di Michele Mignogna
Niente da fare, la firma alla proroga dello stato di criticità per il Molise terremotato non arriva. Nonostante le rassicurazioni del commissario alla ricostruzione, il presidente della regione Michele Iorio. Il governo Monti, non si capisce per quali ulteriori motivi, non firma il decreto di proroga per la ricostruzione post sisma nella provincia di Campobasso. Anzi, secondo indiscrezioni della struttura commissariale, sembra che il rinvio a giudizio del Presidente-Commissario sull’estensione, per decreto, del terremoto all’intera provincia di Campobasso stia ulteriormente facendo riflettere il governo nazionale. Anche perchè, in sede di trattative, la regione Molise ha accettato tutte le prescrizioni chieste dal Governo nazionale, una su tutte, il famoso taglio del 40% delle spese di gestione. Intanto, gli incontri dei sindaci dei comuni terremotati si susseguono, e proprio ieri nel comune di Colletorto (Cb) il sindaco Fausto Tosto ha riunito i sindaci dei comuni molisani e quelli pugliesi. Dall’incontro è emersa la volontà di continuare anzi inasprire la protesta, tanto è vero che il documento finale dell’incontro non lascia spazi ad interpretazioni: se in questi giorni non arriva la firma del decreto, i sindaci occuperanno, già da martedì prossimo, la sede del Consiglio regionale, in segno di protesta contro scelte che i sindaci stessi definiscono incomprensibili. Un ultimo tentativo di mediazione però i sindaci lo faranno lunedì prossimo quando incontreranno il Prefetto di Campobasso Stefano Trotta, al quale ribadiranno le pressanti richieste. Dopo di che lo scenario potrebbe diventare imprevedibile, anche perché seppur richiesto, i sindaci ancora riescono ad incontrare nemmeno i deputati molisani. Sono, dunque, asserragliati nel loro fortino i sindaci, che si trovano in una posizione molto scomoda: da una parte i cittadini che vogliono risposte certe ed immediate sul futuro della ricostruzione delle loro case e dall’altro le imprese che battono cassa, anzi battevano è il caso di dire, in quanto la mancata proroga ha determinato di fatto il blocco totale della ricostruzione; con le imprese che non solo non riscuotono i soldi dei lavori fatti, ma dovrebbero aprire ulteriori cantieri per le case ancora da ricostruire. Inoltre bisogna aggiungere che molte imprese che operavano nella zona del cratere sismico, hanno messo a riposo decine di operai, perché impossibilitate a pagare gli stipendi.
Capitolo a parte, invece, per i lavoratori degli “uffici sisma” dei comuni. Infatti, circa il 40% di loro dovrà lasciare il posto nonostante la ricostruzione non sia finita. Il taglio è quello imposto dal Governo Monti, per cui poco si potrà fare. Il problema però è che ormai da dicembre, a differenza di quelli che lavorano nella struttura commissariale e che sono stati regolarmente retribuiti dalla struttura stessa, quelli che lavorano nei comuni non percepiscono lo stipendio. La questione di fondo quindi rimane la stessa: alla luce delle ultime vicende che hanno riguardato Michele Iorio, si può oggi, a 10 anni dal terremotino molisano, avanzare richieste per una ricostruzione che, bene che vada, è al 35% del totale?
di Michele Mignogna
Il Governo tecnico di Mario Monti ha deciso che in Molise non esiste più lo “stato di criticità post-sisma”, tema sul quale i sindaci molisani, in maggioranza di centro destra, hanno levato scudi e barricate, ma senza, almeno per il momento, ottenere nulla in cambio. Non resta che le solite rassicurazioni del presidente della Regione e Commissario alla ricostruzione Michele Iorio, che continua a ripetere come un mantra, “state tranquilli, perché la proroga arriverà”. Saprà evidentemente qualcosa che gli altri comuni mortali molisani non sanno, ma detto questo dovremmo anche interrogarci sui risultati ottenuti in questi 10 anni di ricostruzione, partendo da quelli di chi ha gestito il dopo sisma: politici, tecnici e faccendieri vari. Si può ancora, a due lustri dal mini-terremoto molisano, avanzare richieste per una ricostruzione che ad oggi non arriva al 35% del totale? E parliamo della sola classe A, le prime ed abituali abitazioni, per intenderci. Ebbene, crediamo ci voglia una buona dose di faccia tosta, per continuare, ancora, a piagnucolare con il cappello in mano. In Molise sono arrivati la bellezza di quasi un miliardo di euro di fondi che dovevano servire alla ricostruzione, esclusi, ovviamente, i fondi per la sola San Giuliano di Puglia, e di questi buona parte sono serviti a finanziare progetti discutibili sotto ogni aspetto. Ma non solo, se consideriamo che la sola macchina