fondazione Mida

Stefano Ventura

Stefano Ventura

Stefano Ventura (1980) è nato in Svizzera, è cresciuto a Teora (Avellino) e vive a Siena. Si è laureato in Storia all’Università di Siena con una tesi dal titolo “Irpinia 1980-1992: storia e memoria del terremoto” (relatore il prof. G. Santomassimo) e ha conseguito il titolo di dottore di ricerca nel 2009 presso la scuola di dottorato in Scienze Storiche, Politiche, Giuridiche e Sociali dell’Università di Siena con progetto di ricerca su “L’Irpinia dopo il terremoto” (tutor: prof. Simone Neri Serneri).

Coordina con l’Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MIDA (Musei Integrati dell’Ambiente) di Pertosa (Salerno), collabora con la Fondazione Officina Solidale Onlus e con altre fondazioni e enti di ricerca pubblici. E’ amministratore del sito ORENT (Osservatorio sui rischi e gli eventi naturali e tecnologici – Università di Siena). Ha svolto il ruolo di tutor per l’Agenzia Formativa Arci di Siena. Attualmente insegna Italiano e Storia nelle scuole superiori della provincia di Siena.

Ha partecipato a diversi convegni e seminari sui temi legati alle catastrofi naturali, alla Protezione Civile e alla memoria del terremoto del 1980. Tra questi si segnala il convegno internazionale “La memoria delle catastrofi” (Napoli, 25 e 26 novembre 2010, Università Federico II, Associazione Italiana Storia Orale),  “Ambiente rischio sismico e prevenzione nella storia italiana” (Università di Siena,  2 dicembre 2010), “Sud, familismo amorale e crisi civile” (Fondazione MIdA, 9 ottobre 2010).

Cura una rubrica di storia locale sul trimestrale “Nuovo Millennio”, pubblicato a Teora (Av), ed è amministratore di un blog (teoraventura.ilcannocchiale.it).

Tra le sue pubblicazioni si segnalano:

- Oltre il rischio sismico. Valutare, comunicare e decidere oggi, Carocci, Roma, 2015 (con Fabio Carnelli);

- Non sembrava novembre quella sera. Il terremoto del 1980 tra storia e memoria, Mephite, 2010, prefazione di Antonello Caporale.

- Vogliamo viaggiare non emigrare. Le cooperative femminili dopo il terremoto del 1980, Edizioni di Officina Solidale, 2013, prefazione di Luisa Morgantini.

-          Il terremoto dell’Irpinia. Storiografia e memoria, in Italia Contemporanea, n. 243, giugno 2006, pp. 251-269.

- Le macerie invisibili, Rapporto 2010, Osservatorio Permanente sul Doposisma, Fondazione MiDA, Pertosa (Salerno), novembre 2010.

-          I terremoti italiani del secondo dopoguerra e la Protezione Civile,www.storiaefuturo.com, n. 22, marzo 2010.

-          I ragazzi dell’Ufficio di Piano. La ricostruzione urbanistica dopo il terremoto in Irpinia, I frutti di Demetra. Bollettino di storia ambientale (n.22-2010).

-          Prefazione a Benvenuto Benvenuti, Semiseria analisi lessicale di un disastro naturale, Montedit, Melegnano (Milano), 2009.

-          Il lavoro in Irpinia negli anni del terremoto, in La storia della CGIL irpina dal 1948 ad oggi, a cura di Giovanni Marino, Avellino, 2010.


Informazioni di contatto: ventura80@libero.it

www.orent.it

URL Sito: http://teoraventura.ilcannocchiale.it

Domenica 28 Settembre 2014 13:32

La fabbrica del terremoto (aggiornamento 2014)

Nel 2011 abbiamo presentato il dossier "La fabbrica del terremoto. Come i soldi affamano il Sud", con una ricerca dell'Area Research del Monte dei Paschi di Siena, uno studio di Teresa Caruso sulla comunità di Caposele (Avellino) e un quadro sulla situazione delle aree industriali.

Oggi, dopo altri tre anni di crisi economica locale e globale, Stefano Ventura ha aggiornato la tabella delle aree industriali della legge 219, con il numero degli addetti impiegati e delle aziende ancora aperte.

