di Ivana Marino
Il 20 e il 29 maggio scorso due eventi sismici hanno colpito nuovamente il nostro Paese. La successione sismica che ne è derivata, fino al 26 giugno scorso, è stata caratterizzata da sette altri eventi principali di magnitudo uguale o superiore al 5° della scala Richter e ha interessato una zona ampia del Nord Italia. Come in occasione di ogni evento sismico, il 20 maggio è cominciata la fase di emergenza, la conta delle vittime, la stima dei danneggiamenti delle strutture, degli sconvolgimenti al tessuto socio-economico. Il terremoto in Italia “congela” un territorio, arresta il sistema, produce paura, dolore e danni inestimabili, segna le vite di chi è sopravvissuto, genera interrogativi. Nessun sentore? Nessun allarme? Nessun avvertimento? Queste le domande più frequenti.
Il tema di discussione diventa la previsione, confusa con la predizione, all’idea rassegnata che seppure non si può sfuggire alla distruzione, allarmati in tempo si potrebbe perlomeno scampare alla morte. Il punto focale è, invece, che la distruzione, e le vittime che ne conseguono, possono essere evitati.
Oggi abbiamo le conoscenze e anche gli strumenti per impedire che un terremoto come quello occorso in Emilia provochi scenari simili. Conosciamo, puntualmente oramai, la pericolosità sismica del nostro territorio ovvero la probabilità che si verifichi un evento di una determinata intensità in un determinato luogo. Non siamo in grado però di “predire” un evento naturale ovvero determinare il luogo, l’ora e la data del prossimo terremoto, non ne esiste evidenza scientifica a livello mondiale. Sono gli strumenti di conoscenza delle vulnerabilità del costruito e gli strumenti tecnici, oggi disponibili, che rappresentano il punto di svolta. Purtroppo in Italia paghiamo il prezzo altissimo di un territorio che presenta un rischio sismico elevato a causa dell’elevata vulnerabilità del nostro patrimonio edilizio, che dipende dall’evoluzione delle conoscenze, e, non da meno, dalla vetustà, dalla quasi totale assenza di manutenzione dei manufatti edilizi.
La “disordinata” classificazione sismica del nostro Paese ha influito in maniera sostanziale sulla capacità sismica delle costruzioni esistenti. Si pensi che la prima classificazione sismica “ragionata”, ovvero costruita su basi scientifiche, è stata adottata soltanto in seguito al terremoto lucano-irpino del 1980. La classificazione, fino ad allora, “inseguiva” gli eventi dichiarando sismiche le sole zone colpite. La grave conseguenza è che nella maggior parte delle zone di elevata sismicità, ovvero nel 45% del territorio nazionale, si è cominciato a costruire con criteri antisismici solo dopo gli anni Ottanta. Ciò ha prodotto la drammatica conseguenza che circa l’80% del nostro patrimonio non è stato pensato né costruito per fronteggiare azioni di carattere sismico.
Se focalizziamo l’attenzione sull’Emilia Romagna, risulta chiaramente dalle mappe sismiche riportate nel seguito che fino al 1998 la Regione, per la quasi totalità, non era classificata sismica. L’effetto è che tutto quanto costruito fino al 1998 non è stato concepito con criteri antisismici. Le strutture, seppure progettate nel rispetto delle norme vigenti, non sono chiamate a rispondere ad azioni orizzontali equivalenti del sisma atteso, ovvero di quello più probabile.
La combinazione dei fattori “esposizione”, ovvero numero di beni presenti sul territorio, “vulnerabilità”, ovvero attitudine degli stessi a danneggiarsi, e “pericolosità”, ovvero probabilità che su un territorio si manifesti un determinato evento naturale, definiscono il rischio di un territorio, e nel caso specifico, il rischio della Regione Emilia Romagna. E’evidente che mentre la pericolosità è funzionale soltanto delle caratteristiche geofisiche del territorio, l’esposizione e la vulnerabilità sono il risultato dell’attività dell’uomo sul territorio stesso. L’impossibilità di governare il fenomeno naturale e la generale improponibilità di delocalizzare i beni vulnerabili dalle aree maggiormente pericolose mostra quale unica strada percorribile per la mitigazione del rischio, l’attuazione di interventi atti a diminuire la vulnerabilità del costruito.
