di Sandra Paturzo
Carmelina andava di fretta, prima del lavoro doveva passare dalla sua Santa, al Santuario Santa Patrizia fa tutti i giorni il miracolo dell’acqua.
Doveva portare fuori la lettiera del gatto, che ormai puzzava di orina, e se non le partiva il motorino doveva cercare di prendere l’OF.
Lavorava al nero come segretaria di un commercialista del Vomero, e non poteva arrivare pure quella mattina in ritardo.
Ma da Santa Patrizia ci doveva passare.
Oggi era il suo turno di lucidarle le lampade, e lei alla sua Santa ci teneva.
Oggi poi doveva provare a chiedere al suo capo le ferie, e ci voleva proprio Santa Patrizia a farle un miracolo,
Scese trafelata le scale, l’ascensore ormai non provava nemmeno più a chiamarlo, tanto quello non funzionava da mesi, e Pasqualino non riusciva a raccogliere le quote per pagare ‘o guaglione dell’ascensorista, quindi ammen, e andava a piedi, così almeno si manteneva in forma.
Anche quella mattina Carmelina dovette correre alla fermata per prendere l’OF, che il miracolo al motorino doveva farglielo Jhonny il biondo, quello dell’officina all’angolo, che era pure infrennesiato di lei, e magari così le faceva pure lo sconto.
Sull’autobus c’era la signorina Pina, quella anziana che veniva da San Giovanni, e con il bus girava tutta la città.
“Fino a che ce la faccio, voglio stare per strada. Poi verrà il momento che non posso più uscire, e me ne stong a casa” diceva sempre, con un sorriso gentile.
“Signorina buongiorno. Andate a fare la passeggiata al Vomero?”
“Ah Carmelina anche oggi non ti è partita la lambretta?”
“Lo scootèr, signorì, oggi si dice lo scutèr!”
“ Quella cosa lì, ma te la vuoi cambiare? Sono più i giorni che ti lascia a piedi, di quelli che ti porta!”
“ Eh signorì, con quello che prendo, e mò me lo cambio lo scutèr!”
L’OF era una meta ambita, perché per raggiungere il Vomero percorreva la tangenziale, evitando il bloccarsi delle strade cittadine, si bloccava almeno sulla via collinare.
Scese trafelata, perché come al solito era in ritardo, riuscì a bypassare i soliti borseggiatori che fanno quella linea, che ormai viaggiava così di frequente, che li conosceva tutti, e presa dallo sconforto passò a prendere un caffè al bar Sgambati, che se ne portava uno al suo capo, quello magari si addolciva, e non faceva caso al ritardo.
Mentre usciva dal bar vide con la coda dell’occhio, che era scesa alla sua stessa fermata di piazza Arenella, anche la signorina Pina, che camminava con lo sguardo leggermente spaesato.
“ Signorì, tutto a posto? Come mai siete scesa qua stamattina?”
“ Carmelina, mi hanno detto che la Floridiana è chiusa un’altra volta. Poi sull’autobus c’è stato un trambusto, un fuggi fuggi generale, io mi sono presa paura e sono scesa appresso a tutti quanti.”
“O vero? E che era succies?”
“ Carmelì io poi mi sono presa vergogna, perché ho chiesto perché fuggivano tutti, e mi hanno risposto che era arrivato ‘o controllore. Ma ci pensi che figura ho fatto? Io c’ho l’abbonamento!”.
“ E non vi pigliate collera signurì, fossero tutti questi i guai! Io vi saluto, che sono in ritardo al lavoro. Buonagiornata”.
“ E pure a te, bella figliola, pure a te.”
La signorina Pina oggi era arrabbiata, doveva camminare per calmarsi e pensare meglio cosa poteva fare.
Al suo rione c’era per così dire una fantasia edilizia, ciascuno faceva quello che gli pareva, tutti si erano costruiti balconi e terrazzi, qualcuno sul terrazzo si era messo anche il prato sintetico, e le canne fumarie le avevano spostate per farsi i camini in salone.
