensando che un politico di anni con la sua visione lucida oggi in giro non c’è. Tuttavia non mi ha convinto per niente la sua lettura assolutoria e positiva di una ricostruzione costata più di 32 miliardi di euro.

 

Pubblicato in Chi Siamo

Nel giorno del quarantennale del sisma del 1980 che colpì persone, animali, case, paesaggi, l’Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MIdA ha organizzato per lunedì 23 novembre 2020 a partire dalle ore 9.30 il seminario “Terremoto 1980 – 2020. Ricordare per costruire”. Il seminario è inserito nell’ambito del Corso di Perfezionamento in Disaster Management in Sanità Pubblica voluto e organizzato dal Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni animali, il CeRVEnE e l’Associazione Nazionale Disaster Managemen (ASSODIMA).

Al seminario parteciperanno alcuni degli autori della pubblicazione edita dalla Fondazione MIdA “Terremoto 20+20. Ricordare per costruire”, un volume prezioso, curato dal coordinatore dell’Osservatorio, Stefano Ventura. Il volume raccoglie alcuni saggi già apparsi nei dossier curati dall’Osservatorio sul Doposisma dal 2010 ad oggi e aggiunge altre riflessioni più recenti, con il contributo di diversi settori (antropologia, ingegneria, medicina veterinaria, storia sociale).

Dopo i saluti di Raffaele Bove, direttore del CeRVEnE, presenteranno i risultati delle loro ricerche e le loro riflessioni sull’evento che colpì una vasta area dell’Appennino meridionale con effetti devastanti soprattutto in Irpinia e nelle zone adiacenti delle province di Salerno e Potenza.

Stefano Ventura, coordinatore dell’Osservatorio sul Doposisma e scrittore, Simone Valitutto, antropologo e studioso di sistemi festivi e rituali, Salvatore Medici, giornalista e scrittore, Raffaele Tarateta, ingegnere e consigliere della Fondazione MIdA, hanno approfondito, scavato a 40 anni dal sisma del 1980 tra le macerie “invisibili”, volgendo uno sguardo al futuro dei territori e delle comunità che li abitano.

Seguiranno gli interventi di Stefano Fabbri e Graziano Ferrari, ideatore di Terragiornale che ripercorre la storia geofisica dell’Italia attraverso delle «breaking news». Le conclusioni sono affidate al presidente della Fondazione MIdA, Francescantonio D’Orilia.

Il seminario verrà trasmesso in diretta sul sito e sulla pagina Facebook della Fondazione MIdA.

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Giovedì 20 Agosto 2020 15:59

TERREMOTO 20+20. RICORDARE PER RICOSTRUIRE

A quarant'anni dal terremoto del 1980, in tempi di nuova e diversa emergenza, abbiamo il dovere di commemorare la tragedia e il diritto di interrogarci su cosa è successo. Per farlo è necessario approfondire, scavare tra le macerie invisibili rimaste in tanti anni di doposisma. Ricostruire non vuol dire solo sanare le ferite fisiche e materiali dei luoghi terremotati o di un sistema economico in difficoltà ma anche pensare alle comunità, al sentimento dei luoghi, alla felicità interna lorda. L’Osservatorio sul Doposisma ha prodotto dal 2010 a oggi vari rapporti di ricerca, convegni, festival, concorsi creativi ed eventi, cercando di mettere in pratica la visione prospettica del futuro affondandola nelle radici di speranza emerse dalle macerie del 1980.

 

INDICE

 

Presentazione di Rosa D’Amelio, Presidente del Consiglio Regionale della Campania

 

Introduzione, di Antonello Caporale, giornalista del Fatto Quotidiano e ideatore dell’Osservatorio sul Doposisma

 

Parte 1

 

CAPITOLO 1. Terremoti e gestione delle emergenze. L’esperienza del 1980, di Stefano Ventura;

 

CAPITOLO 2. Oltre l’Atlantico. Terremotati, migranti, Italian-Americans a New York, di Manuela Cavalieri

 

CAPITOLO 3. La cattiva ricostruzione. Da dove ripartire dopo quarant'anni? di Simone Valitutto

 

CAPITOLO 4. Passarono gli anni e il nuovo non venne. Dopo il terremoto, le fabbriche, di Pietro Simonetti e Stefano Ventura

 

CAPITOLO 5. Etnografia di una ricostruzione. Fiducia e mutamenti sociali in una comunità irpina di Teresa Caruso

 

CAPITOLO 6. Rischio sismico, prevenzione e gestione dell’emergenza. Aspetti normativi e tecnico-amministrativi, di Raffaele Tarateta

 

Parte 2.