commissariale costa agli italiani a bellezza di 10 milioni di euro, ci rendiamo conto di come, il vizio tutto meridionale di far diventare le emergenze normalità, è ben più radicato di quanto noi pensiamo. Ma poi, quanto è costato il terremoto molisano agli italiani? Il conto lo ha fatto il giornalista di Repubblica Antonello Caporale nel libro “Terremoti SPA”, in cui evidenzia come il terremoto molisano appunto sia stato, fino ad oggi, il più costoso in assoluto, e con i peggiori risultati in assoluto, lo Stato ha sborsato in questi 10 anni ben 27.027 euro, pro-capite per ogni senza tetto, per quelli cioè che aspettano ancora la ricostruzione della loro unica abitazione, contro i 4.810 dei terremotati di Marche e Umbria, i 7.889 per quelli dell’Irpinia, e 23.718 per i terremotati dell’Abruzzo. Avete letto bene, in Molise il terremoto è costato ventisettemila euro per ogni terremotato, ma come è stato possibile? Semplice, grazie ai magheggi del commissario che ha fatto diventare, a mezzo decreto, comuni terremotati, tutta quelli della provincia di Campobasso. Finanche quei comuni che si trovano a centinaia di chilometri dal cratere hanno il loro ufficio sisma, i loro tecnici, i loro contributi e via dicendo, a scapito, senz’altro, di quei comuni che realmente hanno subito il sisma, che sono poi i soli14 comuni del cratere (l’area frentana, per intenderci) ed anche qui qualcuno deve ancora spiegare bene quali sono i comuni più colpiti e quindi bisognosi di attenzioni. Alla luce di tutto questo è ancora possibile continuare a chiedere soldi, oppure i molisani devono chiedere, una buona volta, una commissione d’inchiesta con pieni poteri, per far luce su quanto è successo? Così magari qualcuno potrà chiedere ai commissari per la ricostruzione quante pratiche ha svolto il comune di Termoli, dichiarato terremotato per decreto. Eppure Termoli si avvale del suo ufficio sisma con 3 dipendenti pagati con i fondi per la ricostruzione. Oppure il comune di Spinete, in cui il terremoto è stato visto solo in televisione? O addirittura Riccia? Magari qualcuno potrà occuparsi di come i tecnici hanno fatto stime e progetti. Perché il problema è proprio qui, se non sono bastati i soldi, è perché sono stati spesi male, e se sono stati spesi male qualcuno ne dovrebbe dar conto. Ma tutto questo è potuto accadere anche grazie al fatto che a differenza di altre zone terremotate, in Molise non c’è stata una legge ad hoc per la ricostruzione, ma sono state utilizzati solo decreti commissariali. Il problema è poi che oltre a pochi consiglieri regionali che reclamavano a gran voce una legge per il terremoto molisano, nessuno l’ha voluta fino in fondo, ed anche lo stesso sub commissario Nico Romagnuolo in una intervista ha detto che il “problema non è una legge, perché le ordinanze quando ci sono funzionano benissimo”. Già, quando ci sono le ordinanze, quando mancano però si finisce con le terga a terra. Infine c’è la questione più spinosa, ovvero che fine faranno i dipendenti degli uffici sisma dei comuni “terremotati” 250 unità circa, ebbene anche qui va fatta chiarezza partendo dal fatto che questi dipendenti sono stati assunti, direttamente dalle amministrazioni locali, per conoscenza diretta, ed il loro contratto è strettamente legato all’emergenza post sisma, per cui va da se che nel momento in cui cessa l’emergenza cessano anche questi contratti. Il problema è che, giustamente, i 250 dipendenti pretendono di essere assunti stabilmente o dalla Regione o dai comuni in cui prestano la loro opera, richiesta giustificata dal fatto che in questi anni hanno raggiunto livelli di esperienza nel settore che potrà servire anche in futuro, ma chi si carica l’onere di queste assunzioni? E come faranno gli enti locali a pagare ulteriori stipendi quando addirittura hanno difficoltà a pagare quelli in corso? E chi e come spiegherà, ai tanti precari e disoccupati di questa regione, che loro non hanno avuto la fortuna di essere simpatici a questo o quel sindaco, o allo stesso commissario Iorio? Ma soprattutto come sarà giustificata questa ulteriore spesa? Nessuno lo sa, una cosa però è certa, e cioè che lo stesso lavoro fatto fino ad oggi dagli uffici sisma, può essere fatto tranquillamente dagli uffici tecnici dei comuni, e dall’ufficio urbanistico della regione Molise, né più né meno.
di Michele Mignogna
Il Molise è una delle regioni maggiormente colpite dall’emergenza neve di questi giorni. Ma ha anche una caratteristica, a 10 anni dal sisma, è il villaggio provvisorio che ha ancora 25 famiglie che vi abitano, case fatiscenti, umide e fredde, soprattutto ora.
