di Stefano Ventura
Il 23 novembre segna l'anniversario del terribile terremoto che una domenica sera portò via 2914 irpini, campani, lucani e sconvolse la vita a centinaia di persone. Sono passati 35 anni, un periodo tale da poter considerare alle spalle la ricostruzione, ma che non ha certo sanato ferite profonde, tra contraddizioni, errori e progetti più o meno riusciti.
Come ogni anniversario, la commemorazione può e deve servire per ricordare e per valutare il percorso compiuto; molti preferiscono il ricordo privato, la dimensione intima del dolore, ma a livello pubblico bisogna interrogarsi su come le comunità interpretano e mantengono traccia di cosa è successo, degli errori e delle cose buone.
Sulla memoria del terremoto è uscito un recente saggio in un libro che parla di disastri dal punto di vista etnografico e sociologico. Di certo si alternano diverse opinioni, da quelle di chi dice: “Ancora a parlare di terremoto?” a chi grida allo scandalo totale gestito dai soliti intrallazzatori, fino a chi candidamente pensa che non sia successo niente, anzi, la ricostruzione sia stata un toccasana.
La cosa più evidente è l'assenza di forma e sostanza nel tutelare e trasmettere il ricordo, le testimonianze e i dati relativi a quell'evento e alla ricostruzione. Nessun memoriale, ovvero tanti piccoli luoghi disseminati e sporadici, nessun progetto collettivo e a lungo termine, nessun discorso interpretativo che possa essere fatto proprio dai sopravvissuti e da chi è rimasto.
Oggi l'Irpinia (mi limito alla zona più colpita, che conosco relativamente meglio) è un'area in forte decrescita demografica, con una popolazione dall'età media alta e con gli enormi problemi delle aree appenniniche marginali. Da diversi mesi di parla di un Progetto Pilota che possa dare respiro e rilancio, a partire da quattro capisaldi (scuola, sanità, trasporti e sviluppo, http://www.dps.gov.it/opencms/export/sites/dps/it/documentazione/Aree_interne/STRATEGIE_DI_AREA/Bozza_della_strategia/bozza_strategia_alta_irpinia.pdf).
Sembra un percorso obbligato, quello di confrontarsi tra amministrazioni e “portatori di interesse” per trovare una parvenza di progetto comune da perseguire.
Alcuni tentativi, anche ben riusciti, hanno portato quest'area all'attenzione di una platea più ampia, nazionale; uno dei libri candidati al premio Strega, il “Paese dei Coppoloni”, è una specie di poema epico di queste terre, un incrocio tra mito popolare e legame con la terra e le radici. Capossela ha organizzato per il terzo anno lo Sponz Fest, con numeri e contenuti di ottimo livello.
Per contrasto, quelle stesse zone sono al centro di recente di un allarme reale sul legame tra minacce malavitose e eolico. La minaccia delle trivellazioni, a poca distanza dalle vigne dove si producono vini che hanno buoni risultati sul mercato, è un'altro controsenso da sciogliere.
Ci sono anche segnali che andrebbero analizzati sull'identità irpina, visto che ci sono espressioni della società che provano ad affermarsi per difendere il territorio (termine del quale si fa uso e abuso). Cito solo un tentativo, quello di alcuni ragazzi che hanno formato un'associazione che si chiama “Io voglio restare in Irpinia” (https://www.facebook.com/iovogliorestareinirpinia/?fref=ts). Questi ragazzi, in gran parte, non hanno però vissuto gli anni dell'infamia di essere terremotati assistiti e approfittatori di fondi statali, agli occhi dell'opinione pubblica nazionale, e anche questo è un punto interrogativo aperto.
Più semplicemente, la data del 23 novembre serve a ricordare e riporta anche a un pensiero primitivo, il rapporto tra l'uomo e la terra sulla quale vive, l'ambiente che lo accoglie e le forme sociali che servono a renderlo ospitale e che riempiono di senso il termine comunità: noi dovremmo ricordarci di essere una comunità ferita e guarita da uno squarcio durato 90 secondi, una sera di novembre di 35 anni fa.