fondazione Mida

Lunedì 04 Febbraio 2019 18:27

La protezione civile e Zamberletti

E' uscito su LAVORO CULTURALE (www.lavoroculturale.org) un articolo di Stefano Ventura che parla di Giuseppe Zamberletti, morto pochi giorni fa all'età di 85 anni. Lo ripubblichiamo qui.

La morte di un uomo politico di spicco può essere accompagnata da aridi elenchi di incarichi governativi e ministeriali. Nel caso di Giuseppe Zamberletti, morto il 26 gennaio a Varese all'età di 85 anni, le cose sono andate diversamente. La sua figura si è legata a doppio filo con la protezione civile italiana (possiamo scriverla sia in minuscolo, intendendo la categoria di riferimento, sia in maiuscolo, intendendo l'istituzione vera e propria, che Zamberletti ha fortemente voluto e contribuito a creare).

Zamberletti era un democristiano, fu eletto alla Camera nel 1968 e sin da subito si impegnò sul fronte della difesa civile (http://storiaefuturo.eu/i-terremoti-italiani-dopoguerra-protezione-civile/), lavorando a un disegno di legge che già dal 1970 si occupava di “norme sul soccorso alle popolazioni colpite da calamità” (legge n. 996). Quando però avvennero due terremoti dagli effetti significativi, in Friuli nel 1976 (due scosse, 6 maggio e 15 settembre) e in Campania e Basilicata, il 23 novembre 1980, si scoprì che questa legge ancora non aveva i regolamenti attuativi e quindi era inefficace. Fu duro l'atto di accusa che il presidente Pertini lanciò in un appello televisivo dopo aver visitato le zone di Irpinia e Basilicata che non erano state raggiunte prontamente dai soccorsi, e il presidente si chiedeva come mai questa legge si fosse impantanata in Parlamento.

Zamberletti fu nominato commissario straordinario per gestire l'emergenza in Friuli, nel 1976. In quel caso due fattori influenzarono positivamente la gestione dell'emergenza: la presenza nella zona di numerose caserme dell'esercito, con tanti soldati di leva che furono da subito impiegati nel soccorso ai sopravvissuti e nello sgombero delle macerie, e il fatto che il Friuli fosse una regione a statuto speciale, cose che le permise di avere maggiore libertà e autonomia decisionale. I senzatetto furono ospitati nelle strutture ricettive della costa adriatica e potevano quotidianamente fare i pendolari per tornare nei propri paesi distrutti e seguire le operazioni.

Sulla scia della buona esperienza friulana, Zamberletti fu chiamato in causa dal governo Forlani anche dopo il sisma del 23 novembre 1980. Le dimensioni della catastrofe erano maggiori, la zona colpita molto più vasta così come era maggiore la massa di senzatetto da assistere. In questo caso i soccorsi non furono rapidi, i grandi convogli dell'esercito si mossero male nelle vie di accesso all'appennino campano e lucano, tenendo anche conto che molte strade e ponti erano crollati. Per arrivare alla nomina di Zamberletti, inoltre, bisognò aspettare 48 ore; il terremoto era avvenuto di domenica, il consiglio dei ministri si riunì il lunedì e solo dal martedì, il 25 novembre, Zamberletti fu operativo e prese visione della situazione nelle zone terremotate. Ora il capo dipartimento della Protezione civile è in grado di riunire l'unità di crisi nel giro di pochissime ore.

I mesi che seguirono alla scossa di novembre in Irpinia furono mesi di convulse attività, con tante criticità da gestire e numerose pressioni. Zamberletti tentò di applicare lo stesso modello organizzativo del Friuli, proponendo il “piano S”, come sgombero, per spostare i senzatetto sulla costa. Ma i terremotati non accettarono questo piano, vista anche la distanza dai villaggi costieri. Allora Zamberletti avviò una lunga e metodica fase di ascolto delle comunità terremotate, stabilendo un rapporto diretto coi sindaci ma non rifiutando nemmeno il confronto con le assemblee dei terremotati e dei volontari, che avevano creato i “comitati popolari”. L'idea che sbloccò la confusione iniziale fu quella di gemellare ogni comune terremotato a una regione, provincia o città metropolitana, ma anche alle altre nazioni, in modo da razionalizzare gli interventi dei volontari che stavano arrivando in maniera cospicua nelle zone colpite portando ingenti quantità di beni di prima necessità. Inoltre, ad ogni sindaco il commissario affiancò un generale dell'esercito per coordinare gli scavi, la rimozione dei cadaveri e delle macerie, la collocazione delle tendopoli e delle mense da campo.