 

CAPITOLO 7. Il CERVENE (Centro Regionale di Riferimento Veterinario per le emergenze non epidemiche), presentazione e attività, di Raffaele Bove - Salvatore Medici

 

CAPITOLO 8. La nascita della disastrologia veterinaria e l’esperienza di Adriano Mantovani, di Raffaele Bove e Nicola Amabile

 

 

Postfazione. Osservare il doposisma

 

Appendice fotografica

 

Il libro è disponibile al MIDA STORE alle Grotte di Pertosa e Auletta e presto sarà disponibile sui principali bookstore per l'acquisto online.

 

PER INFORMAZIONI:

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Venerdì 31 Luglio 2020 09:09

TERREMOTO 20+20. RICORDARE PER RICOSTRUIRE

A quarant'anni dal terremoto del 1980, in tempi di nuova e diversa emergenza, abbiamo il dovere di commemorare la tragedia e il diritto di interrogarci su cosa è successo. Per farlo è necessario approfondire, scavare tra le macerie invisibili rimaste in tanti anni di doposisma. Ricostruire non vuol dire solo sanare le ferite fisiche e materiali dei luoghi terremotati o di un sistema economico in difficoltà ma anche pensare alle comunità, al sentimento dei luoghi, alla felicità interna lorda. L’Osservatorio sul Doposisma ha prodotto dal 2010 a oggi vari rapporti di ricerca, convegni, festival, concorsi creativi ed eventi, cercando di mettere in pratica la visione prospettica del futuro affondandola nelle radici di speranza emerse dalle macerie del 1980.

 

INDICE


Presentazione di Rosa D’Amelio, Presidente del Consiglio Regionale della Campania

Introduzione, di Antonello Caporale, giornalista del Fatto Quotidiano e ideatore dell’Osservatorio sul Doposisma

Parte 1

CAPITOLO 1. Terremoti e gestione delle emergenze. L’esperienza del 1980, di Stefano Ventura;

 

CAPITOLO 2. Oltre l’Atlantico. Terremotati, migranti, Italian-Americans a New York, di Manuela Cavalieri

CAPITOLO 3. La cattiva ricostruzione. Da dove ripartire dopo quarant'anni? di Simone Valitutto

CAPITOLO 4. Passarono gli anni e il nuovo non venne. Dopo il terremoto, le fabbriche, di Pietro Simonetti e Stefano Ventura

CAPITOLO 5. Etnografia di una ricostruzione. Fiducia e mutamenti sociali in una comunità irpina di Teresa Caruso

CAPITOLO 6. Rischio sismico, prevenzione e gestione dell’emergenza. Aspetti normativi e tecnico-amministrativi, di Raffaele Tarateta

Parte 2.

CAPITOLO 7. Il CERVENE (Centro Regionale di Riferimento Veterinario per le emergenze non epidemiche), presentazione e attività, di Raffaele Bove - Salvatore Medici

 

CAPITOLO 8. La nascita della disastrologia veterinaria e l’esperienza di Adriano Mantovani, di Raffaele Bove e Nicola Amabile

 

Postfazione. Osservare il doposisma

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Pubblichiamo un contributo che ci è stato gentilmente inviato da Davide Marino, laureato in Scienze Politiche, di Brenta (Varese), che negli ultimi anni si è avvicinato allo studio dei disastri italiani e dei terremoti in particolare, e che qui considera il problema della fragilità italiana di fronte ai terremoti anche alla luce dei terremoti dell'Aquila del 2009 e del Centro Italia (2016).

di DAVIDE MARINO

Negli ultimi anni ho avuto occasione di avvicinarmi al tema dei disastri naturali in Italia, in particolare ai terremoti, spinto da una considerazione: penso infatti che le politiche volte a prevenirne e gestirne gli effetti siano una cartina di tornasole efficace della cultura e della mentalità del popolo italiano, con i suoi pregi e i suoi difetti.
L’analogia con alcuni crac del mercato finanziario (di cui mi sono occupato per lavoro) degli ultimi anni è forte: è mancata, e manca, una cultura del rischio, a tutti i livelli.