E pensare che quelle erano le case dei ferrovieri, e quando lei ci era arrivata, quasi cinquant’anni prima, era un semplice e decoroso quartiere operaio.
Lei no, non aveva cambiato la casa che le aveva lasciato suo padre, che dio l’abbia in gloria, e aveva soltanto il balconcino di servizio, quello della cucina, con fuori la sua caldaia a gas.
Ora quelli del piano di sotto volevano farle uscire lì davanti la loro canna fumaria, quella del loro salone, e lei no, non poteva proprio starci, che così neanche dalla finestrella del bagno si sarebbe potuta più affacciare.
Lei aveva visto cambiare il quartiere, ad un certo momento erano arrivati i boss, si capiva dalla fortificazione che si erano fatti intorno alla palazzina, avevano occupato il marciapiedi comunale, ma tanto lì da quelle parti a queste cose non ci faceva caso nessuno, e si erano messi pure le telecamere, e due aquile di pietra sulle colonne finali del muretto.
Quella casa sempre una schifezza rimaneva, ma adesso per passare era meglio camminare dall’altro lato della strada.
Eppure a lei in quel quartiere la conoscevano tutti, aveva fatto così tanto lavoro in parrocchia, per aiutare il parroco.
Cuciva ai bambini le vestine per il battesimo, ed aveva aiutato ad imparare a leggere e scrivere tutti i bambini della palazzina.
Lei sapeva che non poteva chiamare la “legge”, che a nulla sarebbe servito, e che soprattutto non avrebbe potuto più stare tranquilla a stare di casa là, e lei era una donna anziana, che vive da sola.
Ma non poteva accettare che le togliessero anche quel poco di aria, la sua piccola fetta di Vesuvio di fronte, e quindi doveva pensare, trovare il modo di mettere le cose a posto.
Pensava Pina, e pensava che Emanuela, la ragazza del piano di sotto, era pur sempre andata da lei ad imparare le tabelline, quando era stata bambina, e con lei poteva provare a parlarci.
Carmelina intanto era arrivata in ufficio, in quella palazzina l’ascensore funzionava, e così aveva fatto prima.
Chissà perché i commercialisti si prendono sempre gli studi verso gli ultimi piani!
Il dottor Tolone quella mattina era nu poco incazzato, e la giovane praticante di studio con un gesto le fece capire che non era proprio cosa, così il caffè se lo bevvero loro due.
La dottoressa aveva trovato una cosa vicino al suo computer, che non sapeva cosa fosse, e gliela mostrava incuriosita, “come fanno a diventare dottori, io non capisco” si disse Carmelina, che odiava il suo nome e si faceva chiamare Carmen, “non sono neanche nu poco scetati!” “Ma io lo so cosa è Erminia, è la carta craccata per vedere la tv a pagamento. Deve essere quella di Sky.”
Erminia se ne tornò imbarazzata nella sua camera, doveva tenere la contabilità al nero di una grossa ditta, che solo da poco si era rivolta al loro studio.
La giornata era stata lunga, ed ora anche il tempo si era messo di traverso, tirava un levantino che spazzava le strade, e per fortuna, ormai da giorni non veniva raccolta la spazzatura, e la città si era trasformata in un enorme letamaio a cielo aperto.
La madre di Carmelina era devota della chiesa r’e cape ‘e mort, da anni ogni giorno andava a lucidare il teschio che si era adottata, diceva che le faceva apprezzare la vita questo contatto materiale con la morte, ma da qualche mese ormai alla cappella non si poteva neanche accedere, tanta la munnezza che era religiosamente accatastata là annanz.
La primavera stava arrivando, e in città ricordavano ancora quando c’era stato il colera, negli anni ’70, Carmelina non era ancora nata, ma sua madre qualche volta glielo aveva raccontato, era stata una sciagura epocale, entrata nel senso mistico della città, una sciagura e una dannazione, di quelle per cui ci si poteva rivolgere solo a San Gennaro.