Il piglio decisionista e la grinta del commissario gli valsero anche qualche critica, in particolare da alcuni politici locali che vedevano in parte minacciata la loro funzione e accusarono Zamberletti di aver posizionato il suo commissariato a Napoli invece che nei capoluoghi più prossimi all'epicentro. L'impegno profuso in Irpinia e la vasta esperienza sul campo gli valsero la nomina a ministro senza portafogli nel 1982; nel frattempo grande emozione aveva suscitato nel giugno 1981 l'episodio di Vermicino, con la caduta in un pozzo del piccolo Alfredino Rampi. Anche se ormai la necessità di una legge per la Protezione civile era un dato di fatto, il percorso di approvazione fu lungo e accidentato e si concretizzò solo nel 1992, per una serie di problemi legati al ruolo istituzionale (la sovrapposizione di funzioni tra il ministro per la Protezione civile e il ministro dell'Interno).

Dal 1992 in poi si sono succeduti vari capi di dipartimento della Protezione civile: Franco Barberi, Guido Bertolaso, Franco Gabrielli, Fabrizio Curcio e Angelo Borrelli. E' cambiata molto la linea di intervento e anche i modi di comunicare, passando dalla centralità che Zamberletti dava al coordinamento delle forze di soccorso e intervento alla linea di “comando e controllo” che il Metodo Augustus ha introdotto negli anni Duemila. Se ad esempio i volontari del 1980 potevano vivere e condividere la realtà dei terremotati, facendo nascere iniziative spontanee e improvvisate, i volontari a L'Aquila nel 2009 erano inseriti in un sistema rigido, nel quale anche le tendopoli avevano regolamenti precisi da rispettare.

Insomma, se è vero che in emergenza non può esserci democrazia, perché bisogna decidere presto e bene, un conto è farlo senza ascoltare i diretti interessati, altro è ascoltare e tornare anche indietro rispetto a decisioni impopolari e inefficaci (quello che Zamberletti fece sullo sgombero in Irpinia). Anche per le polemiche legate a un ruolo ingigantito e abnorme della Protezione civile è intervenuto nel 2018 il Codice della Protezione civile (http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/il_codice_di_protezione_c.wp), un testo unico nato con l'obiettivo di semplificare le norme e renderle più comprensibili, anche con l'obiettivo di una “maggiore consapevolezza dei rischi e alla crescita della resilienza delle comunità”.

Zamberletti ha ricoperto per diversi anni la carica di presidente emerito della Commissione Grandi rischi (http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/commissione_grandi_rischi.wp), anche perché una delle sue intuizioni fu quella di dare spazio alla scienza in un ruolo attivo di supporto alla macchina istituzionale non solo nelle emergenze ma anche potenziando la prevenzione. Nel processo a carico della commissione Grandi Rischi per le rassicurazioni espresse poco prima del terremoto dell'Aquila del 2009 Zamberletti non fu coinvolto perché assente alla riunione incriminata.

Tornando alla prevenzione, è stata questa uno dei pallini di Zamberletti, unita a una consapevolezza matura che fare prevenzione è impossibile senza una cospicua impegno finanziario, senza una lungimiranza politica ma soprattutto senza la coscienza e l'educazione alla cultura della prevenzione dei privati cittadini. Anche l'idea di dare peso e forza al volontariato (http://www.volontariatoepartecipazione.eu/2011/11/solidarieta-e-partecipazione-nelle-emergenze/) , strutturandolo e integrandolo a pieno nel sistema nazionale di Protezione civile, alla lunga si è dimostrata un'intuizione felice e efficace.

Bisogna quindi tener presente, come lezione fondamentale, la definizione di Protezione civile che Zamberletti esprimeva:

“la protezione civile è ogni comune che diventa caposaldo, ogni villaggio che diventa elemento attivo di protezione civile e non solo un’organizzazione centralizzata, meravigliosa, taumaturgica, che piomba sul territorio a salvare la gente quando è in pericolo. È la gente che si aiuta a proteggersi, ed a preservarsi la vita e tutelare i suoi beni” (Alma Pizzi, Se la terra trema, Il Sole 24 ore edizioni, 2006).