Occorre cambiare la cultura del rischio nel nostro Paese. Così Fabrizio Curcio, ex capo dipartimento della Protezione civile: «La differenza la devono fare, ogni giorno, l’educazione del singolo cittadino, la nostra maggiore coscienza del rischio, la nostra maggiore conoscenza dei pericoli e dei fenomeni naturali» (Erasmo De Angelis, Italiani con gli stivali. Storia, imprese, organizzazione della protezione civile, Polistampa, Firenze 2016, pag. 5). Un appello all’assunzione di responsabilità a cui sono chiamati tutti i cittadini. In una democrazia rappresentativa i rappresentanti sono, nel bene e nel male, lo specchio dei rappresentati. La storia, anche quella recente, ci insegna che per risolvere i problemi di un popolo non è sufficiente sostituire la vecchia classe politica con una nuova (basti pensare al caso di Tangentopoli, nel 1992). Solo con una presa di coscienza dei suoi singoli cittadini si possono, probabilmente, ottenere risultati migliori rispetto a quelli a cui si è giunti in passato: è la sfida dei prossimi decenni!

Per questo motivo le riflessioni contenute nella lettera che segue sono rivolte al Cittadino Marino Davide (me stesso) e, di riflesso, ad ogni Cittadino italiano.
Il decimo anniversario del terremoto dell’Aquila è l’occasione per fare un bilancio di come sia stato gestito il rischio sismico in Italia negli ultimi quarant’anni con l’obiettivo di individuare quali passi avanti sono stati fatti e cosa poteva essere fatto e non è stato fatto in materia di prevenzione, gestione dell’emergenza e ricostruzione. E soprattutto cercare di capirne il perché. Dal punto di osservazione del comune cittadino la sensazione e la domanda che ci si potrebbe porre riguarda il fatto che le vittime e i danni sarebbero potuti essere inferiori se si fossero attuati tutti gli accorgimenti che il progresso scientifico, pur con le sue contraddizioni, ci ha consegnato e che dovremmo esser in grado di maneggiare in maniera più proficua.
Gli innegabili progressi in tema di interventi di protezione civile si sono concentrati soprattutto per fronteggiare le emergenze conseguenti agli eventi sismici, ma non vi è stata una pari attenzione in tema di prevenzione. Si tratta di una questione culturale, di mentalità difficile da modificare: l’attuazione delle misure di prevenzione richiede una programmazione di lungo periodo e un impegno senza soluzione di continuità, i cui benefici si vedrebbero a distanza di decenni. La mentalità del “tutto e subito” e dell’intervento a fatto compiuto costituiscono senza dubbio un freno a questo salto di qualità culturale.

