Si è svolta lunedì 20 febbraio ad Avellino la presentazione del rapporto 2011 dell’Osservatorio sul Doposisma, “La fabbrica del terremoto. Come i soldi affamano il Sud”.
Sono intervenuti al dibattito Gianni Marino (Archivio Storico CGIL Avellino), Stefano Ventura (Osservatorio sul Doposisma) Francescantonio D’Orilia (presidente Fondazione MIdA), Silvio Sarno, (presidente nazionale ATECAP), Marina Brancato, (ricercatrice), Silvia Curci (operaia dell’Irisbus), Franco Tavella (segretario regionale CGIL Campania). Ha moderato l’incontro Generoso Picone (Il Mattino).
Il convegno era intitolato: “Fabbriche, sviluppo, aree interne. Come ricominciare” e ha destato molta attenzione nella stampa e negli addetti ai lavori. E’ stato riconosciuto all’Osservatorio un importante ruolo di analisi e di pro positività, così come la Fondazione MIdA ha potuto raccontare e far conoscere il proprio modello, che passa attraverso la condivisione e il “fare rete” a livello locale e nazionale, ma anche dalla valorizzazione delle ricchezze ambientali del territorio e delle energie professionali, con attenzione particolare a giovani, donne e ricerca.
In allegato la rassegna stampa e una riflessione sui temi del dibattito
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Miriam Favale si è laureata nel novembre 2011 in Scienze della Formazione all'Università di Salerno con una tesi dal titolo: Terremoto del 1980: conseguenze post-traumatiche da stress (relatore il prof. Bruno Moroncini). Riportiamo qui l'abstract che Miriam Favale ci ha inviato e, in allegato, l'indice della sua tesi.
L'Osservatorio sul Doposisma riceve spesso segnalazioni di tesi di laurea, specializzazione, di studi e attività che hanno a che fare con i terremoti e i disastri in genere. Chiunque ne avesse voglia e piacere può inviarci del materiale; noi potremmo dedicargli un articolo, creando un piccolo spazio, una vetrina in cui esporre e parlare dei propri studi e interessi; è una forma di riconoscimento e di condivisione utile a creare dibattito e approfondimento. Potete contattarci a: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .
MIRIAM FAVALE
Terremoti e conseguenze post-traumatiche da stress
In questo elaborato si intende affrontare un argomento particolarmente delicato e attuale, legato al complesso rapporto tra catastrofi naturali e loro conseguenze psicologiche, a breve, medio e lungo termine, su individui e collettività che li subiscono.
È ampiamente dimostrato dagli studi di settore, infatti, come le popolazioni colpite da eventi catastrofici debbano fronteggiare non solo i disagi materiali legati agli effetti distruttivi innescati dagli eventi stessi, ma anche, nel corso del tempo, i profondi traumi psichici derivanti dalla scomparsa dei precedenti punti di riferimento, di tipo affettivo e/o esistenziale.
La distruzione materiale di un paesaggio, intendendo il termine nel suo significato geografico e ‘psicologico’ più profondo, implica la scomparsa di un vero e proprio ‘micromondo’, dal punto di vista ambientale, culturale e percettivo. Le collettività colpite da un evento distruttivo, dunque, sono potenzialmente esposte a traumatiche trasformazioni del proprio stile di vita, con progressiva perdita di identità e valori nel corso del tempo.
Il terremoto che nel 1980 ha colpito la Campania e, in particolare, la sua subregione irpina, rappresenta in tal senso un esempio emblematico: per la sua particolare forza devastante, in un periodo storico contrassegnato dalla carenza di conoscenze in materia di strategie antisismiche e protezione civile, ha distrutto paesi e centri dell’Irpinia, sconvolgendo l’esistenza di intere famiglie, ma ha anche stravolto l’intima relazione tra un paesaggio e la sua collettività.
Il terremoto, in sé, d’altra parte, si configura come fenomeno particolarmente devastante, sia dal punto di vista materiale che immateriale. Basti considerare, a tal proposito, che la Terra, nell’immaginario collettivo, rappresenta quanto di più stabile e solido possa esserci, laddove le scosse telluriche ci ricordano con evidenza che così non è.
A partire dalla ricostruzione dei fatti riguardanti il terremoto del 1980, questo lavoro cercherà dunque di affrontare il problema della relazione tra catastrofi e coscienza collettiva di un territorio secondo due punti di vista, di tipo geografico e psicologico.