Pubblicato in Chi Siamo
Domenica 22 Novembre 2015 13:03

35 anni di lenta e difficile rinascita

di Stefano Ventura

Il 23 novembre segna l'anniversario del terribile terremoto che una domenica sera portò via 2914 irpini, campani, lucani e sconvolse la vita a centinaia di persone. Sono passati 35 anni, un periodo tale da poter considerare alle spalle la ricostruzione, ma che non ha certo sanato ferite profonde, tra contraddizioni, errori e progetti più o meno riusciti.

Come ogni anniversario, la commemorazione può e deve servire per ricordare e per valutare il percorso compiuto; molti preferiscono il ricordo privato, la dimensione intima del dolore, ma a livello pubblico bisogna interrogarsi su come le comunità interpretano e mantengono traccia di cosa è successo, degli errori e delle cose buone.

Sulla memoria del terremoto è uscito un recente saggio in un libro che parla di disastri dal punto di vista etnografico e sociologico. Di certo si alternano diverse opinioni, da quelle di chi dice: “Ancora a parlare di terremoto?” a chi grida allo scandalo totale gestito dai soliti intrallazzatori, fino a chi candidamente pensa che non sia successo niente, anzi, la ricostruzione sia stata un toccasana.

La cosa più evidente è l'assenza di forma e sostanza nel tutelare e trasmettere il ricordo, le testimonianze e i dati relativi a quell'evento e alla ricostruzione. Nessun memoriale, ovvero tanti piccoli luoghi disseminati e sporadici, nessun progetto collettivo e a lungo termine, nessun discorso interpretativo che possa essere fatto proprio dai sopravvissuti e da chi è rimasto.

Oggi l'Irpinia (mi limito alla zona più colpita, che conosco relativamente meglio) è un'area in forte decrescita demografica, con una popolazione dall'età media alta e con gli enormi problemi delle aree appenniniche marginali. Da diversi mesi di parla di un Progetto Pilota che possa dare respiro e rilancio, a partire da quattro capisaldi (scuola, sanità, trasporti e sviluppo, http://www.dps.gov.it/opencms/export/sites/dps/it/documentazione/Aree_interne/STRATEGIE_DI_AREA/Bozza_della_strategia/bozza_strategia_alta_irpinia.pdf).

Sembra un percorso obbligato, quello di confrontarsi tra amministrazioni e “portatori di interesse” per trovare una parvenza di progetto comune da perseguire.

Alcuni tentativi, anche ben riusciti, hanno portato quest'area all'attenzione di una platea più ampia, nazionale; uno dei libri candidati al premio Strega, il “Paese dei Coppoloni”, è una specie di poema epico di queste terre, un incrocio tra mito popolare e legame con la terra e le radici. Capossela ha organizzato per il terzo anno lo Sponz Fest, con numeri e contenuti di ottimo livello.

Per contrasto, quelle stesse zone sono al centro di recente di un allarme reale sul legame tra minacce malavitose e eolico. La minaccia delle trivellazioni, a poca distanza dalle vigne dove si producono vini che hanno buoni risultati sul mercato, è un'altro controsenso da sciogliere.

Ci sono anche segnali che andrebbero analizzati sull'identità irpina, visto che ci sono espressioni della società che provano ad affermarsi per difendere il territorio (termine del quale si fa uso e abuso). Cito solo un tentativo, quello di alcuni ragazzi che hanno formato un'associazione che si chiama “Io voglio restare in Irpinia” (https://www.facebook.com/iovogliorestareinirpinia/?fref=ts). Questi ragazzi, in gran parte, non hanno però vissuto gli anni dell'infamia di essere terremotati assistiti e approfittatori di fondi statali, agli occhi dell'opinione pubblica nazionale, e anche questo è un punto interrogativo aperto.

Più semplicemente, la data del 23 novembre serve a ricordare e riporta anche a un pensiero primitivo, il rapporto tra l'uomo e la terra sulla quale vive, l'ambiente che lo accoglie e le forme sociali che servono a renderlo ospitale e che riempiono di senso il termine comunità: noi dovremmo ricordarci di essere una comunità ferita e guarita da uno squarcio durato 90 secondi, una sera di novembre di 35 anni fa.

Pubblicato in Chi Siamo

Gli anniversari vanno sempre rispettati, specie se per molte comunità e per molte persone sono momenti in cui si corre con la mente a un evento luttuoso e tragico, il terremoto del 23 novembre 1980.

Le date da ricordare sono utili anche a guardare indietro e rendersi conto del cammino fatto, ma anche a fare una pausa per capire se il presente è realmente quello che ci aspettavamo e quale prospettiva di futuro si delinea all’ orizzonte.