Come afferma Stefano Ventura nel contributo pubblicato nel Rapporto 2010 dell’Osservatorio permanente sul dopo sisma «Uno stato come il nostro, incredibilmente fragile dal punto di vista geofisico, deve dotarsi di strumenti e antidoti sia assumendo la tutela del territorio come consapevolezza primaria sia adottando strumenti di intervento super partes non piegati a interessi contingenti e temporanei» (Stefano Ventura, Trent’anni di terremoti italiani: un’analisi comparata sulla gestione delle emergenze, in: Osservatorio permanente sul dopo sisma (a cura di), Le Macerie invisibili – Rapporto 2010, (Fondazione Mida, Pertosa (SA), pag. 83, acquisito il 29/07/2018). Una fragilità del territorio cui si somma quella socio-politica e che ha come risultato quello di porre l’accento sull’emergenza e non sulla prevenzione. Una pianificazione preventiva di lungo periodo degli interventi ridurrebbe gli effetti negativi dei terremoti in termini di vite umane e di danni materiali. Permetterebbe di predisporre misure volte a limitare fenomeni come la corruzione e la speculazione, i quali trovano terreno più fertile nei momenti ad alta emotività, come lo sono quelli successivi al sisma.
La telefonata intercettata nella quale, poche ore dopo il terremoto in Abruzzo, l’imprenditore rideva col cognato per l’accaduto pregustando i lauti ed immediati guadagni che la ricostruzione avrebbe dato loro, costituiscono un esempio emblematico di questa subcultura. Un episodio che ha trovato un seguito indegno con il terremoto del Centro Italia del 2016 (Raffaello Binelli, Terremoto Amatrice, imprenditore rideva pensando ai futuri affari. Proprio come a L'Aquila, in «il Giornale.it», 19/07/2017, ultimo accesso 22/02/2019). Senza dimenticare l’abusivismo edilizio, difeso pubblicamente dagli stessi autori, e denunciato da Legambiente, che ha amplificato le conseguenze negative del terremoto di Casamicciola nell'isola d'Ischia del 2017 (Lodovica Bulian, Il dolore di Casamicciola (che difendeva l’abusivismo), in «il Giornale.it», 23/08/2017, ultimo accesso 22/02/2019). O il crollo della scuola Francesco Jovine di San Giuliano di Puglia che nel 2002 provocò la morte di 27 bambini e un’insegnante a causa di una sopraelevazione dell’edificio scolastico, costruita poco prima del terremoto, per la quale, come ha sentenziato la magistratura, non erano stati effettuati gli adeguati collaudi (Autori di Wikipedia, Terremoto del Molise del 2002, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto_del_Molise_del_2002, ultimo accesso 22/02/2019).

Del resto anche la gestione dell’emergenza può e deve essere migliorata. A proposito del terremoto del Centro Italia l’on. Giuseppe Zamberletti, padre fondatore della Protezione civile venuto a mancare il 26 gennaio scorso, argomentava che la gestione della prima fase dell’emergenza, in sintesi il primo soccorso, aveva funzionato perfettamente. Era, però, mancata la gestione della seconda fase: l’emergenza non si esaurisce estraendo le persone dalle macerie, ma arriva fino al reinsediamento della popolazione in alloggi provvisori e alla ripresa della vita economica e sociale. In questo senso rispetto, ad esempio, alla gestione dell’emergenza in Abruzzo è stato fatto un passo indietro (Stefano Mensurati, Ricordo di Zamberletti, in «Tra poco in Edicola», Rai Radio 1, 29/01/2019, ultimo accesso 26/02/2019).

Proprio nella fase più delicata, quando cala l’eco mediatica e l’impulso spontaneo ad aiutare le popolazioni e le aree in difficoltà si allenta, la presenza di una legge quadro sulle emergenze contribuirebbe a gestire le fasi successive al primo soccorso in maniera più razionale e coordinata. Aiuterebbe le popolazioni colpite dal terremoto a guardare al futuro con più fiducia, requisito fondamentale per pianificare nel lungo termine.
Un’adeguata prevenzione e un’efficiente gestione dell’emergenza rappresentano elementi basilari per mitigare gli effetti negativi dei terremoti fino quasi ad azzerarli, in questo modo favorendo una più rapida e meno costosa ricostruzione materiale e sociale. All’indomani del terremoto di Campania e Basilicata del 1980, in una relazione indirizzata al Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il prof. Franco Barberi scriveva: «È in generale possibile intervenire su una vecchia costruzione per ottenere che la sua sicurezza sia paragonabile a quella di una nuova costruzione eseguita secondo le norme oggi vigenti; ma il costo di tali interventi è maggiore dell’extra-costo di una progettazione antisismica fatta all’origine. Una stima di larga massima conduce a ritenere che intervenire oggi sul patrimonio edilizio esistente nelle zone sismiche italiane per ottenere una sicurezza sismica omogenea comporterebbe un intervento dell’ordine di 40.000 miliardi. Si tratta di un investimento imponente che deve essere verificato con ricerche sulla consistenza effettiva del patrimonio edilizio ed affinando le tecniche di intervento già oggi disponibili. Deve essere tuttavia detto chiaramente che il non affrontare questo problema significa adottare una decisione precisa: la situazione di regime sarà raggiunta aspettando che le vecchie costruzioni in zona sismica vengano distrutte dai futuri terremoti, quando non saranno demolite dall’uomo per altre ragioni. Questa decisione ha un costo sociale immenso. Adottarla di fatto, attraverso la politica dello struzzo, non è degno di una classe dirigente responsabile» (Andrea Barocci, Rischio sismico, Grafill, Palermo 2015, pag. 44).