Secondo il primo punto di vista, si partirà dalla descrizione degli aspetti geografico-storici della subregione irpina, con particolare riguardo alle attuali conoscenze che i geologi hanno raggiunto sui terremoti e sul grado di sismicità di alcune aree geografiche della provincia.
A partire dal secondo punto di vista, si prenderà invece in esame il trauma psichico nella sua accezione generale, secondo le ricerche psicanalitiche di Sigmund Freud, Sandor Ferenczi e Otto Rank; in seguito l'attenzione si focalizzerà su alcune ricerche di psicologia clinica e sul cosiddetto ‘Disturbo Post-Traumatico da Stress’ che, secondo recenti studi, può insorgere nelle vittime di alluvioni e terremoti. Infine, si cercherà di mettere in risalto, con particolare attenzione, la sofferenza psicologica dei bambini vittime del disastroso terremoto irpino del 1980, testimoniata da alcuni disegni realizzati dagli stessi.
Nelle conclusioni, alla luce del caso trattato e della stretta relazione tra percezione del paesaggio e benessere psico-fisico degli individui, si evidenzierà l’importanza della pianificazione paesaggistica per la salvaguardia del territorio e delle identità geografico-culturali delle collettività che lo abitano.
È ormai noto come le modifiche paesaggistiche incidano profondamente sul senso di identità e appartenenza collettiva di una popolazione al proprio territorio.
In questo abstract, pertanto, si descriverà brevemente lo stile di vita degli abitanti dell’Alta Irpinia prima del terremoto del 1980 e si dimostreranno i cambiamenti repentini che le popolazioni hanno subìto nel post-sisma e i disagi che ancora oggi stanno vivendo.
In particolare, si punterà l’attenzione su tre paesi duramente colpiti da questo disastroso evento: Torella dei Lombardi, Conza della Campania e Bisaccia.
Si mostrerà, inoltre, come il sisma sia stato elaborato e assorbito dai bambini dei territori esaminati, attraverso l’analisi di alcuni loro disegni in tal senso emblematici.
La fabbrica del terremoto. Come i soldi affamano il Sud
L’Osservatorio permanente sul Doposisma è nato per stimolare discussione attraverso i dati, le fonti e le indicazioni che provengono dalla ricerca applicata. Lo ha fatto lo scorso anno con “Le macerie invisibili” di 30 anni di terremoti italiani, lo fa quest’anno indagando “La fabbrica del terremoto”.
Il nuovo filone di indagine ha preso in esame i condizionamenti e le dinamiche innescate nelle aree terremotate dall’intervento di sviluppo industriale programmato nella legge di ricostruzione (la 219/81) e cosa accade dopo un disastro a livello macroeconomico comparando diversi esempi internazionali. Una parte del progetto, realizzata da Lucia Lorenzoni e Nicola Zambli, è stata affidata all’Area Ricerche della Banca Monte dei Paschi di Siena; alle industrie del dopo terremoto in Campania e in Basilicata è rivolto il saggio di Pietro Simonetti (Regione Basilicata) e Stefano Ventura (Università di Siena); il rapporto include altresì uno studio antropologico di Teresa Caruso, ricercatrice dell’Università degli Studi di Bergamo, dedicato alla comunità terremotata di Caposele (AV). Completa il volume un’intervista a Gianfranco Viesti, presidente della Fiera del Levante.
Il rapporto ha come punto focale il problema del riequilibrio demografico tra l’osso e la polpa del Sud, come l’intellettuale Manlio Rossi Doria definiva le aree interne e la costa. La proposta è quella di un equo bilanciamento che passi attraverso la mobilità reticolare; un’operazione che non comporta il dispendio delle grandi opere, ma si esplica attraverso la riattivazione dei cosiddetti rami secchi delle ferrovie. Il ripristino di un sistema ferroviario efficiente è oggi l'unica possibilità per garantire una mobilità sostenibile alle aree interne ormai disabitate. Ad esse la fabbrica del terremoto ha lasciato in eredità un enorme surplus di case inutilizzate; di contro le aree costiere, sovraffollate, producono la fabbrica mangiasoldi dell’emergenza. Si tratta di uno squilibrio che restituisce un territorio ingovernabile, rendendo la vita impossibile sia a Napoli che sulle alture dell'Irpinia. Il Sud, ed è questa l’istanza fondamentale, non è affamato di soldi ma di buone e piccole opere.
La lettura del rapporto 2011 offre quindi gli strumenti di lettura e analisi su questo problema ma anche le suggestioni e possibili vie di uscita che vanno discusse e praticate, specie in questi tempi di grave crisi istituzionale e civica.
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