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Lunedì 02 Maggio 2011 13:50

DOSSIER/3 - I fasciocomunisti: Salerno e Benevento

Scritto da  Valentina Ascione
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di Valentina Ascione

Cosa succede quando nessuna opposizione sembra in grado di arrestare la cavalcata quasi ventennale del Cavaliere di Arcore? Quando non c'è alleanza - più o meno santa - di centrosinistra, né un polo - di terz'ordine o grado - di centrodestra, che riesca a scalfire il monolito berlusconiano? Accade che gli opposti si attraggono, come nella più banale delle leggi amorose. O come due poli di diverso segno in un campo magnetico. Che gli estremi del ventaglio partitico si vengano incontro, fino a saldarsi nella chiusura di un cerchio. E' il superamento delle categorie di destra e sinistra tagliate con l'accetta, nonché di quella separazione netta e rigida cantata con ironia dal grande Giorgio Gaber. Il tramonto definitivo delle grandi ideologie del Novecento. Oppure il loro trionfo. E' il cosiddetto "fasciocomunismo". Corrente politica nella quale blocchi un tempo contrapposti si fondono per far fronte comune contro colui che ha fatto strame di principi e valori coltivati per decenni dai rossi e dai neri, contrapponendo al fascismo e al comunismo ben altri "ismi". Più terreni e mondani, come il "velinismo". O lo stesso berlusconismo: virus inoculato dalla tv commerciale nella società italiana, che invece di vaccinarla (come auspicato da Indro Montanelli) l'ha penetrata nel profondo, rendendola terreno fertile per una rivoluzione culturale. Verso il basso.

Il teorico del fasciocomunismo è Antonio Pennacchi. Classe 1950, nato a Latina da padre umbro e madre veneta, trapiantati nella provincia laziale per la bonifica dell'Agro Pontino. Vicenda, quella familiare, che gli ispirerà il fiore all'occhiello del suo curriculum letterario. "L'opera per la quale sono venuto al mondo", quel Canale Mussolini che lo scorso luglio gli è valso il Premio Strega. E' tuttavia l'autobiografico Il fasciocomunista il titolo che lancia Pennacchi tra le braccia di un pubblico più ampio, probabilmente anche grazie al successo riscosso al botteghino della trasposizione cinematografica Mio fratello è figlio unico, da cui lo scrittore ha però preso le distanze, giudicandola poco fedele al romanzo.

Il fasciocomunista narra le gesta del sanguigno e intemperante Accio Benassi, che in tenera età lascia il seminario animato dalla voglia di "tornare nel mondo", si appassiona alla politica e finisce a rimbalzare dall'MSI ai comunisti maoisti. Ripercorrendo le orme del Pennacchi degli anni Sessanta, che dopo essere stato espulso dal Movimento Sociale per contrasti con i vertici, inizia a leggere Marx e abbraccia la fede marxista-leninista inseguendo ideali più che ideologie. Intanto lavora come operaio all'Alcatel Cavi di Latina, dove trascorrerà trent'anni della propria vita prima della svolta letteraria. Ma la militanza all'interno della sinistra non è più tranquilla. Cacciato dalla CGIL, Pennacchi si iscrive alla UIL. Passa con agilità dal PSI al PCI. Poi di nuovo nella CGIL, ma alla seconda espulsione decide di chiudere con la politica e di riprendere gli studi approfittando di un periodo di cassa integrazione. La laurea in lettere è il primo passo verso la sua seconda vita di scrittore.

Nulla è però definitivo per chi, come lui, è saltato da destra a sinistra e da sinistra a destra, tra partiti e sindacati. Così quando la politica torna a bussare alla sua porta sotto le vesti della neonata compagine di Futuro e Libertà per l'Italia, Antonio apre senza esitazioni. Del resto Gianfranco Fini riassume in sé i tratti caratterizzanti del fasciocomunista: da delfino di Almirante a censore del fascismo, rinnegato come male assoluto; da erede della destra dura e pura a sostenitore dei diritti di gay e immigrati. La proposta, poi, è di quelle che toccano il cuore: promuovere una lista di FLI alle elezioni comunali della sua Latina. La Littoria pupilla del Duce, unico caso di migrazione da nord a sud verso quella grande opera di bonifica che ne determinò la nascita. Culla di un ritorno di fiamma, della Fiamma tricolore, quando nel '92 tangentopoli smantellò il fortino democristiano-andreottiano che l'aveva dominata per tutto il dopoguerra.
Anche se la richiesta di Pennacchi di appoggiare il candidato del Partito Democratico Moscardelli è ben presto cassata dai vertici finiani ancora non avvezzi a tali suggestioni funamboliche, l'offerta di FLI è l'occasione tanto attesa di coronare il sogno fasciocomunista, per lui che ancora porta in tasca la tessera del PD. Lo scrittore dunque accetta di metterci la faccia, non da candidato ma come testimonial. Capofila di un'idea nuova, che serva da cerniera tra destra e sinistra, sintetizzandone le energie e superando vecchi schemi e sterili snobismi.

E nulla sembra impossibile mentre un pirotecnico Pennacchi, seduto tra Italo Bocchino ("quando l'ho conosciuto sedici anni fa, mi sembrava un po' un cojone...") e Fabio Granata, inscena il suo personale show alla Camera dove si presenta la lista "fascio-comunista" con Filippo Cosignani candidato sindaco. Mentre difende Mussolini dal paragone con Berlusconi e affida alla retorica operaia dei servi e dei padroni l'arringa in difesa del lavoro come diritto e non come merce di scambio. Auspicando, infine, lo scioglimento dei partiti in un unico nuovo fronte di unità nazionale.

Unire le opposizioni sacrificando le differenze. E' questa dunque la sola strada percorribile per liberare l'Italia dallo stallo berlusconiano? Alle urne l'ardua sentenza, dal momento che, come vedremo, non soltanto a Latina il culatello ha smesso di essere solo di destra e la mortadella squisitamente di sinistra. Con buona pace di Gaber.

 

Pubblicato in Dossier

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