Di solito, il piccolo centro fortorino è abituato a forti nevicate, che negli anni sono sempre state abbastanza copiose, ma di così abbondanti nessuno nericorda, nemmeno i più anziani. A Bonefro l’intervento della turbina della provincia di Campobasso si è resa necessaria da subito, per due ragioni fondamentali: la prima è che qui vi è lo snodo dei centri del Fortore per raggiungere la Bifernina, l’arteria principale che collega la costa molisana all’entroterra, il secondo, sicuramente più importante, è che per raggiungere il villaggio provvisorio dei terremotati, senza turbina non ci si arriva, isolando di fatto le 25 famiglie che vivono tutt’ora, a dieci anni dal terremoto, in casette che solo a guardarle si intuisce tutto il disagio che, soprattutto gli anziani, stanno vivendo. La neve in alcuni punti ha ostruito, nel vero senso del termine, le porte delle casette, raggiungendo altezze record anche in questa zona. Ma a far paura di più, a chi ancora vive in queste condizioni, è il freddo e la consapevolezza che da un momento all’altro possa andar via la corrente, lasciandoli al gelo, visto che gli elettrodomestici come i riscaldamenti, funzionano tutti a corrente elettrica. La ricostruzione pesante a Bonefro non arriva al 25%. La neve che si accumulata ai lati delle baracche rende ancor più fredde le casette, una sorta di ghiacciaie naturali in cui sono costretti a vivere chi ha avuto la sfortuna, è il caso di dire, di avere la casa danneggiata dal sisma. “Dal comune solo ieri sono passati due impiegati a chiedere se c’era bisogno di qualcosa”, ci dice una anziana signora. Situazione che diventa più difficile quando a pagare le spese di tutto sono quegli anziani che vivono soli, che non hanno nessun parente a cui chiedere di comprare loro cibo e medicine, “lo sapete bene come si vive in queste condizioni” ci dice un’altra signora “ e lo sanno pure i politici molisani”. Cosi come colpisce, la rassegnazione nelle parole di alcuni di loro, una rassegnazione alla quale ormai ci si fa l’abitudine, e che fa solo sospirare “e che dobbiamo fare, almeno non siamo in mezzo alla strada” confessa un signore. Intanto i sindaci dell’area terremotata sono pronti ad alzare la voce quando si tratta di farsi prorogare dal Governo lo stato di criticità, che in poche parole vuol dire continuare a gestire soldi pubblici e clientele: la sola struttura commissariale costa ai molisani la bellezza di 10 milioni di euro l’anno, e i problemi reali dei cittadini costretti a vivere nel gelo, vengono sistematicamente nascosti sotto il tappeto. Nessuno deve vedere e sapere che, a 10 anni dal sisma e quasi un miliardo di euro spesi, le case sono ancora a terra e gli anziani di questa comunità costretti a vivere come negli anni '40. Probabilmente è ora di smetterla con queste vergogne molisane.
di Michele Mignogna
La scure del Governo Monti si è abbattuta inesorabilmente anche nel Molise terremotato. Non è stato infatti prorogato lo “stato di criticità”, che dava l’opportunità ai comuni di lavorare ancora in una sorta di "emergenza". Da qui, la mobilitazione dei sindaci dei paesi più colpiti, che dopo 10 anni, e quasi un miliardo di euro spesi, si ritrovano con appena il 40% circa della ricostruzione della cosiddetta classe A, ovvero le sole case di prima abitazione, a queste vanno aggiunte le altre classi fino alla C, che stando cosi le cose non saranno ricostruite. Nel 2010, l’allora governo Berlusconi ritenne che lo stato di emergenza poteva anche terminare, e per dare possibilità ai comuni di completare la ricostruzione si inventò, di concerto con Guido Bertolaso, ancora a capo della Protezione Civile, lo stato di criticità, finanziato per il tramite dello strumento delle ordinanze, e che permetteva alla Regione e ai Comuni di mantenere in piedi, ad esempio, gli Uffici sisma, un ufficio dedicato alla ricostruzione, con tre tecnici assunti con contratto di collaborazione, oppure l’autonoma sistemazione, un contributo concesso a chi aveva dovuto lasciare la propria abitazione e in attesa di rientrarci aveva magari trovato una casa in affitto. Ebbene oggi i comuni hanno gli uffici chiusi e i cittadini, che aspettano ancora che gli sia ricostruita l’abitazione, dietro le porte per chiedere informazioni sul futuro.
Un terremoto quello del Molise, che in molti hanno definito “terremotino” e che se non fosse stata per l’immane tragedia della scuola di San Giuliano di Puglia, nessuno ricorderebbe, o addirittura, avrebbe conosciuto. Ma come sempre accade, le tragedie servono ai politici e ai faccendieri, per accrescere le loro ricchezze, ed il loro potere elettorale, e cosi è successo in Molise, dove se vogliamo, le esagerazioni sono state veramente troppe, la prima in ordine di tempo è senz’altro quella di aver inserito nella lista dei comuni terremotati, l’intera provincia di Campobasso, 84 comuni, che per la regione sono da considerare terremotati, poi non interessa se ad esempio, telefoni al comune di Sa Massimo, e non ti sanno dire nulla sulla ricostruzione, oppure Termoli, che avrà evaso si e no 7 – 8 pratiche, mantenendo un ufficio e tre impiegati per tutti questi anni. Mentre per l’area maggiormente colpita, la definizione data è quella di cratere sismico, e comprende 14 comuni dell’area frentana, e che a conti fatti, hanno ricostruito solo il 40% delle abitazioni, con casi estremi come il comune di Bonefro in cui la ricostruzione è partita solo lo scorso anno, e Castellino del Biferno, anch’esso in forte ritardo.
