Si terrà a fine maggio presso il Palazzo dello Jesus di Auletta (Sa), sede dell'Osservatorio permanente sul dopo sisma, la Scuola di Paesologia. Cinque giorni di lezioni-incontro, gratuite e fino ad esaurimento dei posti a disposizione, tenute direttamente dall'ideatore e massimo rappresentante di questa particolare disciplina, Franco Arminio. La Fondazione Mida assegnerà 5 borse di studio ai più meritevoli, al fine di agevolare la partecipazione al corso.
Scrittore, poesta e regista, Arminio vive a Bisaccia (Av), piccolo paese dell’irpinia d’oriente. Ama definirsi un Paesologo e ha messo su una comunità virtuale sulla paesolgia, la “Comunità provvisoria”, dal nome degli insediamenti sorti nella sua terrà l’indomani del sisma dell’80. Sulla sua “scienza” è stato girato il film-documentario Di mestiere faccio il paesologo, di cui esgli stesso è protagonista. Roberto Saviano lo ha definito «uno dei poeti più importanti di questo Paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato». Poche settimane fa è uscito il suo ultimo libro, Terracarne (Ed. Mondadori).
Lo abbiamo intervistato per parlare proprio di Paesologia.
Arminio, cos'è la Paesologia?
La paesologia è un modo di visitare i paesi e di raccontarli. Una forma di attenzione al mondo esterno in cui però compare sempre anche ciò che ci portiamo dentro. Si può anche parlare di una scienza a metà tra l’etnologia e la poesia. Ovviamente si tratta di una scienza ben diverse dalle scienze di stampo positivista. Diciamo che il mio è il tentativo di porre le basi per un nuovo umanesimo, un umanesimo delle montagne.
Qual è stato il momento in cui ha sentito la necessità di raccontare i paesi? E quali i motivi?
Senza il terremoto non sarei diventato paesologo e forse neppure scrittore. Quel trauma ha agito nel profondo e agisce ancora. Anche perché dopo il terremoto c’è stata la ricostruzione. E la paesologia è venuta fuori proprio dall’esigenza di raccontare quello che i paesi erano diventati.
C’è un paese che l’ha colpita di più rispetto ad altri, osservandolo con gli occhi di un paesologo?
In genere mi emozionano di più i paesi più sperduti e affranti, quelli dove c’è il silenzio di chi se n’è andato e il silenzio di chi non è venuto. Considero questi paesi molto più belli di tanti luoghi rinomati. Tanto per capirci, a me Roscigno e Romagnano interessano molto più di Amalfi e Positano.
Per venire all’attualità, ultimamente si paventa addirittura l’ipotesi di cancellare con una legge i piccoli paesi. Secondo lei, invece, quale dovrebbe essere il loro ruolo e perché sono così importanti?
I paesi sono il nostro futuro, ne sono assolutamente convinto. I paesi ci salveranno. Adesso il momento è ancora molto difficile, forse alcuni moriranno, altri saranno inesorabilmente sfigurati, ma i paesi saranno la forma ideale dell’abitare in un futuro non lontano.
E da questo punto di vista i paesi dell’Appennino meridionale saranno i luoghi più ambiti.
Il terremoto è stato lo spartiacque della storia recente del territorio che lei abita e racconta. Quest’osservatorio nasce proprio per studiare e divulgare i cambiamenti intervenuti nelle società italiana post sisma. Trent’anni dopo il terremoto di Campania e Basilicata, qual è il sentimento che prova pensando al tempo trascorso. E nella catena delle responsabilità chi ha le maggiori colpe?
Sono stati fatti degli errori gravissimi. E la colpa è della classe dirigente del tempo. Hanno dato le case alle persone ma gli hanno tolto il paese. E poi lo sviluppo industriale non ha tenuto conto delle risorse del territorio. Secondo me più che porre l’accento sulla disonestà di questa classe dirigente, che sicuramente c’è stata, io porrei l’accento sulla mancanza di lucidità. Non hanno capito che i paesi per avere futuro devono sviluppare un loro modello e non diventare dei frammenti urbani sparsi nella campagna. Insomma, ci siamo trovati davanti a un deficit culturale che non è stato bilanciato dalle grandi risorse finanziarie messe a disposizione delle zone terremotate. Ci volevano meno soldi e più idee.
Nella prossima primavera porterà ad Auletta, presso la sede del nostro osservatorio, la sua Scuola di Paesologia. Ma cosa si insegna in una scuola di paesologia?
Si insegna a guardare il mondo esterno anche quando non ha l’aura della fama. Si insegna a guardare un posto dove non va nessuno. Si insegna a capire che non esistono luoghi in cui non c’è niente e che basta guardare a lungo e con attenzione per sentirci meglio: guardare i luoghi produce inevitabilmente anche una forma di riguardo.
di Valerio Calabrese