fondazione Mida

Sabato 21 Maggio 2011 11:32

L'ora scura. Napoli raccontata da una storia inedita/II Parte

Scritto da  Sandra Paturzo
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La signorina Pina stava scendendo le scale, la mattina le piaceva fare la colazione al bar, quello di Piazza Cavour, vicino alla scuola in cui aveva lavorato per tanti anni, quando incontrò un giovanotto che non aveva mai visto.

La cosa che più la colpì era l’enorme quantità di braccialetti che aveva al polso.

“Sto passando per la colletta per i Gigli. Adesso li organizziamo noi” le disse con voce sgarbata.

I Gigli sono frutto ardito della passione napoletana per le raffigurazioni sacre.

Enormi impalcature di legno, che sostengono delle figure sacre, costruite in cartapesta, e portate rigorosamente a spalla, per la festa della Madonna dell’Arco.

La signorina Pina rimase interdetta, “Ma io i soldi per i Gigli li ho già dati a Don Pasquale”, e il don a Napoli non si usa solo per i parroci, “E poi so che padre Mattia quest’anno non vuole”.

“ Quest’anno il quartiere è cambiato. Non siete più di Don Felice.”

“ Ah e ora di chi siamo?”, rispose lei tra il serio e il faceto.

La signorina Pina non si faceva intimidire, ma sicuramente non era quieta, non apparteneva per nulla a quella logica e sistema di vita, e comunque i suoi soldi erano rigorosamente nascosti nelle taschine che si cuciva all’interno del vestito.

“ Guagliò nun sbaglià, lascia sta ‘a signurina” si affacciò dalla porta di casa Luca, il marito di Emanuela, e la sua voce bastò a far dileguare l’intruso.

Si voltò per ringraziare, ma Luca, detto Lucariello, aveva già richiuso la porta.

Strinse i denti, e andò alla fermata dell’autobus, sulla “residenziale”, le ci sarebbe voluta almeno un’ora per coprire con “i mezzi”, quei cinque chilometri che la distanziavano dal centro di Napoli.

Aveva sempre fatto una vita tranquilla la signorina Pina, in pace con il mondo, e sempre pronta alla cristiana misericordia, e le faceva un dolore al cuore accorgersi di come le persone che popolavano il suo quartiere fossero entrate in una trama diversa, con modelli e stili di vita che lei proprio non capiva.

Però certe cose resistevano al tempo, e lei era convinta che la buona educazione una volta insegnata, poi alla fine  resta dentro le persone, oggi si sentiva un po’ soddisfatta, aveva parlato ad Emanuela la sera innanzi, ed Emanuela aveva capito, si era scusata, e le aveva portato rispetto.

“Non ci avevo pensato. Scusate Signurì”, e la sua ansia era passata, fino a che restavano i ragazzi che erano stati i suoi buoni bambini, quelli a cui aveva regalato le caramelle, poteva stare tranquilla.

 

“Oggi l’acqua è marrone, Carmelì vai addù Don Peppino e fatti dare una cassetta!”

“ Mammà ma non lo vedi che devo andare al lavoro?!”

“ Carmelì tengo la sciatica che mi fa male, e tuo padre è già sceso p’’a fatica”.

Il lavoro a Napoli si chiama fatica, e questo racconta molto di quello che significa il lavoro a Napoli.

Carmelina scese di casa sbuffando, e quasi si scontrò con Fulvio che stava andando all’Università a piedi.

“Carmen buongiorno” le disse sorridendo.

La sua consueta sfrontatezza in quel momento era andata in vacanza, “ Buongiorno a te”, rispose, sperando non si vedesse che le si piegavano le gambe.

Ma dentro di sé prevalse la tenacia con cui si aggrappava alla vita, non poteva lasciarlo passare così,

“Ma tu sempre a piedi vai?”, gli disse al volo, con aria da dura.

“ Carmen io abito qui, proprio per arrivare all’Università a piedi. Altrimenti la vita sarebbe infernale, con il traffico che c’è in questa città! Però mi piace molto qui. Da casa mia si vede il mare, e questi palazzi antichi sono così belli” concluse con un sorriso.

Lei si guardò intorno, vide per prima cosa la munnezza, poi le facciate delle case erose dal tempo, i basoli sconnessi, e i motorini parcheggiati sui marciapiedi alla rinfusa, dove c’erano i marciapiedi, e pensò che questi ricchi e studiosi dovevano avere sicuramente qualche cosa in più, fosse stata la fantasia, il romanticismo che solo i ricchi possono permettersi.

Poi pensò al mare, che dal suo punto di vista era davvero fuori di scena, e sorrise, all’improvviso le parve piccolo, quasi un bambino, e cercò nella mente qualcosa che potesse piacergli.

“ Domani mi accompagni all’Ospedale delle bambole? Il giovedì è aperto di pomeriggio, ed io ho una bambola della moglie del mio capo, da portare ad aggiustare.”

“ L’Ospedale delle bambole? Ne ho sentito parlare, mò mi hai messo la curiosità di vederlo. Mi sembra una bella idea. A che ora dovremmo andarci?”

A Carmelina veniva voglia si mettersi a ballare, ma naturalmente non poteva darlo a vedere, “ Alle cinque andrebbe bene. Scendo con il pullman dal Vomero, ci vediamo davanti a Porta Capuana, per te va bene?”.

Tornò a casa col passo leggero, malgrado il peso della cassetta d’acqua.

Quel giorno al lavoro l’accompagnò Johnny il biondo, prendendo in prestito un motorino a riparare nel magazzino, che lei aveva fatto tardissimoooo, e quella mattina aveva davvero una bellezza speciale.