Per questo motivo i sindaci dei comuni più colpiti sono sul piede di guerra e chiedono risposte certe ed immediate al governo sulla proroga dello stato di criticità nell’area terremotata. L’occasione è l’ennesimo incontro che s è tenuto a San Giuliano di Puglia, paese simbolo del terremoto molisano, alla presenza del delegato regionale alla ricostruzione Nico Romagnuolo, secondo il quale Iorio ha ricevuto rassicurazioni da Catricalà che la proroga ci sarà, ci sono stati problemi di valutazione, sulla bollinatura, il controllo cioè della ragioneria dello stato, senza questo controllo il decreto non può essere promulgato, non solo, i sindaci stessi non sapevano nemmeno di questa norma, introdotta negli anni 70 a garanzia di un maggior controllo sull’erogazione di fondi pubblici, e che a quanto pare per le situazioni di emergenza non veniva usata.
Ad oggi però i primi cittadini devono decidere cosa fare da qui alla proroga, la prima cosa potrebbe essere quella di fare un documento direttamente al ministero dell'economia, per far capire quali sono le condizioni in cui i sindaci operano, e soprattutto evidenziando anche come una buona parte di economia legata alla ricostruzione in questo modo viene a mancare con la conseguenza disastrosa di perdita di posti di lavoro. Ma dagli incontri dei sindaci di queste settimane emerge anche un’ altra linea, quella cioè tra i sindaci più attendisti, diciamo cosi, e quelli che invece insistono sul fatto che bisogna coinvolgere i deputati ed i consiglieri regionali che devono farsi carico del problema nei confronti del governo monti.
Resta però il fatto che la situazione sta precipitando, per cui sembra strano che la deputanza molisana, non conosca la situazione oppure, si vergognano del fatto che dopo 10 anni, bisogna ancora andare, con il cappello in mano, a chiedere ulteriori fondi al Governo, che farebbe bene a questo punto ad accertare, nei fatti, come sono stati spesi i finanziamenti ottenuti fino ad oggi.
Fino alle 17,42 di ieri le vicende della ricostruzione dell’Aquila erano il canovaccio di una brutta farsa, di quelle che - nonostante gli sforzi degli attori protagonisti - non fanno ridere nessuno. Poi il presidente del consiglio Mario Monti ha preso una decisione che per usare il suo linguaggio potrebbe essere definita “Salva L’Aquila”. Affidando al ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca un incarico per «accelerare la ricostruzione» ha di fatto commissariato il commissario Chiodi.
Una presa d’atto, anche a livello romano, del fallimento di una “governance” che dopo tre anni non è stata capace di avviare la ricostruzione della città. Non tutte le colpe chiaramente sono del presidente Chiodi. Sostenere questo sarebbe negare le rissosità, gli interessi trasversali, i giochetti politici, le superficialità a vari livelli, le furberie che hanno costellato mesi e mesi durante i quali appunto, dalla tragedia si è passati alla farsa. Ma se tutto questo è accaduto è stato anche per l’inadeguatezza politica di chi, al timone della nave, non doveva mai perdere di vista la meta.
Ieri c'è chi si è affrettato a dire che il ruolo del ministro Barca è semplicemente quello di un "nuovo Letta". Ma anche qui si è fuori strada. Letta aveva cominciato a partecipare alle riunioni del cosiddetto tavolo di Cicchetti solo perché da abruzzese - e forse sinceramente colpito dal dramma aquilano - aveva capito che in quel pollaio in cui non si faceva mai giorno c'era bisogno di qualcuno capace di fare un po' di ordine.
Le presenze di Letta avevano il timbro della straordinarietà. Nessuno gli aveva conferito un incarico ufficiale. Se l'era preso da solo visto che nei palazzi romani il terremoto dell'Aquila era già un lontano ricordo. Nel caso di Barca c'è una precisa investitura con tanto di tavolo tecnico al quale saranno chiamate le strutture della Presidenza del consiglio, i ministri interessati, la ragioneria generale dello Stato e il sottosegretario Catricalà.
Se le decisioni sull'Aquila, in attesa della legge in discussione in Parlamento, saranno prese in quella sede, il tavolo aquilano di Cicchetti sarà buono al massimo per giocare a tressette e la struttura di missione (Stm) diventerà un luogo di carte polverose. Il capo della Stm, l'architetto Gaetano Fontana, ha dato vita negli ultimi giorni a una scena "regina": una lettera di "finte" dimissioni per riottenere da Chiodi "carta bianca" e spingere il presidente a difenderlo dagli attacchi che gli sono arrivati da più parti.
Fontana, le cui capacità tecniche non si discutono, ha forse pagato un lato del suo carattere che gli fa guardare le persone dall'alto in basso.
Anche da questo sono nati i contrasti con il Comune dell'Aquila che alla fine sono diventati un gioco a perdere: tu fai, io ti metto i bastoni fra le ruote, se vuoi uscire dal pantano devi venire a chiedere a me e poi vedremo.
Se Chiodi respingesse le dimissioni del capo della Stm farebbe un gesto incomprensibile oltre che inutile visto la piega che ha preso la "governance".
