LA PROVA GENERALE. Erano mesi che sentivo le scosse. Riesco a percepirle anche se sono sotto la soglia del 2° grado richter. Una leggerissima vibrazione, un impercettibile movimento, un colpo allo stomaco e via, verso nuove avventure. Prima a Fossa, dove avevo un casone bello, che amavo moltissimo. ne lamentavo la lontananza dal centro storico della città, però, centro in cui sono nata, in cui ho frequentato le scuole fino al liceo. posto dove ho cominciato a fare politica, dove erano tutti i miei amici, la mia vita. tutti i miei sforzi avevano un unico obiettivo: tornare a vivere in centro. finalmente l'otto marzo 2009 ce la faccio e scrivo nuovamente il mio cognome e quello di mio marito e di mio figlio su un campanello in via gualtieri d'ocre 18/A. la villa comunale. l'appartamento è all'ultimo piano di una palazzina moderna, carina, costruita sulla fiancata di una collina che dà su roio, e che le restituisce un panorama straordinario. dalla finestra della sala posso vedere le colline, fino a quella di fossa, si apre una vallata piena di colori, in ogni stagione dell'anno. e vado a piedi al lavoro, mio figlio dodicenne esce da solo. lascio la macchina parcheggiata in garage anche per due settimane. non mi serve più. lavoro in un bunker di cemento armato al terminal di collemaggio, struttura antisismica. ogni scossa, da febbraio in poi, arriva con un boato clamoroso, che accompagna anche quelle piccolette. l'ufficio dondola, appeso com'è ai travoni di cemento. vibra tutto, sempre.
Prima non avevo paura del terremoto. da febbraio ho cominciato a consideralo una presenza scomoda, sempre di più. compagno di lavoro, ospite ad ora di pranzo, con una invadenza incontrollabile a volte si infila pure sotto le mie lenzuola di notte e mi sveglia. insopportabile.
I colleghi mi prendono in giro. gli amici che vedono montare la mia ansia mi prendono in giro. mio marito, ruandese, mi prende in giro. mi dice che nella sua terra i terremoti sono quotidiani. e che non serve scappare. penso che è il solito fatalismo degli africani e mi innervosisco ancora di più. mi capita anche di scoppiare a piangere, dopo una scossa di 2.5 sentita al lavoro. ho i nervi tesi. devo fortissimamente trovare un motivo razionale che mi consenta di calmarmi e lo trovo. le parole degli esperti mi rassicurano. le parole di massimo, che non ha paura, mi rassicurano. gli scherzi di alessandro, che mi dice "guarda che fra un po' arriverà quella forte" paradossalmente mi fanno ridere e mi rassicurano.
Invece poi improvvisamente mi arrabbio contro la mia palazzina. non ha ascensore. terzo piano. mio padre è completamente paralizzato da tempo. è alto, pesa novanta chili. la casa diventa una trappola per topi, insomma. alti e bassi. sono sull'orlo di una crisi di nervi.
30 marzo 2009. all'improvviso, in ufficio, devo reggere il monitor del mio computer con le mani, altrimenti cade. per un attimo non riesco ad alzarmi dalla sedia. poi finisce. dico al mio collega "questa ha buttato giù i palazzi". mi telefona mia madre "tuo figlio è terrorizzato". il mio collega si sincera che a casa sua tutto vada bene. ma io corro, scendo in garage (merda, ho i tacchi, proprio oggi), devo andare a prendere mio figlio. oggi ho la macchina, per fortuna. i portelloni antincendio del terminal si sono chiusi. aiutatemi ad uscire, per favore, merda, merda....arrivo a casa. vedo la badante di mio padre in strada. la gente fuori. mio figlio in lacrime, perchè la sua collezione dei simpson è in terra. non sapevo ancora che quella era la prova generale.
IL DEBUTTO 5 aprile 2009. decido che è tutto finito. tolgo la valigia dalla macchina, porto l'acqua in casa. ho dormito vestita per tutta la settimana. stanotte mi spoglio, mi metto un pigiama, sono tranquilla. alla prima scossa mio figlio si sveglia, arrabbiatissimo e dice "basta terremotoooooooo! vengo a dormire nel tuo letto!" “ma sì…per questa volta va bene così. domani c'è scuola, devi dormire”. arriva un sms dalla mia collega. ha paura come me, in genere, ma questa volta mi tranquillizza, il mostro è a forlì. boh, dico, se l'abbiamo sentita così qua, avrà spianato la città a forlì. ma il tg non dice nulla. dormo. mi sveglio alla seconda scossa. guardo mio figlio che neanche se ne accorge e mi giro dall'altra parte. dormo.
toc-toc-toc-toc-...questo rumore mi accompagnerà per tutta la vita. mi ritrovo per terra, dall'altra parte del letto, sotto il piumone. non capisco cosa succede. mio figlio dorme, istintivamente lo prendo per mano per trascinarlo in un posto più sicuro, sotto la porta. non ci vedo, non trovo gli occhiali, sono scalza. cerco di andare verso la stanza dei miei vecchi genitori, ma non posso passare. l'armadio si è aperto, è tutto per terra, devo scavalcare. Mio marito mi guarda con gli occhi spalancati “sbrigati sbrigati sbrigati…usciamo da qua”. Mia madre dice “andate salvatevi voi, io resto con papà”. Non ci posso credere. In una frazione di secondi devo decidere se mettere in salvo mio figlio o restare a cercare di far uscire mio padre da casa. Ci vorrebbe troppo tempo. Salvo mio figlio. Scalzi, per le scale senza luce e senza gradini, fra le pareti che esplodono, la polvere, il sangue, le urla dei ragazzi universitari a piano terra, arriviamo al portone. È bloccato. Siamo in trappola. Non si apre. Non usciamo. E mentre siamo lì, dai vetri del portone vedo la palazzina gemella alla nostra, separata da un vialetto di sei metri, che viene giù…un ragazzone dall’altro lato del portone dà una spallata potente. Usciamo. E con noi, come zombie, la vicina di casa con la faccia sfigurata, i ragazzi con le ferite ai piedi, le amiche di Sara, la sorella di Valentina. Facciamo i conti. Una puzza di gas invade l’aria. Intimo a mio marito e mio figlio di allontanarsi immediatamente verso la villa comunale. Mia madre ha fatto in tempo a buttare addosso a mio figlio il cappotto di mio padre e una giacca a vento. È scalzo, ma non fa niente. La paura allontana il freddo…e allontana anche loro. Non li vedrò più fino alle sette di mattina…io non posso andare. Ho gli occhi fissi sul nostro appartamento. I miei sono lì. Ancora. Non so come fare per chiedere aiuto, il telefono non funziona, non posso allontanarmi. Penso che adesso anche la mia palazzina verrà giù. E li vedrò morire. Mia sorella non risponde, una nuvola bianca copre tutto.
6 aprile 2009. ore 7.30. Valentina e Sara sono morte. Una squadra di 4 forestali sale per le scale pericolanti di casa e in trenta secondi porta giù mio padre in carrozzella e mia madre. Ritrovo i miei. Mia sorella è con noi. Ricomincio a fumare dopo tre anni. Tanto, la vita non sarà più la stessa..
Maria Luisa Serripierro