Sono passati 32 anni e c'e' ancora qualcuno a cui non e' stato saldato l'indennizzo dovuto. Era una domenica sonnolente, di quelle scandite ancora da un tempo di partita in tv. Mi pare che trasmettessero la sconfitta dell'Inter di Beccalossi ed Altobelli contro la Juve di Zoff e Scirea. 23 novembre 1980: una data fatidica. Di quelle che si usano per dividere i tempi della storia. In Campania e Basilicata si dice appunto prima e dopo il terremoto. Si scava nella memoria per mettere in ordine i ricordi classificandoli appunto così: prima e dopo. L'icona della memoria per il periodo e' probabilmente l'esordio cinematografico di Troisi, Ricomincio da tre. Uscito sugli schermi ad inizio 1981 rappresenta il mondo com'era prima del terremoto irpino-lucano. Vediamo di capire quanto sia lontana quella società, oggi. Innanzitutto non c'e' più Massimo. Portatoci via da un cuore incapace di contenere tutto il suo amore per Napoli. Nel film la prima scena può trarci subito in inganno. Mostra numerose travi che reggono la volta di un portone d'ingresso del palazzo dove abita il protagonista. Non sono le ferite del sisma, bensì una condizione di precarietà statica allora diffusa e sapientemente raccontata da De Crescenzo, nella Napoli di Bellavista, quando un vigile impedisce ad un turista di entrare in uno di quei palazzi a rischio di crollo e che, alle intemperanze dello stesso che protestava perché aveva visto altri entrare liberamente, il vigile rispondeva: che c'entra, quelli ci abitano!
La protagonista della pellicola sta scrivendo un racconto ed usa una macchina da scrivere, perché non c'era ancora il personal computer. In una scena, una sera allontanatosi dalla comunella di amici, Massimo guardava la tv ed una ragazza gli chiedeva se in essa sperava di vederci Dio. Egli rispondeva che non era possibile, perché stava guardando il secondo canale, allora laico nella lottizzazione consociativa. Il palinsesto poi non durava l'intera giornata, Rai tre era appena nata, sarebbe tra poco diventata area d'influenza comunista e non c'erano le tv private nazionali. L'amico (Lello Arena) giunge all'improvviso e viene redarguito per non avere telefonato. Si scusa dicendo che mica poteva scendere dal treno ad ogni stazione (non c'era naturalmente l'alta velocità) per cercare una cabina telefonica? Allora molto diffuse, perché non erano stati inventati i cellulari. Lo stesso amico che poi scappa da Firenze perché gli aumentano la pensione di mille lire.
Non c'era l'euro, naturalmente. In un centro d'igiene mentale, con una magnifica performance, mi pare fosse Felice Andreasi ad ammettere di volere essere l'avvocato Agnelli. Certamente! Allora eva l'avvocato il modello di grazia e ricchezza. Non ancora il cavaliere, ne' Della Valle.. Infine, per tutto il film Massimo cerca di spiegare a tutti che sta viaggiando per conoscere il mondo e non per emigrare. Cattivo profeta di una necessita' che si credeva fosse passata ed invece proprio dal terremoto fu ripresa, spopolando i paesi dell'appennino campano e lucano. Certo non più con le valigie di cartone e molto spesso con in tasca un diploma o una laurea, il fenomeno sarà ripreso per giungere oggi a maggiore compimento. Ecco, possiamo affermare che il filo rosso che unisce le due epoche sia proprio lo spostamento per ragioni di lavoro. Per un ragazzo di qui e' sempre più arduo non solo essere profeta, ma semplicemente lavoratore, in patria. Prima e dopo il terremoto.
Virgilio Gay
(Direttore Fondazione MIdA)