Un tetto. Ma prima un minimo progetto di vita.
Il senso di questo dossier
di Antonello Caporale*
Franco Arminio è un poeta del sentimento. Vive le sue pietre d’Irpinia come modelli preziosi di memoria e di civiltà. E non si arrende al progressivo vuoto che li addenta e a volte li sfinisce. E’ sua la proposta di trovare un modo per dare risposta al bisogno di un tetto per i migranti che riempiono il mare con le loro carrette e i loro sogni. Abbiamo case vuote dice Arminio, e la possibilità di restituire vita a chi una vita la vede oggi in pericolo.
Se la casa è vuota offri un tetto, dunque. E’ giusto e possibile. Ma al tetto dobbiamo coniugare un progetto, una chance di vita lavorativa sostenibile e un’idea di integrazione accettabile, a bassa intensità. E’ il lavoro in agricoltura, in un terra che sembra aver perso memoria di sé, l’approdo possibile?
Le pagine che vanno a comporre il dossier migranti partono dal colloquio di Giuseppe Napoli con Arminio, che riepiloga i punti salienti della sua proposta e affida a tre parlamentari di diverso orientamento un primo giudizio. Intervengono anche alcuni sindaci che rispondono alle domande di Valerio Calabrese. Il dossier si arricchisce con la scheda di Stefano Ventura sul surplus di vani che la ricostruzione post-terremoto ha determinato. Le trasformazioni antropologiche (“Da contadini a clienti”) è il tema che invece tratta Simone Valitutto. A cui si aggiunge la testimonianza di Michele Trotta sulla felice integrazione albanese che resiste nei paesi calabresi del cosentino.
L’agricoltura, abbiamo detto. Risorse umane per trovare nella terra ciò che noi abbiamo scelto di abbandonare chiamati dalla modernità a tifare per l’alluminio anodizzato. Mariana Amato ci spiega però che la terra offre un reddito se oltre la zappa c’è un progetto, se prima delle mani si usa la testa. E’ sempre la Amato, che dispone di competenze per affermarlo, a consigliarci di non guardare ai migranti tunisini che forse proprio la terra vogliono abbandonare. Ma volgere lo sguardo più a sud, a coloro che scappano dalle guerre del centro Africa, dalle carestie e dalle dittature. Eritrei, somali, sudanesi…
Leggerete, se riterrete. Abbiamo definito il nostro piccolo Osservatorio sul dopo sisma un sismografo sociale. Deve avvertire prima degli altri e meglio degli altri le scosse, anche piccole, che una società lenta e purtroppo quasi totalmente afona, riesce ancora a produrre.
Farle vibrare è tema oggetto della nostra indagine e della nostra passione.
*giornalista e scrittore, dirige l’Osservatorio permanente del doposisma della Fondazione MIdA
- MIGRANTI di Giuseppe Napoli (pdf)
- I COMUNI DEL TERREMOTO,
IL SENSO DI ABBANDONO E LE NUOVE SFIDE di Stefano Ventura (pdf) - PAROLA AI SINDACI Interviste di Valerio Calabrese (pdf)
- DA CONTADINI A CLIENTI.APPUNTI SULLA MUTAZIONE
ANTROPOLOGICA DEL SISMA IRPINO di Simone Valitutto - IL MIO PAESE di Michele Trotta (pdf)
- DIVERSO PARERE di Mariana Amato (pdf)