Il ministro Barca (di cui Fontana ha detto ieri al Centro di essere un grande amico) avrà il compito di semplificare percorsi e procedure anche in base a quello che gli verrà chiesto dagli enti locali.
E su questo va dato atto al sindaco Cialente - spesso scomposto e confuso nei suoi atteggiamenti - di aver aperto una breccia che ancora non si sa dove porterà però è almeno un pertugio in cui infilarsi.
Ora servirebbero una serie di gesti di responsabilità per sgombrare il campo da ostacoli che gli aquilani non capirebbero. Il primo lo dovrebbe fare Chiodi che al Centro ha dichiarato di essere entusiasta della nomina di Barca: dimettersi da commissario per la ricostruzione rimettendo il mandato nelle mani del presidente del consiglio. La struttura commissariale non scomparirebbe (per questo bisogna cambiare la legge o attendere la nuova) ma certo si potrebbe procedere meglio a quella che appare una necessaria riorganizzazione.
Sarebbe brutto - e persino penoso - assistere a dispetti istituzionali che non avrebbero senso. Quella di ieri appare dunque come una svolta nella ricostruzione dell'Aquila. Per valutarla meglio bisognerà attendere le prime decisioni del tavolo romano e le ricadute concrete. Agli aquilani servirà ancora un po' di pazienza. Ma è bene che tutti sappiano che anche quella sta per finire.
Mi giunge uno scritto. Parla di centri storici, amministratori locali e del bando (dal titolo "co/A" ) della Fondazione MIDA e del Comune di Auletta coordinato dall´associazione nazionale RENA, voluto per valorizzare il Parco a ruderi, cioè la parte del centro storico conservata cosi come l´ha lasciata il terremoto del 1980, un museo vivente da cui trarre storia e futuro. Lo scritto è di un giovane del Vallo di Diano che ha deciso di partecipare al bando insieme ad altri ragazzi. Preferisce firmarsi con uno pseudonimo, ma quello che conta sono la forma e la sostanza, piú che il nome: buona lettura.
Salvatore Medici (su Unotvweb.it)
Invettiva. Appunti diseguali. Auletta e il Parco a ruderi
Il nostro (quello dei partecipanti al bando) è in fondo desiderio di conservare, compatibile, anzi declinabile obbligatoriamente con ogni mutamento, poiché ogni mutamento è anche continuità (addio rivoluzione!).
Ricordo a tal proposito un luogo dei Quattro quartetti di T.S.Eliot: “[un giorno] Noi cesseremo di esplorare/ E alla fine dell’esplorazione/ Saremo al punto di partenza/ Sapremo il luogo per la prima volta.”
E' anche però voglia di dare un contributo alla demolizione di quella intelligencija che pratica e ha insegnato a praticare (magari in nome della crescita e del progresso) una devastante forma di oicofobia, ovvero un’avversione per la “casa antica” e il proprio heritage, per ciò che si è avuto in eredità. E se l’eredità (quella dei saperi contadini) era cospicua e si è provveduto a diluirla, non meglio è andata per i centri storici che, nella migliore delle situazioni, si sono sgretolati tra la macina del passar del tempo e l’inerzia totale degli uomini.
Dunque questo progetto mi pare si ponga all’insegna della lealtà verso il territorio e nel territorio, virtù politica (la cui rintracciabilità è ai suoi minimi storici) che conduce gli uomini a vivere in pace con gli estranei, a onorare i defunti e a provvedere ai bisogni di chi, un giorno, prenderà il loro posto come “usufruttuario di questa terra”.
Ho l'impressione, ma non mi sento documentato come vorrei in proposito, che materia e processi, linguaggio e logica con cui, a turno, le varie amministrazioni, che si sono succedute nei nostri centri, hanno rappresentato e vissuto i luoghi dello stare e il "mondo contadino" come effetto dell'esercizio dei saperi della terra, siano ancora da studiare.
Resta da studiare, ad esempio, il materiale argomentativo e simbolico della drammatica aggressione ai centri storici condotta nella ricostruzione post terremoto degli anni Ottanta e Novanta, coerentemente il più delle volte coronata con l'assassinio di quei luoghi.
Era un'Italia e una “Campania” popolata di Mostri, sprofondata in abissi di Alienazione; mostri e alienazioni che ancora tutt’oggi si aggirano nei nostri territori come fantasmi e a turno continuano a ricoprire cariche/incarichi.
Lo sappiamo ed è confermato ogni giorno.
[Ora, vi è in ciò molto di sintomatico. Che la "politica" pensi strategicamente, lasci agire questi fantasmi con gli strumenti che questa da sempre conosce, e pratica con slancio perché sono la sua vita stessa (dall'inettitudine alla presunzione dal disprezzo all'irrisione falsificante), senza supporre di dover scontare tutto questo politicamente e moralmente o di star già pagando il conto, è un pessimo sintomo.]