Per i 36 comuni nei quali i danni furono disastrosi, e dove morirono circa tremila persone, il 23 novembre è ancora una ferita aperta, e 32 anni non sono bastati a ricucirla e a lenire il dolore.

Per l’Italia delle polemiche e dell’opinione pubblica alimentata a dovere dai media il terremoto dell’Irpinia significa ancora oggi scandalo, enorme spreco di denaro, ruberie e quei centesimi che ancora vengono pagati sull’ accisa sulla benzina.

E’ quello che è stato ricordato qualche mese fa in qualche servizio televisivo e giornalistico, quando il CIPE ha ripartito tra i comuni terremotati 33,4  milioni di euro per il completamento di opere e progetti collegati alla ricostruzione in Campania e Basilicata. Questi erano fondi decisi dalla finanziaria del 2007 e nel 2010 era stato formalizzato il decreto ministeriale, ma ancora non erano stati ripartiti tra i comuni per la realizzazione delle opere.

Alla notizia, su molti siti e su qualche giornale sono uscite parole di condanna e sdegno per l’ennesimo scandalo targato Irpinia, e ancor di più le polemiche si sono fatte sentire dopo il terremoto in Emilia, soprattutto per iniziativa della Lega Nord.

Sicuramente  tutto il capitolo di spesa direttamente o indirettamente al terremoto e alla ricostruzione ha rappresentato una pagina difficilmente ripetibile per la quantità di denaro impiegata (più di 32 miliardi di euro) e per i tempi nei quali la ricostruzione è avvenuta.

Ma la memoria pubblica deve anche contemplare quei tremila morti dei paesi dell’Appennino, che abitavano in piccoli centri inadatti a sopportare una scossa così violenta (6.9 scala Richter) e che, per di più, dovettero aspettare tantissime ore prima di veder arrivare i soccorsi.

Una novità che si può cogliere, quando si parla di rischio sismico o dissesto idrogeologico, è il fatto che si sta parlando sempre più diffusamente di prevenzione, di piani complessivi per evitare che la prossima catastrofe ponga in pericolo l’incolumità di chi vive in territori a rischio.  Si vedrà se alle buone intenzioni seguiranno azioni concrete, investimenti e progetti.

I dati dicono che il 36% dei comuni italiani è a rischio sismico e il 58% della superficie del paese è a rischio frana o alluvione. Dal 1944 al 2012, si è speso circa 3,5 miliardi di euro di media annua per i danni provocati da terremoti, alluvioni e frane ( sono i dati del rapporto ANCE sullo Stato del territorio italiano).

Nell’ultimo anno, dall’alluvione che ha colpito Genova il 4 novembre 2011 e la Lunigiana qualche giorno prima, fino alla sentenza sulla commissione Grandi Rischi a l’Aquila, passando per il terremoto in Emilia e a quello del 26 ottobre scorso sul Pollino, il problema di come fronteggiare e, se possibile, evitare i pericoli derivanti dai disastri è diventato di attualità e fatto comprendere che sono diversi i nodi da sciogliere.

Ad esempio, i comuni devono predisporre i piani di protezione civile, divulgarli, fare esercitazioni e lavorare affinchè funzionino. Quanti sono i comuni italiani che su questo aspetto sono pienamente in regola?

L’anniversario del 23 novembre 1980 serve a discutere, ancora una volta, di prevenzione, di azione comune tra chi opera per quella che una volta si chiamava “pubblica incolumità” e oggi protezione civile.

 

Stefano Ventura

Pubblicato in Campania - Basilicata

Miriam Favale si è laureata nel novembre 2011 in Scienze della Formazione all'Università di Salerno con una tesi dal titolo: Terremoto del 1980: conseguenze post-traumatiche da stress (relatore il prof. Bruno Moroncini). Riportiamo qui l'abstract che Miriam Favale ci ha inviato e, in allegato, l'indice della sua tesi.

L'Osservatorio sul Doposisma riceve spesso segnalazioni di tesi di laurea, specializzazione, di studi e attività che hanno a che fare con i terremoti e i disastri in genere. Chiunque ne avesse voglia e piacere può inviarci del materiale; noi potremmo dedicargli un articolo, creando un piccolo spazio, una vetrina in cui esporre e parlare dei propri studi e interessi; è una forma di riconoscimento e di condivisione utile a creare dibattito e approfondimento. Potete contattarci a: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .

