Mentre l’auto sguscia nelle curve dietro Buccino, pian piano il senso di abbandono pare risucchiare tutto. La strada cede il passo al rimpatrio della natura, la carreggiata si restringe, il silenzio – che è dolore - torna a regnare, le curve fendono, incerte, l’aspra roccia.
Romagnano al Monte è di certo il paese – dell’intero “cratere” – dove è più facile capire il danno sociale che il sisma dell’80 ha prodotto. La parte vecchia, abbandonata all’indomani del terremoto, è rimasta pressappoco come la lasciarono gli abitanti in fuga, ferita a morte e in perpetua agonia. A circa 2 km è sorta la “new town”, dove vivono oggi i circa 400 abitanti. Il nuovo paese ha pur esso un’aria sinistra, ma mitigata – almeno agli occhi del passante distratto – dagli infissi in alluminio anodizzato e dalle grondaie in plastica dura. Il vecchio paese è, di contro, un museo a cielo aperto. Un museo che non conserva reperti o tesori, ma senso di disperazione e ombre. Un museo dell’abbandono.
Chi vuole incontrare da vicino il terremoto non può non passare da qui, dove il tempo si è fermato una sera di novembre di 30 anni fa.
A Romagnano non è semplice arrivarci, ma la visita ripaga del viaggio. Un’atmosfera dolorosa e triste, a strapiombo su una rupe disperata: sembra che la terra a Romagnano non abbia mai smesso di tremare.