Il marocchino vende orologi sulla strada della cattedrale, ha ricavato un banco nella nicchia accanto alle vetrine del bar "Venezia", un luogo insieme esposto e appartato, quasi un bazar dove puoi trovare di tutto e apprezzare la gentilezza un po' circospetta di uno che il vento della miseria ha spazzato via dall'Atlante e non gli par vero di essere trapiantato qui fra le montagne, fuori da ogni rotta, nel cuore del cratere, grazie alle baracche del terremoto. Rosetta D'Amelio, il sindaco, la racconta in questo modo: "Disgraziatamente non siamo ancora riusciti a smantellare tutti i prefabbricati". Ne restano un centinaio, per quattrocento persone, vent'anni dopo. Non ci abitano solo i terremotati storici, ovviamente. Di questi, ce n'è una manciata che non aveva una casa di proprietà al momento del crollo e per cui non è stata tempestivamente pensata una risposta in termini di edilizia economicopopolare. Ma la gran parte degli inquilini è di seconda e terza generazione: nuove coppie che, non avendo un luogo dove andare, si sono sistemate alla meno peggio nei locali che qualcuno aveva sgombrato.