 

MIRIAM FAVALE

 

Terremoti e conseguenze post-traumatiche da stress


In questo elaborato si intende affrontare un argomento particolarmente delicato e attuale, legato al complesso rapporto tra catastrofi naturali e loro conseguenze psicologiche, a breve, medio e lungo termine, su individui e collettività che li subiscono.

È ampiamente dimostrato dagli studi di settore, infatti, come le popolazioni colpite da eventi catastrofici debbano fronteggiare non solo i disagi materiali legati agli effetti distruttivi innescati dagli eventi stessi, ma anche, nel corso del tempo, i profondi traumi psichici derivanti dalla scomparsa dei precedenti punti di riferimento, di tipo affettivo e/o esistenziale.

La distruzione materiale di un paesaggio, intendendo il termine nel suo significato geografico e ‘psicologico’ più profondo, implica la scomparsa di un vero e proprio ‘micromondo’, dal punto di vista ambientale, culturale e percettivo. Le collettività colpite da un evento distruttivo, dunque, sono potenzialmente esposte a traumatiche trasformazioni del proprio stile di vita, con progressiva perdita di identità e valori nel corso del tempo.

Il terremoto che nel 1980 ha colpito la Campania e, in particolare, la sua subregione irpina, rappresenta in tal senso un esempio emblematico: per la sua particolare forza devastante, in un periodo storico contrassegnato dalla carenza di conoscenze in materia di strategie antisismiche e protezione civile, ha distrutto paesi e centri dell’Irpinia, sconvolgendo l’esistenza di intere famiglie, ma ha anche stravolto l’intima relazione tra un paesaggio e la sua collettività.

Il terremoto, in sé, d’altra parte, si configura come fenomeno particolarmente devastante, sia dal punto di vista materiale che immateriale. Basti considerare, a tal proposito, che la Terra, nell’immaginario collettivo, rappresenta quanto di più stabile e solido possa esserci, laddove le scosse telluriche ci ricordano con evidenza che così non è.

A partire dalla ricostruzione dei fatti riguardanti il terremoto del 1980, questo lavoro cercherà dunque di affrontare il problema della relazione tra catastrofi e coscienza collettiva di un territorio secondo due punti di vista, di tipo geografico e psicologico.

Secondo il primo punto di vista, si partirà dalla descrizione degli aspetti geografico-storici della subregione irpina, con particolare riguardo alle attuali conoscenze che i geologi hanno raggiunto sui terremoti e sul grado di sismicità di alcune aree geografiche della provincia.

A partire dal secondo punto di vista, si prenderà invece in esame il trauma psichico nella sua accezione generale, secondo le ricerche psicanalitiche di Sigmund Freud, Sandor Ferenczi e Otto Rank; in seguito l'attenzione si focalizzerà su alcune ricerche di psicologia clinica e sul cosiddetto ‘Disturbo Post-Traumatico da Stress’ che, secondo recenti studi, può insorgere nelle vittime di alluvioni e terremoti. Infine, si cercherà di mettere in risalto, con particolare attenzione, la sofferenza psicologica dei bambini vittime del disastroso terremoto irpino del 1980, testimoniata da alcuni disegni realizzati dagli stessi.

Nelle conclusioni, alla luce del caso trattato e della stretta relazione tra percezione del paesaggio e benessere psico-fisico degli individui, si evidenzierà l’importanza della pianificazione paesaggistica per la salvaguardia del territorio e delle identità geografico-culturali delle collettività che lo abitano.

È ormai noto come le modifiche paesaggistiche incidano profondamente sul senso di identità e appartenenza collettiva di una popolazione al proprio territorio.

In questo abstract, pertanto, si descriverà brevemente lo stile di vita degli abitanti dell’Alta Irpinia prima del terremoto del 1980 e si dimostreranno i cambiamenti repentini che le popolazioni hanno subìto nel post-sisma e i disagi che ancora oggi stanno vivendo.

In particolare, si punterà l’attenzione su tre paesi duramente colpiti da questo disastroso evento: Torella dei Lombardi, Conza della Campania e Bisaccia.

Si mostrerà, inoltre, come il sisma sia stato elaborato e assorbito dai bambini dei territori esaminati, attraverso l’analisi di alcuni loro disegni in tal senso emblematici.

Pubblicato in Campania - Basilicata

Il Filo della Memoria:racconti, storie e testimonianze

FIL - Il sentimento dei luoghi

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