Detto per incidens: colpisce che molti si rammarichino in buona fede della perdita di rappresentanza nel sistema politico regionale da parte degli esponenti del nostro "incantevole principato ". Quasi che per decenni la saturazione di ogni rilevante spazio ed esercizio potestativo da parte di élites (e quadri e clientes) dei diversi e opposti "dominanti" non abbia costituito e legittimato la più subdola (perché 'impersonale' e diffusa) "ferita putrescente" della storia regionale. Certo Quos perdere vult deus dementat prius, ora come allora.
Ad Auletta ora si prova con un nuovo inizio, si decide cioè di conservare e declinare tale conservazione con i mutamenti intercorsi.
Bene. era ora. Buon lavoro a tutti!
Cosimo Piovasco
Sarà presentata mercoledì 28 dicembre a Caposele (Av) la ricerca “Un popolo da ricostruire. A trent’anni dal terremoto, fiducia e mutamenti sociali in una comunità irpina” che l’antropologa Teresa Caruso ha condotto nel 2011 per conto dell’Osservatorio permanente sul doposisma e l'Università degli studi di Bergamo.
Da studiosa dei fenomeni socio-antropologici, Teresa Caruso ha cercato di interpretare i cambiamenti sociali seguiti al terremoto, ovvero come la ricostruzione abbia inciso nel tessuto sociale del paese e quanto un disastro possa cambiare la vita delle persone e il loro modo di vivere la comunità. Per farlo la Caruso ha vissuto per sette mesi a Caposele, sottoponendo circa 360 questionari e confrontandosi costantemente con le famiglie caposelesi, con le associazioni del paese, con i cittadini e con l’amministrazione locale.
I risultati della ricerca sono stati poi inseriti nel rapporto 2011 dell’Osservatorio, intitolato “La fabbrica del terremoto. Come i soldi affamano il Sud”, che contiene anche uno studio dell’Area Ricerche del Monte dei Paschi di Siena, un’intervista a Gianfranco Viesti, economista e direttore della Fiera del Levante, e un quadro della situazione delle aree industriali campane e lucane create dopo il sisma del 1980.
28 dicembre 2011, Sala Polifunzionale, piazza XXIII Novembre
Saluti:
Pasquale Farina, sindaco di Caposele
Partecipano:
Salvatore Conforti, - La Sorgente
Raffaele Russomanno - Presidente Pro Loco
Gerardo Ceres - sindacalista
Cesara Alagia - Anpas Campania
Francescantonio D’Orilia - presidente della Fondazione Mida
Stefano Ventura - Osservatorio sul doposisma
Modera:
Manuela Cavalieri - giornalista
Un decennio da dimenticare, dal punto di vista dei disastri naturali. Con un protagonista quasi assoluto, i terremoti. Che dal 2001 al 2011 hanno causato 780mila vittime, responsabili del 60 per cento della mortalità di tutte le catastrofi ambientali occorse in questo periodo. Cifre enormi, paragonabili a quelle di una guerra.
A stilare la macabra contabilità è uno studio su Lancet che, oltre a fare un bilancio dei caduti, pone l'accento sui rischi futuri, considerando che diverse megalopoli - Los Angeles e Tokyo, solo per fare due esempi - sorgono in zone sismiche, sotto minaccia costante.
Oltre ai 780mila morti, i terremoti degli ultimi dieci anni hanno avuto un impatto diretto su due miliardi di persone, sottolinea lo studio. Ma l'annus horribilis è quello passato, il 2010, durante il quale il sisma che ha devastato Haiti il 12 gennaio 2010 - di magnitudo 7 - ha provocato, da solo, la morte di 316mila persone. Il terremoto ha portato l'inferno nell'isola caraibica, lasciando dietro di sé una scia di devastazione. Subito dopo viene il sisma che ha scatenato lo tsunami nell'oceano indiano nel 2004, di magnitudo 9,1, uccidendo 227mila persone. Al terzo posto il terremoto che nel maggio 2008 ha colpito la provincia cinese del
Sichuan, facendo 87.500 vittime.
Fin qui i numeri, pesantissimi. Ma la dottoressa Susan Bartels, del Beth Israel Deaconnes Medical Center di Boston e il collega Michael J. Van Rooyen, del Brigham and Women's Hospital di Boston, autori dello studio, puntano soprattutto ad allertare gli organismi politici e di soccorso perché la prevenzione e la preparazione in caso di terremoti diventi una priorità in termini di salute pubblica.
In totale, i sismi più importanti possono riguardare dall'1 all'8 per cento della popolazione a rischio, con un morto ogni tre feriti, avvertono gli esperti. Numeri importanti, di fronte ai quali essere preparati diventa essenziale. L'emergenza riguarda ondate successive: in un primo momento ci si trova di fronte a persone morte istantaneamente per il crollo di edifici e strutture. Poi, ore più tardi, ci si devono aspettare altri decessi fra i feriti; giorni e settimane dopo, altre vittime a causa delle infezioni.
I feriti riportano principalmente lacerazioni, fratture, contusioni, stiramenti. Ma occorre fare attenzione ad altre patologie, come gli attacchi cardiaci - nel 1994, nella settimana successiva al sisma che ha colpito Northridge, in California, sono cresciuti del 35 per cento, sottolinea lo studio - e alla depressione, che può colpire in seguito: nel 1999, dopo il terremoto in Turchia, il 17 per cento della popolazione ha riferito pensieri suicidi. E la categoria più a rischio è la più debole: i bambini, che rappresentano dal 25 al 53 per cento della popolazione colpita dopo un terremoto.
