Mercoledì 14 Marzo 2012 17:26

Realacci: "Torniamo a fare l'Italia"

Scritto da  Valerio Calabrese
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L'intervista

 

Ermete Realacci, parlamentare-ecologista, è senza dubbio tra i maggiori promotori in Italia della "strada verde" per l'uscita dalla crisi. Politico che proviene dal mondo dei movimenti e del volontariato - è stato per trent'anni mente e cuore di Legambiente, di cui è oggi Presidente onorario - conosce il Paese reale, con le sue eccellenze e i suoi drammi. Ha creato Symbola, Fondazione per le qualità italiane, e dato di recente alle stampe  il libro "Green Italy. Perchè ce la possiamo fare". Il prossimo 15 aprile sarà tra i relatori di un convegno organizzato dal nostro Osservatorio per parlare di Sud. L'abbiamo incontrato per porgli qualche domanda.

 

Onorevole, lei ha contribuito in maniera determinante alla nascita e all'avventura della più diffusa e radicata associazione ambientalista italiana, Legambiente, di cui oggi è Presidente onorario. Qual è la cosa più importante che ha imparato in trent'anni di impegno per l'ambiente?

Credo ci sia un filo conduttore che unisce questi decenni, a partire dalle esperienze giovanili, poi alla Legambiente, passando per Symbola, fino all’impegno nella politica. Un tentativo di vedere i problemi e affrontare le questioni, non guardando attraverso il buco della serratura, ma cogliendo le tante sfaccettature che, di volta in volta, si presentano. Sapendo che il bene e il male raramente ci fanno il favore di essere distinti con nettezza, ma non per questo possiamo esimerci dalla responsabilità di scegliere. Non fosse altro per ottenere quello che il mio amico Adriano Sofri, chiamerebbe riduzione del danno.

 

In un momento in cui il Paese è guidato da “tecnici” e i partiti sembrano essere relegati al mero giudizio delle decisioni politiche più che al loro compimento, ha ancora senso l'impegno civile dei cittadini nel mondo del volontariato e della politica?

Ovviamente sì. Pensiamo solo, per fare un esempio, all’esperienza del milione e trecentomila volontari che scendono in campo da nord a sud ogni volta che un disastro colpisce il Paese per portare soccorso ai territori e ai cittadini piegati da catastrofi naturali. Quello è un serbatoio irrinunciabile di valore e qualità su cui l’Italia può contare, una punta di eccellenza del nostro paese a livello internazionale. E’ questo uno dei tanti casi che la politica e l’economia fanno fatica a leggere. Una risorsa che di certo non leggono le agenzie di rating.

 

Nel 2005 ha creato la Fondazione Symbola di cui è oggi presidente. Ci spiega in poche battute le ragioni che l'hanno portata a crearla e i progetti su cui questa è oggi impegnata.

La fondazione è stato un modo nuovo per cogliere e mettere in rete la parte migliore del nostro paese, fatta di talenti, di imprese grandi e piccole, di persone, di territori, uniti nella sfida della qualità. Tra gli ultimi progetti il PIQ, il Prodotto Interno Qualità e la ricerca sulle Industrie Culturali.

 

Il suo impegno da parlamentare ha puntato spesso verso la salvaguardia dei piccoli comuni, riuscendo a dare alla luce anche una legge ad hoc che li tutela e li valorizza. Cosa rappresentano per la nostra nazione i comuni della “piccola grande Italia”?

Ho sempre pensato che i piccoli comuni rappresentino una straordinaria opportunità per l’Italia. Lo scopo della legge è quello di indicare con chiarezza una direzione ed una politica: considerare i piccoli comuni non un peso per il nostro Paese, un’eredità del passato, ma una straordinaria occasione per difendere la nostra identità, le nostre qualità e costruire il futuro. Per valorizzare i tanti talenti dei nostri territori, per tenere presente che la coesione delle nostre comunità è indispensabile anche per affrontare con successo la difficile crisi che stiamo vivendo. Per tutte queste ragioni i piccoli comuni non possono essere impoveriti indebolendo i servizi essenziali come scuole, presidi sanitari e delle forze dell’ordine, uffici postali, piccoli esercizi commerciali, parrocchie.

