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Sabato 19 Febbraio 2011 17:10

Doposisma: la ricostruzione

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21.224 miliardi di lire: è questa la cifra che il Ministero del Bilancio dell'epoca fissò per stabilire il danno

Dalla catastrofe alla normalità. Il percorso che cominciò con la quantificazione del danno inferto dal terremoto. Quanto era costato il sisma? Quante risorse finanziarie occorrevano per ricostruire i paesi distrutti? La prima stima oscillava tra i 16 e i 18mila miliardi per attestarsi, successivamente, sui 21mila calcolando, a medio termine, la lievitazione dei prezzi. La previsione del fabbisogno finanziario fu elaborata dal ministero del Bilancio. La cifra scaturiva da un'indagine campione su 41 comuni dei 160 danneggiati ed escludeva Napoli ed i capoluoghi di provincia. Sedicimila gli alloggi da ricostruire per un impiego di risorse tra i 6.500 e 7.900 miliardi di lire. Nei comuni non compresi tra quelli disastrati i danni erano valutati intorno ai 3.500 miliardi mentre per Napoli si rendevano necessari 1.800 miliardi per gli alloggi. Il danno complessivo alle infrastrutture venne quantificato in 4.250 miliardi. Il 27 gennaio del 1981 il Consiglio dei ministri certifica la prima stima dei danni ed insedia un comitato interministeriale con compiti di coordinamento degli interventi. Ma sulle cifre si comincia a discutere. Scrive in un commento il "Sole 24 ore": "L'Italia è il paese delle questioni di principio. Se si comincia a diffondere la convinzione che le cifre reali dei danni provocati dal terremoto sono quelle che saltano fuori da elaborazioni affrettate si alimenta in partenza un contenzioso politico estremamente pericoloso". Cominciava così la fase della ricostruzione. E delle polemiche che l'accompagnarono.

Allegati

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Terremoto e ricostruzione: una occasione mancata?

Le parole di Nicola Mancino:

Il terremoto del 23 novembre 1980 è evento che ha segnato incisivaniente una storia dolorosa di lutti e di distruzioni: vite umane spezzate dalla malvagità della natura in una giornata insolitamente tiepida di fine novembre e case accartocciate, implose d'improvviso, che divorarono gli uomini, le donne e i bambini che fino a poco prima vi avevano abitato.
lo ero nel mio studio privato di Avellino, ove stavo concordando con un avvocato di Montoro Superiore i contenuti di un'opposizione ad un provvedimento di esproprio di un giardino privato, quando si sentì un cupo boato cui fece seguito un interminabile ondeggiamento sussultorio del fabbricato ove abitavo. Il dott. Pietro Salzano, che aveva accompagnato da me l'avv. Adriana De Giovanni, s'era precipitato sul balcone e voleva quasi gettarsi dal quinto piano, ma, preso dal panico, tornò indietro e fece di corsa le scale per scappare sulla strada; noi due che dallo spavento ci eravamo alzati in piedi ci aggrappammo alla scrivania dello studio che si muoveva quasi fosse un'altalena. Anche noi, appena furono finite le scosse, ci precipitammo giù per le scale.
Mi diressi dopo un po' verso gli uffici dei Vigili del Fuoco, ove si era trasferito il Prefetto Lobefalo, contuso per via di una trave staccatasi dal soffitto del suo ufficio e cadutagli addosso. Qui incontrai l'on. De Mita e qui ebbe inizio il mio impegno di parlamentare alle prese con il dopo - terremoto.
S'erano interrotte le comunicazioni ed anche la luce elettrica a intermittenza si spegneva. L'ospedale civile si era affollato di feriti, quasi tutti deIl'hinterland avellinese. De Mita mi trasmise una sua sensazione "temo che il disastro maggiore sia in Alta Irpinia; hai notato non c'è uno di quell'area che sia stato ricoverata nell'ospedale di viale Italia". Anche io temevo che fosse vero.
L'Alta Irpinia, infatti, fu quasi spazzata via dal terribile sisma: interi abitati "spianati", morti a grappoli, schiacciati sotto le macerie delle case crollate.
Si mobilitò il Paese, le istituzioni gareggiarono in iniziative assistenziali e, in segno di tangibile solidarietà, inviarono sul posto del disastro i propri amministratori, i quali a fatica si inerpicarono chi in Alta Irpinia, chi nel Salernitano, chi ad Avellino e chi a Potenza. L'epicentro del terremoto fu a metà strada tra S. Angelo dei Lombardi, Laviano e Santomenna, comuni letteralmente rasi al suolo dalla furia esplosa dalle viscere terrestri.
In Parlamento, facendo tesoro dell'esperienza friulana, venne approvata una legge per la ricostruzione e, sottolineo, lo sviluppo: aree, che per il passato avevano fatto triste esperienza di emigrazione, fino a perdere il cinquanta per cento della popolazione, reclamarono giustamente di avviare un processo di insediamenti produttivi e di ammodernare il patrimonio edilizio.
La città di Napoli, che non era stata molto danneggiata dal sisma ma che conviveva storicamente con una edilizia fatiscente e con l'incombente rischio di crolli, si inserì nel provvedimento legislativo di ricostruzione con un capitolo a sé, per costruire ventimila alloggi. Ad avviso di molti - quorum ego - sarebbe stato più opportuno approvare una legge apposita - ed era anche giusto approvarla -, ma si preferì la strada della estensione a favore di Napoli delle provvidenze previste dalla ormai nota legge 219 del 1981. Così dilatò la spesa sotto la voce ricostruzione, mentre una parte consistente di essa, proprio perché risolveva un problema secolare, doveva avere una contabilità separata.
E nacquero polemiche dure, con bersaglio le spese di riparazione dei danni sismici.
Personalmente non contesto che nel processo di ricostruzione si registrarono anche casi di sperpero per opere che dovevano, invece, essere dimensionate con un riferimento più stretto al territorio e alla popolazione.
Ma non fu soltanto sperpero, come l'intera vicenda ricostruttiva dimostra. L'edilizia urbana e rurale post - terremoto ha creato le condizioni per fare vivere più umanamente la popolazione dell'area terremotata - era un sacrosanto diritto di quella gente -; il non facile processo di sviluppo, anche se in maniera non sufficiente e non diffusa, ha dato lavoro in loco a molti giovani altrimenti destinati ad emigrare. Vorrei non trascurare la circostanza che, a distanza di qualche anno, si aprì soprattutto contro l'Irpinia una contestazione radicale, di stampo a volte anche razzista, e si parlò, e scrisse, di Irpiniagate: non va sottaciuto, in proposito, il rilievo che nessun politico della provincia di Avellino è stato condannato per reati collegati all'evento sismico: la classe dirigente locale ha superato indenne gli scogli di un periodo difficile per l'intero Paese ed oggi essa è ancora in Parlamento a difendere, tra l'altro, le buone ragioni del Mezzogiorno e dell'Italia Restano, tuttavia, problemi non risolti, cui occorre dare risposte non rinviabili.
Quello che ancora c'è da fare è un impegno operoso all'interno delle più generali problematiche meridionali.

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