Il pesantissimo tributo pagato ai disastri naturali nell'ultimo decennio è destinato a non rimanere isolato. Con l'aumento della popolazione mondiale e l'espansione urbana in zone a rischio, la minaccia rappresentata dai terremoti non potrà che crescere negli anni a venire, avvertono gli autori dello studio.
Si terrà a fine maggio presso il Palazzo dello Jesus di Auletta (Sa), sede dell'Osservatorio permanente sul dopo sisma, la Scuola di Paesologia. Cinque giorni di lezioni-incontro, gratuite e fino ad esaurimento dei posti a disposizione, tenute direttamente dall'ideatore e massimo rappresentante di questa particolare disciplina, Franco Arminio. La Fondazione Mida assegnerà 5 borse di studio ai più meritevoli, al fine di agevolare la partecipazione al corso.
Scrittore, poesta e regista, Arminio vive a Bisaccia (Av), piccolo paese dell’irpinia d’oriente. Ama definirsi un Paesologo e ha messo su una comunità virtuale sulla paesolgia, la “Comunità provvisoria”, dal nome degli insediamenti sorti nella sua terrà l’indomani del sisma dell’80. Sulla sua “scienza” è stato girato il film-documentario Di mestiere faccio il paesologo, di cui esgli stesso è protagonista. Roberto Saviano lo ha definito «uno dei poeti più importanti di questo Paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato». Poche settimane fa è uscito il suo ultimo libro, Terracarne (Ed. Mondadori).
Lo abbiamo intervistato per parlare proprio di Paesologia.
Arminio, cos'è la Paesologia?
La paesologia è un modo di visitare i paesi e di raccontarli. Una forma di attenzione al mondo esterno in cui però compare sempre anche ciò che ci portiamo dentro. Si può anche parlare di una scienza a metà tra l’etnologia e la poesia. Ovviamente si tratta di una scienza ben diverse dalle scienze di stampo positivista. Diciamo che il mio è il tentativo di porre le basi per un nuovo umanesimo, un umanesimo delle montagne.
Qual è stato il momento in cui ha sentito la necessità di raccontare i paesi? E quali i motivi?
Senza il terremoto non sarei diventato paesologo e forse neppure scrittore. Quel trauma ha agito nel profondo e agisce ancora. Anche perché dopo il terremoto c’è stata la ricostruzione. E la paesologia è venuta fuori proprio dall’esigenza di raccontare quello che i paesi erano diventati.
C’è un paese che l’ha colpita di più rispetto ad altri, osservandolo con gli occhi di un paesologo?
In genere mi emozionano di più i paesi più sperduti e affranti, quelli dove c’è il silenzio di chi se n’è andato e il silenzio di chi non è venuto. Considero questi paesi molto più belli di tanti luoghi rinomati. Tanto per capirci, a me Roscigno e Romagnano interessano molto più di Amalfi e Positano.
Per venire all’attualità, ultimamente si paventa addirittura l’ipotesi di cancellare con una legge i piccoli paesi. Secondo lei, invece, quale dovrebbe essere il loro ruolo e perché sono così importanti?
I paesi sono il nostro futuro, ne sono assolutamente convinto. I paesi ci salveranno. Adesso il momento è ancora molto difficile, forse alcuni moriranno, altri saranno inesorabilmente sfigurati, ma i paesi saranno la forma ideale dell’abitare in un futuro non lontano.
E da questo punto di vista i paesi dell’Appennino meridionale saranno i luoghi più ambiti.
Il terremoto è stato lo spartiacque della storia recente del territorio che lei abita e racconta. Quest’osservatorio nasce proprio per studiare e divulgare i cambiamenti intervenuti nelle società italiana post sisma. Trent’anni dopo il terremoto di Campania e Basilicata, qual è il sentimento che prova pensando al tempo trascorso. E nella catena delle responsabilità chi ha le maggiori colpe?
Sono stati fatti degli errori gravissimi. E la colpa è della classe dirigente del tempo. Hanno dato le case alle persone ma gli hanno tolto il paese. E poi lo sviluppo industriale non ha tenuto conto delle risorse del territorio. Secondo me più che porre l’accento sulla disonestà di questa classe dirigente, che sicuramente c’è stata, io porrei l’accento sulla mancanza di lucidità. Non hanno capito che i paesi per avere futuro devono sviluppare un loro modello e non diventare dei frammenti urbani sparsi nella campagna. Insomma, ci siamo trovati davanti a un deficit culturale che non è stato bilanciato dalle grandi risorse finanziarie messe a disposizione delle zone terremotate. Ci volevano meno soldi e più idee.
Nella prossima primavera porterà ad Auletta, presso la sede del nostro osservatorio, la sua Scuola di Paesologia. Ma cosa si insegna in una scuola di paesologia?