L’Emilia Romagna, in questo particolare momento storico, è il simbolo di un Paese che, ciclicamente colpito da eventi naturali, continua altrettanto ciclicamente a piangere le vittime dei disastri e a subire gli sconvolgimenti del tessuto socio-economico che ne conseguono, a fronte di accurate mappe di pericolosità e di norme per la progettazione in zona sismica tra le più avanzate al mondo. Purtroppo però nonostante i progressi compiuti e gli strumenti avanzatissimi ormai disponibili, ancora oggi le politiche di mitigazione del rischio attuate sul territorio nazionale sono del tutto inefficaci.
Il susseguirsi degli eventi disastrosi, in particolare a seguito del crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia, nel 2002, ha contribuito ad accelerare il processo di promulgazione delle conoscenze e introdotto l’obbligo per le amministrazioni di procedere alla verifica statica e sismica delle strutture strategiche o rilevanti, ovvero di quelle che rivestono un ruolo importante sul territorio quali ospedali, caserme o scuole, entro i 5 anni successivi. Tuttavia, ad oggi, solo un numero drammaticamente esiguo di costruzioni è stato oggetto di tale verifica.
A tre anni dalla tragedia aquilana, e a valle della crisi sismica appena occorsa in Emilia, è doveroso prendere consapevolezza che soltanto una politica che miri ad aumentare la sicurezza delle nostre case, delle nostre scuole e delle nostre strutture pubbliche e, non da meno, del nostro patrimonio culturale, potrà scongiurare la prossima tragedia, consapevoli che, intervenire puntualmente sulle strutture esistenti non permette di sollevare in maniera sostanziale la soglia del rischio. Una seria azione volta alla riduzione del rischio di un territorio è possibile e richiede la necessità di intervenire sul costruito in maniera tale da diminuire gradualmente la vulnerabilità e la fragilità del tessuto edilizio.
Resta, dunque, oggi più che mai, l’urgenza di incentivare ed adottare diffuse politiche finalizzate alla mitigazione del rischio. La scarsezza delle risorse economiche disponibili non può costituire un alibi dell’assenza di politiche di mitigazione, piuttosto, rende improrogabile un celere e attento censimento della vulnerabilità del nostro patrimonio abitativo e culturale al fine di costruire liste di priorità per investire in maniera tale da ridurre progressivamente il rischio residuo della collettività. A tal fine potrebbe essere opportuno adottare politiche di incentivazione per la riqualificazione e sostituzione edilizia che non siano gravate da cavilli burocratici. La sostituzione edilizia, nel nostro Paese infatti, è ancora guardata con una certa “resistenza”, ma spesso rappresenterebbe la soluzione economicamente più conveniente anche in considerazione delle “prestazioni” che si riescono a perseguire.
Resta, ancora oggi, da migliorare la filiera dei controlli in fase di progettazione e di realizzazione e,
l’intenzione oramai consolidata di costruire albi di esperti in Ingegneria Sismica rappresenta un’importante presa di coscienza in questa direzione.
L’introduzione di un’assicurazione obbligatoria delle proprie abitazioni nei confronti dei rischi naturali, così come già è consuetudine fare nei confronti dell’incendio o del furto per le proprie auto, potrebbe rappresentare l’occasione per aumentare la consapevolezza e la percezione del rischio nella collettività e “sfatare” il mito dell’eternità delle nostre abitazioni. La “certificazione sismica” delle nostre abitazioni, come quella energetica, rappresenterebbe inoltre l’occasione per incentivare gli interventi di consolidamento statico e sismico necessari.
E’ urgente sensibilizzare la collettività in modo che, per prima, pretendi l’attuazione di una politica di prevenzione. Rafforzare e diffondere la “cultura” del rischio affinché il terremoto non sia più guardato, con fatalismo, come un evento disastroso ma come un evento da poter fronteggiare adeguatamente, è prioritario.
È fondamentale che la prevenzione cominci adesso, mentre si è ancora impegnati nelle operazioni di primo soccorso e di messa in sicurezza, mentre ancora l’attenzione è alta, perché non succeda ancora che, terminate le fasi emergenza, restino solo le polemiche, perché investire in prevenzione significa investire affinché il disastro non accada.
Ivana Marino è Ingegnere Civile, Dottore di Ricerca in Ingegneria delle Strutture e del Recupero Edilizio ed Urbano presso l'Università degli studi di Salerno. Mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.