Si svolgerà nel centro storico di Atena Lucana (SA), i prossimi 26 e 27 Aprile, la terza edizione del laboratorio “La Terra mi Tiene – Racconti di pane, agricoltura naturale e r-Esistenze”: un momento di riflessione sul futuro dell’agricoltura.

Tematica centrale di questa edizione sarà il pane e le storie che attorno ad esso “lievitano”: attraverso il concorso di panificazione “Forni Aperti” gli antichi forni a legna del centro storico di Atena Lucana saranno aperti e “adottati” ed animati da uomini e donne che con maestria delizieranno i passanti con pane, pizze e focacce. Alla fine una giuria sancirà il pane migliore per qualità e abilità nella lavorazione, trasparenza nella tracciabilità delle materie prime.
Le adesioni per le adozioni dei forni sono aperte a tutti sul sito www.laterramitiene.com.

Non solo laboratorio, ma anche momento di discussione: quattro Tavole Rotonde organizzate durante le due giornate: dal Piano gestione di un’area S.I.C all’agricoltura naturale, passando per tematiche riguardanti le sementi ed il pane.

Durante l’evento si svolgeranno anche due Invasioni Digitali, passeggiate fotografiche organizzate dall’Associazione ILOVD. Non mancheranno inoltre momenti conviviali e musicali.

Per tutte le persone affette da celiachia l’organizzazione ha previsto, coerentemente col momento di confronto sui “grani moderni” ( e tutti i problemi connessi) la presenza di forno appositamente seguito da persone accreditate presso l’Associazione Italiana Celiachia.

Programma Sabato 26 Aprile

Ore 15:00 #forniaperti
Presentazione dell’”Officina“.
Presentazione regolamento panificazione e componenti della giuria (Scarica il regolamento).
Accreditamento dei mastri fornai con assegnazione forni.

Ore 16:00 #rEsistenze
Piano gestione area S.I.C. “Monti della Maddalena”: tavola rotonda con i sindaci dei comuni interessati, la Regione, il Parco e la Comunità Montana.

Ore 17:30 #rEsistenze
Discussione con Enzo Vinicio Alliegro, autore del libro “Il totem nero. Petrolio, sviluppo e conflitti in Basilicata.“.

Ore 19:00  #storiediappenino
Proiezione documentario “Ripartiamo dalla terra” a cura della Cooperativa “Terra di Resilienza“.
Discussione con il pubblico.

Ore 21:00 #forniaperti
Preparazione collettiva lievito madre.
Cena con riflessione sulla sacralità del pane nella tradizione contadina: pane raffermo proposto in diversi modi, pizza a l’uso antico e vino locale a cura della Locanda San Cipriano

Ore 22:00 #percorsidigitali #invasionidigitali
Invasione Digitale: percorsi tra le mura antiche di Atena Lucana a cura dell’Associazione ILOVD.

Programma Domenica 27 Aprile

Ore 9:00
Colazione con itinerari virtuali sul tema pane e dintorni a cura del Museo del Cognome di Padula e dell’Associazione Genealogia e studi storici Atena Lucana

Ore 10:00 #forniaperti
Preparazione collettiva impasti.

Ore 10.30 #percorsidigitali #invasionidigitali
Invasione digitale: percorso naturalistico, cammino sulle tracce delle antiche chiese suburbane di Atena Lucana a cura dell’Associazione ILOVD.

Ore 12:00 #forniaperti
Benedizione impasti .

Ore 13:30
Pranzo conviviale.

Ore 15:30 #prodottinaturali
Forum di discussione

  • Agricoltura naturale ed etichetta trasparente pianesiana: un modello vincente.
  • Semi antichi e valori contemporanei. Condotte Slow Food campane a confronto.
  • Pane. La selezione dei grani moderni e i disturbi alimentari.

Ore 17:30 #prodottinaturali
Apertura mercato prodotti naturali

Ore 18:00 #forniaperti
Forni aperti, la scanata, infornata degli impasti, con declamazioni di versi sull’Appennino.

Ore 20:30 #forniaperti
Premiazione miglior pane e Atlante dei pani lucani.