Si insegna a guardare il mondo esterno anche quando non ha l’aura della fama. Si insegna a guardare un posto dove non va nessuno. Si insegna a capire che non esistono luoghi in cui non c’è niente e che basta guardare a lungo e con attenzione per sentirci meglio: guardare i luoghi produce inevitabilmente anche una forma di riguardo.
di Valerio Calabrese
Intrecci e affari nella ricostruzione post sisma in Molise, dalla nascita della cricca, ai milioni di euro letteralmente volatilizzati. Dove e come nasce la cricca della protezione civile, un viaggio all’interno di quello che possiamo ritenere a ragione il più grosso affare ed il più grosso scandalo molisano.
di Michele Mignogna
“Il modello Molise ha funzionato, San Giuliano di Puglia, dopo 9 anni è risorta, abbiamo terminato la ricostruzione”. Queste le parole del sindaco di San Giuliano di Puglia Luigi Barbieri, candidato alle elezioni regionali con l’ADC di Aldo Patriciello, il giorno dell’inaugurazione della sede municipale storica, nel cuore del centro storico, interamente ricostruito, il palazzo marchesale è costato la bellezza di 6 milioni di euro, 3 per la parte che riguarda direttamente il Comune, per un totale di 5 impiegati più il sindaco che l’ha eletta a suo secondo domicilio, ed altri 3 per la parte che era abitata da alcuni cittadini. Questa è solo l’ultima mega opera che il primo cittadino, nonché soggetto attuatore per la ricostruzione, ha inaugurato poco prima delle elezioni cosi come di abitudine. Ma cosa è successo a San Giuliano di Puglia? Quali i metodi utilizzati per la ricostruzione? Soprattutto quali sono stati i soggetti interessati all’operazione che ha visto piovere letteralmente sul piccolo paese molisano la bellezza di 700 milioni di euro circa? Andiamo con ordine e torniamo con la mente a quei drammatici giorni a cavallo tra ottobre e novembre del 2002, quando una scossa di terremoto del settimo grado scosse l’area del fortore basso molisano, seminando panico e paura in tutta la provincia di Campobasso, tranne poi capire, successivamente che i comuni più colpiti erano “solo” 14, e tra questi c’era San Giuliano di Puglia, dove a seguito della scossa crollò un’ala della scuola seppellendo letteralmente 27 bimbi e la loro maestra. Una tragedia che porta tutt’oggi strascichi drammatici non solo per quella comunità, ma per tutto il Paese, vista anche la gara di solidarietà che immediatamente gli italiani hanno fatto. Poi però si scoprì che a far cadere la scuola Francesco Jovine non fu il terremoto, bensì gli errori che i tecnici e le imprese commisero durante il suo ampliamento, conseguenze che si sono tradotte in diversi anni di carcere per i soggetti coinvolti. Da allora San Giuliano è diventata una terra di sperimentazioni, i soldi arrivati sono stati tanti, e andavano spesi, e più si spendevano più la politica acquisiva forza e visibilità, e più la politica acquisisce forza e visibilità più si controllano i cittadini, questo in sostanza è successo in un piccolo lembo di terra, in cui si sono sperimentati su larga scala gli affari di quella che i giudici di Roma hanno definito come “una vera e propria cricca affaristica atta a far soldi sugli investimenti pubblici”. Ma la scoperta della cricca avviene nel 2009, quando alcune intercettazioni tra l’allora capo del PDL Denis Verdini e Angelo Balducci dirigente del Dipartimento per lo Sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, incaricati della gestione dei "grandi eventi", quindi parliamo dei mondiali di nuoto del 2009, dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia e dello scandalo ormai famoso delle strutture per il G8 della Maddalena, in cui nonostante lo Stato avesse speso centinaia di milioni di euro per le opere pubbliche non si fece in tempo, spostando cosi il summit dei grandi della terra a l’Aquila. Cosa c’entra tutto questo con il Molise vi starete chiedendo, c’entra eccome perché, in tutti gli imbrogli che vedono coinvolti la “cricca” c’è un funzionario della Protezione Civile che funge da collante tra imprenditori e vertici politici, dove tutti, a seconda dei propri bisogni, aveva la sua parte. Questo funzionario è Claudio Rinaldi, che come molti sapranno, è indagato a Roma per abuso d’ufficio e a Firenze per corruzione. In particolar modo, era il Commissario straordinario per i Mondiali di nuoto che ha favorito tanti “amici” nella costruzione di piscine e centri sportivi, totalmente incurante di leggi e piani regolatori. E non è finita. Rinaldi era in “affari” anche con Diego Anemone, l’imprenditore “piglia tutto” della protezione civile. Lo stesso Claudio Rinaldi è stato Soggetto attuatore per la ricostruzione in Molise, all’inizio era stato indicato dal Presidente del Consiglio per la ricostruzione della sola San Giuliano, poi però, di colpo si ritrova soggetto attuatore anche per molte opere pubbliche in tutto il Molise e che poco hanno a che fare con il terremoto, cosi complice anche la politica locale. Il soggetto attuatore ha fatto quello che ha voluto e con chi ha voluto e non solo lui.
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