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Il gatto di Van, anche detto Turco van, è una razza di grande taglia, generalmente dal mantello bianco, con la coda colorata di pelo rossiccio e macchie sul capo. Narra la leggenda che quando finì il diluvio universale, Noè non riusciva a controllare l’agitazione degli animali a bordo dell’arca, e due gatti riuscirono a scappare tuffandosi in acqua e nuotando verso la terraferma. I gatti di Van, infatti, sono abili nuotatori.

La città di Van, quindi, prima di ieri a ora di pranzo, era famosa soprattutto per essere la patria di origine di questi felini. Situata nell’area sudest della Turchia, vicino al confine con l’Iran e l’Armenia, questa zona è altamente problematica dal punto di vista geopolitico, perché vicina al teatro delle lotte di rivendicazione del popolo curdo contro il governo turco. Nella notte tra il 18 e il 19 ottobre, infatti, sono stati uccisi 21 soldati dell’esercito turco come ritorsione per la cattura di diversi attivisti del PKK (il partito indipendentista curdo) e dei bombardamenti nell’area e nel nord dell’Iraq.

Il terremoto, di magnitudo 7.2 Richter, si è verificato ieri, 23 ottobre, alle 13 e 41 locali, con una forte replica (5,6 Richter) dopo circa quindici minuti. Al momento le notizie che giungono dall’area parlano di 270 morti, bilancio che è purtroppo destinato a salire.

Intanto le scosse di assestamento non si placano, rendendo più complicate le operazioni di soccorso ai terremotati. Nella città di Van risiedeva anche una famiglia italiana, originaria della Toscana, che viveva lì da tempo e aveva una piccola attività artigianale; si sono prontamente messi in salvo al momento della scossa.

Tra le tristi analogie, c’è da segnalare il crollo di un ostello destinato ad ospitare studenti universitari nella città di Ercis, come avvenne a L’Aquila nel 2009. Anche il premier turco Erdogan si è recato nell’area per visitare le città colpite, rifiutando tuttavia l’aiuto offerto da molti paesi stranieri, tra cui anche Israele.

Nel 1999 un altro forte terremoto colpì l’area nord ovest del Paese, nei pressi del Mar di Marmara, causando tra i 17mila e i 18mila morti. La penisola anatolica è infatti un’area ad altissimo pericolo sismico per la presenza di numerose faglie.

Di recente è stato pubblicato uno studio, a cura dell’Area Ricerche del Monte dei Paschi di Siena, in cui vengono illustrate in prospettiva comparata le conseguenze dei disastri sotto il profilo macroeconomico in diverse aree del mondo. Lo studio, intitolato “Una scossa al sistema. Come ricominciare”, dimostra come un disastro ha effetti piuttosto simili sulle economie nel breve periodo, ma a fare la differenza sono, nel medio e lungo termine, i precedenti livelli di prodotto interno lordo pro capite e la presenza di istituzioni pubbliche efficienti e non corrotte. Lo studio è stato pubblicato nel rapporto “La fabbrica del terremoto”, a cura dell’Osservatorio Permanente sul Doposisma.

 

(originariamente pubblicato qui)

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