Oggi, più di allora, esistono gli strumenti per valutare i costi e i tempi necessari per realizzare un simile progetto. Ciò che sembra ancora mancare è la volontà, o meglio la mentalità. La “politica dello struzzo”, denunciata dal prof. Barberi nella sua relazione, è un retaggio culturale del nostro Paese difficile da estirpare: prima gli sconvolgimenti politici di inizio anni novanta (Tangentopoli), poi la crisi economica del 2008 hanno confermato l’incapacità delle componenti politico-sociali ed economiche di perseguire una linea comune di lungo periodo, l’unico vero modo per poter ideare ed attuare la messa in sicurezza del nostro patrimonio edilizio. In questo contesto il cittadino deve assumere un ruolo attivo, non subire passivamente le decisioni della classe dirigente, peraltro divisa, ma contribuire a creare l’unità di intenti, alla cui base c’è la condivisione dei valori, indispensabile per pianificare un futuro nel quale il prossimo terremoto non sarà vissuto come un dramma dalle conseguenze ineluttabili. L’alternativa è quella di proseguire a gestire bene l’emergenza in conseguenza di un terremoto grazie all’operato di un sistema di protezione civile all’avanguardia, senza però analizzare a dovere in quale misura un’appropriata pianificazione avrebbe permesso di impiegare le stesse forze in via preventiva, evitando o diminuendo, in molti casi, vittime e danni materiali.

In questo contesto Io, in qualità di cittadino, cosa posso fare concretamente?
Nell’estate del 2017 mi trovavo ad Orvieto, comune in provincia di Terni classificato in zona sismica 3, un’area marginalmente colpita dal terremoto del Centro Italia: chiesi ad un albergatore se il sisma avesse causato danni economici all’attività commerciale e mi rispose di sì, addebitando la colpa ai mass media, rei di “scrivere troppo” sul terremoto. Io Cittadino ho il dovere di informarmi, Io Cittadino ho il diritto di essere informato. E i mass media hanno il compito di informare. Io Cittadino devo e voglio conoscere cosa si intende per rischio, cosa posso fare per ridurlo, quanto rischio se non metto in atto le misure atte a limitarlo. Non voglio “nascondere” la realtà e non voglio che mi venga nascosta: temere di rivelarla perché si pensa possa avere effetti negativi non fa altro che acuirli.

Pubblicato in Chi Siamo
Lunedì 04 Febbraio 2019 18:27

La protezione civile e Zamberletti

E' uscito su LAVORO CULTURALE (www.lavoroculturale.org) un articolo di Stefano Ventura che parla di Giuseppe Zamberletti, morto pochi giorni fa all'età di 85 anni. Lo ripubblichiamo qui.

La morte di un uomo politico di spicco può essere accompagnata da aridi elenchi di incarichi governativi e ministeriali. Nel caso di Giuseppe Zamberletti, morto il 26 gennaio a Varese all'età di 85 anni, le cose sono andate diversamente. La sua figura si è legata a doppio filo con la protezione civile italiana (possiamo scriverla sia in minuscolo, intendendo la categoria di riferimento, sia in maiuscolo, intendendo l'istituzione vera e propria, che Zamberletti ha fortemente voluto e contribuito a creare).

Zamberletti era un democristiano, fu eletto alla Camera nel 1968 e sin da subito si impegnò sul fronte della difesa civile (http://storiaefuturo.eu/i-terremoti-italiani-dopoguerra-protezione-civile/), lavorando a un disegno di legge che già dal 1970 si occupava di “norme sul soccorso alle popolazioni colpite da calamità” (legge n. 996). Quando però avvennero due terremoti dagli effetti significativi, in Friuli nel 1976 (due scosse, 6 maggio e 15 settembre) e in Campania e Basilicata, il 23 novembre 1980, si scoprì che questa legge ancora non aveva i regolamenti attuativi e quindi era inefficace. Fu duro l'atto di accusa che il presidente Pertini lanciò in un appello televisivo dopo aver visitato le zone di Irpinia e Basilicata che non erano state raggiunte prontamente dai soccorsi, e il presidente si chiedeva come mai questa legge si fosse impantanata in Parlamento.