“Nel nostro vico stiamo in buone mani, qua per rispetto i sacchetti li tolgono” diceva don Peppino, che teneva una bottiglieria all’angolo sotto casa sua, e non capiva che solo il vicolo non poteva bastare, ma Carmelina invece lo capiva, che aveva studiato ragioneria, e le veniva voglia di piangere, quando tornava a casa la sera,e l’aria puzzava di rancido.
Carmelina era innamorata del figlio del Professore, che era arrivato da poco nel quartiere, pare che la città vecchia piacesse molto alla gente colta, e con i soldi, doveva essere un altro modo di vedere il mondo, pensava Carmelina, che quando vedeva Fulvio, le diventavano le gambe di ricotta.
Un modo che lei non capiva, ma il Professore insegnava all’Università, e sicuramente doveva capire qualcosa più di lei.
“ Zia Concetta, è andata a pagare la tassa per la bonifica delle paludi”, le disse la madre, quando la vide rientrare, da quando lavorava dal commercialista per ogni cosa di tasse si rivolgeva a lei, e appena la vedeva rientrare, “ Non puoi chiedere a questo Tolone perché la dobbiamo ancora pagare. Sono tanti anni ormai che la bonifica è stata fatta.”
“ Ma non puoi aspettare che almeno poso le borse? Il pulmann si è rotto e ho dovuto fare tutta via Foria a piedi!”
“Piuttosto la tassa sulla spazzatura la dobbiamo pagare? Io mi chiedo proprio perché” disse lei andandosi ad affacciare al balconcino.
In realtà voleva vedere se riusciva a vedere Fulvio, ma quello che vide fu solo la luce di taglio del sole che da qualche parte stava salutando l’orizzonte, certamente non lì, e gatti che si contendevano un pezzo vecchio di pancetta, dopo aver bucato una busta della spazzatura, stesa al sole.
Tra poco sarebbe cominciata la sera r’e sturient, il vicolo si sarebbe riempito di giovani, e Carmelina aveva voglia di uscire.
“Tuo fratello non è ancora tornato” le disse la madre appena rientrò in camera, e non si sa perché ma da un po’ di tempo tutte le consegne che riguardavano il piccolo Alfonso, venivano indirizzate a lei.
Fece la faccia scura, era stanca, ma pure preoccupata, suo fratello aveva dodici anni, e da qualche tempo bigiava la scuola.
Lei lo sapeva perché sua madre si rivolgeva solo a lei, se il padre lo avesse saputo lo avrebbe caricato di mazzate, e le cose così potevano solo peggiorare.
Si mise le scarpe da ginnastica e scese a cercarlo.
Lo trovò a Piazzetta Nilo, seduto proprio sotto la statua che ritrae il fiume, insieme a quegli amici più grandi che ultimamente gli piacevano tanto.
“Vieni a casa”.
“Che bbuò?”
“Alfò non farmi perdere tempo, che oggi sono stanca, vieni a casa, ritirati.”
“ Pe fa cche?”
Gli occhi le si fecero umidi, per la tensione e per la stanchezza, “Iamm, ià”, Alfonso temette fortemente che potesse mettersi a piangere là davanti ai suoi amici, e si alzò con un’alzata di spalle diretta agli amici, mentre la mano picchiettava la sua tempia. “ A domani guagliò” disse con voce da uomo, che non era.
“ Ma almeno oggi ci sei andato a scuola?” disse lei mentre si allontanavano accostati.
“ E che ci vado a fa? Non lo vedi che non serve a niente?”, disse lui, indicandola, e svolgendo il braccio ad orizzonte, per abbracciare tutto quello che c’era intorno.
“ Sta zitto e cammina. E… Alfò, devi sapere che io con papà non ti posso coprire ancora per molto. Se continui così te la vedi con lui.”
La giornata sembrava infinita, ma poi finalmente venne la sera.
(1/continua)