Ore 21:00
Cena tra le vie del paese, di forno in forno.
Musica popolare itinerante.

“Laboratori nella natura”: venerdì 17 gennaio la presentazione del progetto

Natura è risorsa per il territorio. Con questa premessa si terrà venerdì 17 gennaio, a partire dalle 9.30,  la presentazione del progetto del Comune di Pertosa “Laboratori nella natura” curato dalla direttrice scientifica dei musei MIdA Mariana Amato. L’evento si aprirà con un incontro dedicato agli alunni delle scuole di Pertosa, Auletta e Polla per poi inaugurare il progetto dialogando con istituzioni ed esperti.

Obiettivo dell’iniziativa, che si terrà presso il museo MIdA02, è la salvaguardia e valorizzazione delle risorse naturali e culturali del territorio. Presenzieranno l’evento la direttrice MIdA Mariana Amato, il presidente MIdA Francescantonio D’Orilia, il sindaco di Pertosa Michele Caggiano, il sindaco di Auletta Pietro Pessolano, l’archeologo Felice Larocca, il ricercatore di storia del paesaggio (Università Federico II di Napoli) Gaetano Di Pasquale, il direttore del Parco del Cilento e Vallo di Diano Angelo De Vita. Modererà l’incontro Elena Salzano, event manager.

Focus sul progetto:

Il progetto "Laboratori nella Natura" è finanziato dalla Regione Campania, Settore Agricoltura nell'ambito del psr 2007-13 misura 3.13 ed ha come beneficiario il Comune di Pertosa. E’ stato ideato dalla Fondazione MIdA e curato dalla direttrice scientifica prof.ssa Mariana Amato (docente Università della Basilicata).

Gli obiettivi del progetto:

1)    la creazione nel museo MIdA02 di spazi destinati alle attività laboratoriali, atelier e workshop destinati alle scuole ed ai visitatori dei musei MIdA e delle Grotte di Pertosa- Auletta. La ristrutturazione del MIdA02, tra l’altro, è stata effettuata con materiali da bioedilizia basati su prodotti vegetali e su colori per le pitture murarie tratti dalle piante del Parco e dal Carciofo bianco con la collaborazione della prof. Enrica De Falco, Università di Salerno.

2)    Una serie di azioni che servono a rendere noto il sito archeologico sommerso in grotta attraverso due plastici relativi alle grotte con l'insediamento palafitticolo del medio bronzo, studiato da Patroni e Carucci alla fine dell'800 e di recente grazie a campagne di scavo finanziate dalla Fondazione MIdA, ad opera dal dott. Felice Larocca (Centro Enzo dei Medici) e attraverso una cartoguida al sito stesso.

3)    Una mostra sulla ricostruzione della vegetazione preistorica del Cilento e Vallo di Diano in base a pollini e carboni curata dal dott. Gaetano di Pasquale (Università Federico II).

4)    Il coinvolgimento dei ragazzi del territorio attraverso la visita e la produzione di materiale editoriale da parte del Consiglio Scientifico Junior: un gruppo di allievi dell’Istituto comprensivo di Polla e Pertosa e di Auletta che partecipano alle attività dei musei MIdA.

Il 21 dicembre 2013 il deputato Famiglietti ha richiesto l'impegno del Governo, nell'ambito della legge di Stabilità 2014, a sbloccare i fondi giacenti da diverso tempo destinati al completamento della ricostruzione. Di seguito il testo completo dell'Ordine del giorno:

 

"La Camera, premesso che: sono trascorsi ben 33 anni dal terribile terremoto che il 23 novembre 1980 devastò Irpinia e Basilicata; sulla base dei riparti ex lege 219/81 stratificati nel corso degli anni risultano non ancora liquidato ai comuni il 30 per cento delle risorse stanziate con Delibera CIPE n.37/2006; per gli anni successivi non è stato assegnato un solo euro per il completamento definitivo della ricostruzione; i 225 milioni assegnati e non ancora liquidati a cui si dovrebbero aggiungere altri 300 milioni di euro derivanti dai mutui accesi mediante le finanziarie dei Governi Prodi sarebbero fondamentali per la chiusura della fase di ricostruzione; queste risorse, già presenti nel bilancio dello Stato e bloccate da farraginose procedure burocratiche più volte denunciate dagli amministratori locali, consentirebbero l'apertura di cantieri e una boccata d'ossigeno per l'intero settore edile, uno dei settori chiave dell'economia locale che negli ultimi anni ha visto crollare il numero di imprese e lavoratori; sarebbero risorse fondamentali soprattutto in presenza del patto di stabilità,

impegna il Governo

a sbloccare entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della presente legge, d'intesa con le amministrazioni interessate, le risorse giacenti ex lege 219/81 finalizzate alla ricostruzione post sisma dei comuni irpini e lucani.