Zamberletti fu nominato commissario straordinario per gestire l'emergenza in Friuli, nel 1976. In quel caso due fattori influenzarono positivamente la gestione dell'emergenza: la presenza nella zona di numerose caserme dell'esercito, con tanti soldati di leva che furono da subito impiegati nel soccorso ai sopravvissuti e nello sgombero delle macerie, e il fatto che il Friuli fosse una regione a statuto speciale, cose che le permise di avere maggiore libertà e autonomia decisionale. I senzatetto furono ospitati nelle strutture ricettive della costa adriatica e potevano quotidianamente fare i pendolari per tornare nei propri paesi distrutti e seguire le operazioni.

Sulla scia della buona esperienza friulana, Zamberletti fu chiamato in causa dal governo Forlani anche dopo il sisma del 23 novembre 1980. Le dimensioni della catastrofe erano maggiori, la zona colpita molto più vasta così come era maggiore la massa di senzatetto da assistere. In questo caso i soccorsi non furono rapidi, i grandi convogli dell'esercito si mossero male nelle vie di accesso all'appennino campano e lucano, tenendo anche conto che molte strade e ponti erano crollati. Per arrivare alla nomina di Zamberletti, inoltre, bisognò aspettare 48 ore; il terremoto era avvenuto di domenica, il consiglio dei ministri si riunì il lunedì e solo dal martedì, il 25 novembre, Zamberletti fu operativo e prese visione della situazione nelle zone terremotate. Ora il capo dipartimento della Protezione civile è in grado di riunire l'unità di crisi nel giro di pochissime ore.

I mesi che seguirono alla scossa di novembre in Irpinia furono mesi di convulse attività, con tante criticità da gestire e numerose pressioni. Zamberletti tentò di applicare lo stesso modello organizzativo del Friuli, proponendo il “piano S”, come sgombero, per spostare i senzatetto sulla costa. Ma i terremotati non accettarono questo piano, vista anche la distanza dai villaggi costieri. Allora Zamberletti avviò una lunga e metodica fase di ascolto delle comunità terremotate, stabilendo un rapporto diretto coi sindaci ma non rifiutando nemmeno il confronto con le assemblee dei terremotati e dei volontari, che avevano creato i “comitati popolari”. L'idea che sbloccò la confusione iniziale fu quella di gemellare ogni comune terremotato a una regione, provincia o città metropolitana, ma anche alle altre nazioni, in modo da razionalizzare gli interventi dei volontari che stavano arrivando in maniera cospicua nelle zone colpite portando ingenti quantità di beni di prima necessità. Inoltre, ad ogni sindaco il commissario affiancò un generale dell'esercito per coordinare gli scavi, la rimozione dei cadaveri e delle macerie, la collocazione delle tendopoli e delle mense da campo.

Il piglio decisionista e la grinta del commissario gli valsero anche qualche critica, in particolare da alcuni politici locali che vedevano in parte minacciata la loro funzione e accusarono Zamberletti di aver posizionato il suo commissariato a Napoli invece che nei capoluoghi più prossimi all'epicentro. L'impegno profuso in Irpinia e la vasta esperienza sul campo gli valsero la nomina a ministro senza portafogli nel 1982; nel frattempo grande emozione aveva suscitato nel giugno 1981 l'episodio di Vermicino, con la caduta in un pozzo del piccolo Alfredino Rampi. Anche se ormai la necessità di una legge per la Protezione civile era un dato di fatto, il percorso di approvazione fu lungo e accidentato e si concretizzò solo nel 1992, per una serie di problemi legati al ruolo istituzionale (la sovrapposizione di funzioni tra il ministro per la Protezione civile e il ministro dell'Interno).

Dal 1992 in poi si sono succeduti vari capi di dipartimento della Protezione civile: Franco Barberi, Guido Bertolaso, Franco Gabrielli, Fabrizio Curcio e Angelo Borrelli. E' cambiata molto la linea di intervento e anche i modi di comunicare, passando dalla centralità che Zamberletti dava al coordinamento delle forze di soccorso e intervento alla linea di “comando e controllo” che il Metodo Augustus ha introdotto negli anni Duemila. Se ad esempio i volontari del 1980 potevano vivere e condividere la realtà dei terremotati, facendo nascere iniziative spontanee e improvvisate, i volontari a L'Aquila nel 2009 erano inseriti in un sistema rigido, nel quale anche le tendopoli avevano regolamenti precisi da rispettare.

