Giovedì 06 Ottobre 2011 08:43

La Ferrero di Balvano: quella straordinaria normalità

Scritto da  Valerio Calabrese
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Lo stabilimento Ferrero a Balvano (Pz) Lo stabilimento Ferrero a Balvano (Pz)

Erano più di cento i sindaci delle Langhe che lo scorso 27 aprile hanno salutato per l’ultima volta l’imprenditore Pietro Ferrero. Tre i maxischermi posti nel piccolo paese di Alba, famoso per il tartufo quanto per la nutella, e dove ha sede il colosso della Ferrero. La presenza dei sindaci, cento sindaci, pur sembrando un atto dovuto, un dovere istituzionale, dà la misura del legame, della riconoscenza tra la cittadinanza e l'azienda.

La famiglia Ferrero dell’impresa ha fatto una filosofia di vita e della riservatezza un tratto distintivo, in un mondo che da quel che sembra va nel senso opposto. Del compianto Pietro Ferrero il vescovo di Alba, monsignor Giacomo Lanzetti, durante l’omelia ha detto: “Un esempio di rettitudine, laboriosità, sensibilità e onestà, un uomo vero e serio su cui la comunità ha potuto contare”. Apparentemente impostata su un modello novecentesco d’impresa, nel concreto la Ferrero Spa si sostanzia in un colosso con oltre 20.000 dipendenti sparsi in 18 stabilimenti nel mondo.

Ma può una multinazionale (suoi i marchi Nutella, Kinder, Estathè, Tic Tac), un’azienda globale, riuscire mantenere un’etica dei rapporti, una dignità industriale, un legame forte con la comunità di appartenenza? A volte, eccezionalmente, accade. E la Ferrero rappresenta una di queste poche eccezioni.

Eppure, se davvero si vuol conoscere la Ferrero, la sua storia, il perché della reverenza nei suoi confronti, i motivi del rispetto bisogna allontanarsi dalla terra dei falò, quella che ha dato i natali a Cesare Pavese e Paolo Conte. Per capire l’unicum di quest’azienda bisogna rotolare verso sud, lasciare a Sicignano degli Alburni la Salerno-Reggio e imboccare la leggendaria SS. 407. E, basento basento, giungere a Balvano (Pz).

A Balvano alle 19.34 del 23 novembre del 1980 venne giù tutto. Nel crollo della chiesa morirono in 77, quasi tutti bambini, il resto anziani. Il futuro e il passato. A Balvano scesero a piangere Papa Wojtyla e Sandro Pertini. E poi aiuti internazionali, volontari, medici, soldati. E quando questi andarono via arrivarono i soldi, tanti soldi, forse troppi. La legge 219/81 individuò Balvano quale uno dei venti paesi in cui operare un esperimento di industrializzazione. La gente chiedeva pane e lavoro. Lo Stato portò le industrie. Ai contadini e i pastori fu offerto di lasciare campi e bestiame, per accudire i loro nuovi padroni: le macchine. Gli sprechi della 219 furono scovati nel 1990 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro. E dopo 10 anni messi in fila e incolonnati in 239 pagine dalla Corte dei Conti. «L’obiettivo del legislatore – si legge nelle conclusioni della sentenza – era quello di stimolare le imprese del nord a trasferire impianti e investimenti nel mezzogiorno, in modo da sollecitare la crescita dell’imprenditoria locale, ma ciò non si è realizzato visto che molte imprese hanno considerato la legge una occasione per accedere a finanziamenti pubblici, ed esse, ottenuto il consistente acconto iniziale, pari al 90%, non hanno portato a termine l’iniziativa, mentre tutti i provvedimenti legislativi successivi si sono rivelati nient’altro che un rifinanziamento delle imprese locali; infatti, gli acconti iniziali erogati nella misura del 70% del contributo concesso, pari al 75% degli importi previsti nel progetto presentato, hanno indotto, in molti casi, le imprese a non concludere gli interventi programmati.» Lo Stato scopre ancora una volta un grande canale da cui drenare avidamente soldi. «Qui al sud abbiamo avuto più soldi nel dopo terremoto che in cento anni di unità d’Italia» commentò cinicamente uno dei massimi gestori di quei fondi, Paolo Cirino Pomicino. Va da sè, allora, che in un tale sfacelo, in una tanto commiserevole stagione politica, un’ordinaria esperienza industriale rappresenti un fiore cresciuto sul cemento della ricostruzione.

Perché il caso dell’impianto Ferrero a Balvano, è allo stesso tempo un caso straordinario e normale, anzi, straordinario perché normale.

Tre delle sei aziende previste sul territorio di Balvano non hanno mai aperto, o poco dopo hanno chiuso. Dei 450 addetti, oltre ’85% sono occupati presso la Ferrero. E di tutte le aziende delle 20 aree industriali realizzate con i soldi della 219 solo l’azienda di Alba ha raddoppiato gli addetti previsti.

Eppure, più d’una volta l’azienda dolciaria è stata, per così dire, tirata per la giacca nelle magagne del doposisma. Lo fece, ad esempio Enzo Di Carlo, sindaco di Balvano per il lungo periodo della ricostruzione. Quando Scalfaro lo interrogò dinnanzi la commissione parlamentare d’inchiesta, chiedendogli perché dopo avere localizzato l'area industriale a Baragiano, a 300 metri sul livello del mare, è stato deciso di sdoppiarla costruendone metà lì e metà a mille metri d'altezza, in cima alla

montagna che domina la valle, il sindaco democristiano rispose che fu invitato a farlo dalla dirigenza della Ferrero. «Ce l' hanno chiesto loro. Dicevano che lassù le merendine lievitano meglio». «E lei ci viene a dire che l' area industriale è stata spostata in montagna, spendendo tutti quei soldi, per le merendine?» fu la basita replica di Scalfaro. Il conto della spesa fu fatto anni dopo dalla Corte dei Conti. Quasi un milione e mezzo di euro ad operaio impiegato. Buana parte spesi in bustarelle. Ma la Ferrero non fu nemmeno sfiorata dallo scandalo, né confermò mai le parole dell’ex sindaco.

La Ferrero sfornava merendine, mentre la politica armeggiava il pubblico denaro.

Ma la grandezza di un’impresa come poche nel mondo si misura anche dalla resistenza al passare del tempo e delle stagioni. Quella politica e quei politici sono passati, finiti nell’oblio della loro mediocrità, la Ferrero è rimasta. A stringere un legame con i luoghi. Tra gli scaffali del più sperduto negozietto di paese fino ai mercati finanziari di Hong Kong. A Balvano come a Francoforte, nelle Langhe come a Wall Street la buona impresa tira dritto, nonostante tutto.

Pubblicato in Dossier