C’era un gran fermento allo studio, si avvicinavano le elezioni comunali, ed il dott. Tolone voleva fare la sua parte, sostenendo un leader locale, la convocò nella sua stanza, con aria seria.

“ Carmela” solo lui la chiamava così, “Noi dobbiamo salvare questa città. Tu mi darai una mano non è vero?”.

“Noi?” pensò Carmelina “ e  io e voi, che tennimm a cche berè?”, era divertita dall’incongruenza di quel noi, non riusciva a pensare a niente di più lontano di lei ed il dottor Tolone, sorrise, “Certamente dottore”, rispose con fare compito.

La città si stava riempiendo di manifesti con enormi facce sorridenti, e Carmelina restava del tutto indifferente, sapeva bene che la sua vita non sarebbe cambiata, qualunque cosa fosse successa, chiunque avesse avuto ragione, e questo le bastava.

L’indomani mattina s’incontro sull’autobus con la signorina Pina.

“ Signurì ma voi di queste elezioni che pensate?”

“ E’ una seccatura Carmelì, ma io il mio dovere lo faccio.”

“ E vi posso chiedere che cosa votate?”

“Io ho deciso che è giusto farli alternare. Una volta voto ad uno ed un’altra a quell'altro. Tanto peggio di così non possiamo andare.”

Carmelina l’ascoltava in silenzio, aveva molto rispetto per la signorina Pina, e voleva cercare di capire, perché lei di politica non aveva mai capito niente.

Quand’era piccolina nel quartiere c’erano le sezioni, pure suo padre ci andava, ma adesso c’erano solo i vecchi che giocavano a carte, stasera avrebbe chiesto a Fulvio, lui che era tanto intelligente, e che vedeva sempre le cose che lei non riusciva a vedere.

 

Fulvio era già lì che l’aspettava, l’autobus come sempre aveva fatto ritardo, la prese sottobraccio e s’incamminarono insieme per via dei Tribunali.

L’ospedale delle bambole è una piccola botteguccia, con la vetrina impolverata, in cui un amabile vecchietto ripara e riveste le bambole disastrate dal tempo, a Napoli è un’istituzione, e lui questo lo sa, così pretende sempre che i suoi aspiranti clienti, si siedano con lui a fare un poco di conversazione, prima di dargli un incarico.

Entrarono, Fulvio avevo lo sguardo rapito dalla meraviglia, e sedettero su delle seggiole impagliate, messe lì apposta per fare conversazione.

“Se continua così, io questa non la posso neanche più aprire” fece il vecchio, alludendo con la faccia alla bottega e alla spazzatura che da fuori faceva capolino.

In quei giorni a Napoli non si riusciva a parlare di altro.

“ Bisognerebbe fare la rivoluzione” disse Fulvio all’improvviso, “ Come con Masaniello, nel ‘99”.

Lei lo guardò interdetta, sapeva chi era Masaniello, ma sapeva pure che i rivoluzionari erano stati tutti ammazzati, e questo le sembrava un sacrificio remoto, roba d’altri tempi, non ne poteva valere la pena.

Si morse le labbra, ma lei non sapeva proprio starsene zitta, “ Io credo che qua a Napoli non ha mai fatto bene nessuno.”

Qualunquismo, disfattismo?, ormai l’aveva detto.

“E’ perché c’avimm mannat solo chi voleva fottere” rispose il vecchio.

“ Ma c’è stato un momento in cui la società civile ha prodotto un diverso modo di stare assieme”.

Lo guardarono con aria interrogativa e attenta, e Fulvio si sentì invitato a continuare, “Penso ad esempio alla Mensa dei bambini proletari, che fu fatta negli anni ’70, una risposta della gente, per la gente. Io credo che questo significhi essere comunità”.

“Erano altri tempi, dottò” disse il vecchio artigiano, Carmelina si vergognava di dire che non sapeva di cosa stessero parlando, però l’idea della gente che lavora insieme, per fare un servizio ad altra gente, senza nemmeno che fossero preti, le piaceva davvero.

Tornarono a casa che era buio, e Carmelina si sentiva diversa, come se la sua testa avesse preso a girare in una maniera nuova, il vicolo era stranamente solitario.

Patrizia, quella che abitava al piano di sotto, quando la vide passare, le fece cenno di entrare in casa sua, che le doveva parlare.

C’era una strana agitazione nei suoi occhi, e Carmelina  entrò preoccupata.

“Abbiamo deciso che stanotte andiamo a dare fuoco a tutta sta munnezz. Dobbiamo fa una lampa ! Mettiamo tutto al centro ra via, nu poc e benzin e via”.

“ Scusa ma a che serve?”

“ Te pare a te che si po’ stà accussi?”

“ Io credo che sia pericoloso e inutile”

“Ha parlato a studentess…C’avimm fa sénter, questo è il momento. Con le elezioni alle porte, avimm fa casin”.

“ E beri-beri, quello che dorme nei cartoni? Se piglia fuoc pur iss?”

“C’ho diccimm” fu la risposta.

La signorina Pina quella sera pensava al nipote, che era dovuto andare fino a Milano, per trovare un posto, e adesso l’avevano messo in cassa integrazione.

Era un ragazzo solare, e adesso lei non lo vedeva più, e non era per niente tranquilla per il suo futuro.

Pensava la signorina Pina, pensava che i ragazzi dovevano essere aiutati, che oggi la via si era fatta stretta, non era più come ai suoi tempi, che lei il lavoro da sola se l’era trovato.

Pensava la signorina Pina, e il suo cuore si riempiva di malinconia, pensava a quando era ragazza e a San Giovanni poteva farsi i bagni di mare.

(2/continua)

Pubblicato in Dossier

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