Insomma, se è vero che in emergenza non può esserci democrazia, perché bisogna decidere presto e bene, un conto è farlo senza ascoltare i diretti interessati, altro è ascoltare e tornare anche indietro rispetto a decisioni impopolari e inefficaci (quello che Zamberletti fece sullo sgombero in Irpinia). Anche per le polemiche legate a un ruolo ingigantito e abnorme della Protezione civile è intervenuto nel 2018 il Codice della Protezione civile (http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/il_codice_di_protezione_c.wp), un testo unico nato con l'obiettivo di semplificare le norme e renderle più comprensibili, anche con l'obiettivo di una “maggiore consapevolezza dei rischi e alla crescita della resilienza delle comunità”.

Zamberletti ha ricoperto per diversi anni la carica di presidente emerito della Commissione Grandi rischi (http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/commissione_grandi_rischi.wp), anche perché una delle sue intuizioni fu quella di dare spazio alla scienza in un ruolo attivo di supporto alla macchina istituzionale non solo nelle emergenze ma anche potenziando la prevenzione. Nel processo a carico della commissione Grandi Rischi per le rassicurazioni espresse poco prima del terremoto dell'Aquila del 2009 Zamberletti non fu coinvolto perché assente alla riunione incriminata.

Tornando alla prevenzione, è stata questa uno dei pallini di Zamberletti, unita a una consapevolezza matura che fare prevenzione è impossibile senza una cospicua impegno finanziario, senza una lungimiranza politica ma soprattutto senza la coscienza e l'educazione alla cultura della prevenzione dei privati cittadini. Anche l'idea di dare peso e forza al volontariato (http://www.volontariatoepartecipazione.eu/2011/11/solidarieta-e-partecipazione-nelle-emergenze/) , strutturandolo e integrandolo a pieno nel sistema nazionale di Protezione civile, alla lunga si è dimostrata un'intuizione felice e efficace.

Bisogna quindi tener presente, come lezione fondamentale, la definizione di Protezione civile che Zamberletti esprimeva:

“la protezione civile è ogni comune che diventa caposaldo, ogni villaggio che diventa elemento attivo di protezione civile e non solo un’organizzazione centralizzata, meravigliosa, taumaturgica, che piomba sul territorio a salvare la gente quando è in pericolo. È la gente che si aiuta a proteggersi, ed a preservarsi la vita e tutelare i suoi beni” (Alma Pizzi, Se la terra trema, Il Sole 24 ore edizioni, 2006).

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Mercoledì 22 Novembre 2017 10:15

SUSSULTI. Storie di terra e umanità

In una data simbolo, il 23 novembre, a distanza di 37 anni dal sisma del 1980, il Comune di Palomonte vuole ripartire dalla bellezza. A ridare anima e dignità alle macerie, a restituire luoghi e storia alla comunità di questo paese fortemente danneggiato – non tanto da quella terribile scossa ma dalla ricostruzione post-sisma –sarà un progetto dal forte impatto emotivo e culturale: “Sussulti. Storie di terra e umanità”. Prendendo spunto da azioni di rigenerazione urbana divenute modello virtuoso a livello internazionale, come il caso di Tirana e la siciliana “Farm Cultural Park”, l’obiettivo del progetto “Sussulti” sarà quello di far diventare il paese dell’Alta Valle del Sele meta turistica di interesse nazionale, rimarginando con l’arte le ferite del terremoto, dando nuova veste agli scempi architettonici e urbanistici recenti, colorando i principali centri abitati del paese con nuove storie di terra e umanità legate tra di loro dalla speranza e dal desiderio di rinascita.

La storia del ‘900 in ogni strada

Il paese diverrà una quinta per l’esposizione dei diari autobiografici degli italiani, custoditi dall’Archivio di Pieve di Santo Stefano. Le strade, i quartieri, le frazioni del comune avranno un tema portante legato alla storia del Novecento fino ai giorni nostri (La grande Guerra, il fascismo, la rivoluzione industriale, gli anni dell’emancipazione femminile etc.).