 

Ha da poco dato alle stampe per i tipi di Chiarelettere “Green Italy – Perchè ce la possiamo fare”, una sorta di via ecologista per l'uscita dalla crisi. Un viaggio che l'ha portata a conoscere da vicino esperienze di eccellenza di cui non si parla mai abbastanza. Qual è l'Italia che racconta?

C’è già molto più green nell’economia italiana di quanto si creda. E’ un cuore verde, dinamico e vigoroso. Secondo il Rapporto GreenItaly 2011 presentato recentemente da Symbola e Unioncamere emerge che non parliamo di un settore legato esclusivamente ai comparti tradizionalmente ambientali – come per esempio il risparmio energetico, le fonti rinnovabili o il riciclo dei rifiuti – ma un vero e proprio “filo verde”, che attraversa e innova anche i settori più maturi della nostra economia, perché la peculiarità della green economy italiana sta proprio nella riconversione in chiave ecosostenibile dei comparti tradizionali dell’industria italiana di punta. In Green Italy, attraverso 25 casi, provo a raccontare dal Nord al Sud, queste storie di un’alleanza tra imprese e comunità, tra ambiente e nuovi modi di vivere che possono traghettarci verso un paese più desiderabile e più competitivo. Dove ci sono valori immateriali che non si misurano in Borsa e dove molte delle storie che raccontiamo sarebbero state impossibili senza passione, coraggio, intelligenza, caparbietà, onore.

 

Il nostro Osservatorio indaga le trasformazioni economiche e sociali intervenute nelle comunità colpite negli ultimi 30 anni da grandi terremoti. Quale crede sia stato il maggiore sbaglio della politica nella gestione delle ricostruzioni?

Quello di aver dimenticato che il nostro è un paese fragile, costantemente a grave rischio sismico e con gran parte del patrimonio edilizio di qualità scadente. Una condizione che richiederebbe la massima attenzione quando si costruisce e che invece viene costantemente disattesa quando si da il via libera alla deregulation edilizia, alla cementificazione senza qualità, a costruzioni lontane dagli standard antisismici indispensabili in un paese dove la terra trema. Se si avviasse immediatamente un piano straordinario di consolidamento e miglioramento sismico degli edifici pubblici e privati, non solo si potrebbe mettere in sicurezza gran parte della popolazione, ma si potrebbe rilanciare un'economia legata all'edilizia di qualità, in grado di produrre anche un rilevante effetto sul terreno occupazionale. Più di un occasione ho avanzato la richiesta di una misura concreta attivabile da subito; quella di stendere il beneficio fiscale del 55%, non solo a chi ristruttura la proprio abitazione nel segno dell’efficienza energetica, ma anche a chi vuole intervenire con requisiti antisismici.

 

Ad aprile sarà nostro ospite nell'ambito di un dibattito sul Sud. Cosa dovrebbero fare, secondo lei, il Governo e il Parlamento per riportare l'Italia e in particolare il nostro meridione ai livelli dei grandi Paesi europei?

Il Paese, ne sono convinto, ha le energie per vincere questa sfida. Dovremo, però, imparare a guardare la nostra terra negli occhi, con la simpatia e l’affetto necessari a cogliere i suoi tanti talenti. La crisi finanziaria è una questione ineludibile, certamente. Ma non è la sola. Possiamo fronteggiarla, se liberiamo le energie positive del Paese, che non mancano: ritrovando nell’Italia migliore le radici del nostro futuro, attenti a che nessuno resti indietro. Ce la possiamo fare, se perseguiremo con convinzione la riconversione ecologica della nostra economia, dei consumi e degli stili di vita, scommettendo su una green economy tricolore, che sposa i saperi e le vocazioni nazionali. Che tiene insieme le tradizioni secolari con l’elettronica e la meccanica di precisione. Che punta su ricerca e conoscenza per produrre un’economia più sostenibile e avanzata. Che si apre ai mercati globali e rinsalda i legami con il territorio, che lega la competizione alla cura della coesione sociale, del capitale umano e dei diritti dei lavoratori. Che coniuga la testarda ostinazione sulla qualità artigianale dei prodotti alla bellezza e all’hi-tech. Che a una maggiore qualità della vita associa un minore impatto sull’ambiente. Ce la faremo, se sapremo innovare senza dimenticare chi siamo e senza dimenticare i più deboli. Se torneremo, insomma, a fare l’Italia.

 

intervista di Valerio Calabrese



Pubblicato in Attualità