Le premesse di una rivoluzione urbanistica e culturale ci sono tutte e saranno presentate nella sala di rappresentanza del Comune giovedì 23 novembre alle 16 alla presenza di personalità illustri e futuri partner del progetto. All’evento, coordinato dal giornalista de “Il Fatto Quotidiano” Antonello Caporale, parteciperanno: il sindaco di Palomonte Mariano Casciano, Natalia Cangi, direttrice dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, Erasmo D’Angelis della struttura di missione “Italia Sicura” della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Franco D’Orilia, presidente della Fondazione MIdA, Corrado Matera, assessore regionale allo Sviluppo e Promozione del Turismo e Maria Rita Pinto, docente di Tecnologia dell’Architettura dell’Università di Napoli “Federico II”. Concluderà l’incontro Evelina Christillin, presidente dell’Ente Nazionale per il Turismo.

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Lunedì 31 Luglio 2017 14:34

Cronache dal Doposisma

Al Palazzo dello Jesus ad Auletta (Salerno) è aperta la mostra dell'Osservatorio sul Doposisma, visitabile dal giovedì alla domenica, dalle 15 alle 19. E’ gradita la prenotazione al numero 0975 397037.

 

“La natura non conosce catastrofi”, diceva Max Frisch, scrittore svizzero. La natura segue il suo corso, a volte con sorprese meravigliose, altre volte con esiti spaventosi. Il terremoto è un evento naturale, sono le azioni dell'uomo a renderlo catastrofico nei suoi effetti.
L'Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MidA, è un piccolo gruppo di lavoro che ha come obiettivo produrre documenti e analisi utili alla discussione e al dibattito, riannodando il filo della memoria degli eventi passati con le urgenze dettate dal presente e le suggestioni poste dal futuro.
Ha preso in considerazione nel corso degli anni quello che avviene dopo un sisma, attivando un “sismografo sociale” per descrivere le trasformazioni e le persistenze che interessano una comunità colpita da un terremoto.
L'inatteso arrivo di un sisma sospinge un territorio in una sorta di tabula rasa, sulla quale bisogna essere capaci di disegnare il futuro di una comunità, reagendo ai lutti e alle distruzioni e investendo tutte le energie a disposizione. Spesso, però, questa ripartenza ha messo all'opera speculatori, approfittatori e interessi. Indagare il doposisma può quindi aiutare a evitare gli errori del passato
Il lavoro di indagine dell'Osservatorio sul Doposisma si è concretizzato attraverso vari dossier di ricerca: “Le macerie invisibili” (2010), La fabbrica del terremoto. Come i soldi affamano il Sud (2011), Lucantropi (2012), Energie dalla terra (2016) e i documentari Irpinia anno 30 d. T. (2010) e “La Basilicata nel cellulare. Memorie dal terremoto e sogni di petrolio” (2012).
Inoltre abbiamo immortalato cosa è restato e come si viveva nei paesi terremotati campani e lucani, grazie all'obiettivo di Francesco Fantini, nel 2002. Sono le foto che potete osservare in questa sala.
Abbiamo anche ospitato le foto di Daniele Lanci sul doposisma a L'Aquila dopo il 2009 (“Una notte in Italia”) e abbiamo lanciato un concorso per vignettisti che chiedeva di disegnare un bozzetto della moneta da 1 euro che avesse come tema le ricostruzioni italiane (“La satira investe nella ricostruzione”, 2010).
Si può anche intraprendere un viaggio negli effetti e nelle caratteristiche dei terremoti italiani nel corso dei secoli grazie ai Terragiornali, che illustrano in forma di brevi cronache, in forma di breaking news, i vari eventi sismici avvenuti in Italia dall'antichità fino ad oggi.
Le cronache dal doposisma sono quindi un percorso nella storia e nei luoghi che hanno conosciuto il terremoto e i suoi effetti, e nel caso italiano questo vuol dire quasi tutto il territorio nazionale, per riflettere sul fatto che la natura continuerà a seguire il suo corso, ma l'uomo può e deve conoscere e adeguarsi a quelle regole, rispettandole e ponendosi in simbiosi con esse.

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Il Filo della Memoria:racconti, storie e testimonianze

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