9/1865-A/94.

Venerdì 20 Dicembre 2013 17:46

Fermento, al Sud c'è fermento

Raccontare il Sud standone fuori, ma conoscendolo nel profondo: questo è il tentativo riuscito di Salvatore Medici con questo agile libro che raccoglie saggi, articoli e riflessioni che l’autore, giornalista del Vallo di Diano trapiantato in Ticino (Svizzera) ha scritto su vari giornali, siti web e blog nel corso degli ultimi anni.

Salvatore Medici racconta senza finzioni la propria esperienza e il proprio punto di vista di giornalista che, dopo aver lavorato per anni in una provincia del Meridione, con numerosi impegni, dei quali molti precari, ha deciso di trasferirsi per motivi personali in Ticino per lavorare in quelle condizioni normali che al Sud sembravano impensabili.

Il fermento del quale Salvatore parla e che da lui viene documentato non è per forza positivo; è fermento “collerico”, “rischioso”, “presuntuoso”, “del lamento” “confuso”. E’ quella condizione che preannuncia un cambiamento, un qualcosa nell’aria che sembra smentire un destino di inattività.

Le pagine di Salvatore sono dense d’indignazione, di appelli e chiamata alla responsabilità che non derivano da un punto di osservazione estraneo, ma che sono piene di indizi di una profonda conoscenza dei paesi e della società meridionale, una cartina di tornasole che porta al parossismo i mali di tutta la nazione. Si può leggere di vicende concrete, della discussione che si crea attorno a una buca nell’asfalto che infastidisce un negoziante che si improvvisa vigile e pone cartelli stradali autoprodotti, parla di associazioni di giovani che pensano, erroneamente, che il sostegno ricevuto da amministratori e privati sia libero e disinteressato, si legge di posti di lavoro richiesti, favori e privilegi che oltraggiano quotidianamente il bene comune.

E’ anche delineata chiaramente la condizione di un Sud minacciato da spending review improvvisate altrove, che tolgono zolla dopo zolla terreno a conquiste lunghe secoli, di energia rubata dagli speculatori dell’eolico e del petrolio, di slot machine e compro oro che spuntano a speculare sulla disperazione.

In tutto il libro è vivo il continuo interrogarsi dei tanti giovani che devono scegliere se restare o andare, e si racconto anche di chi ha scelto di rimanere e impegnarsi in attività concrete e reali, come un salumificio, un allevamento di asini, un’azienda agricola.

Lo stile di Salvatore Medici è vivace e fresco, con suggestioni e citazioni da autori classici e contemporanei che hanno parlato del Sud e dei suoi dolori, come ad esempio Rocco Scotellaro; le parole che vengono riportate (“Sradicarmi? La terra mi tiene e la tempesta se viene mi trova pronto” ) sembrano un mantra per chi tenta di resistere, un invito a cercare e proteggere quelle radici che possono mettere in salvo da tempeste e maledizioni.

Il fermento di cui Medici ci parla quindi è un giusto mix di indignazione e speranza, di presenza civica e di estraneità alle vecchie logiche; “ognuno faccia la sua parte, ognuno impieghi nel proprio agire tutta la qualità che ha. Al Sud per essere di nuovo felici c’è bisogno di arricchirsi gli occhi, di fare entrare il bello che c’è. Che ancora c’è!”

 

Fermento, al Sud c'è fermento. Appunti sul Meridione

di Salvatore Medici

Segnali forti - You can print, 2013

Martedì 08 Ottobre 2013 14:56

Vajont, la valle del dolore che vive

Ci sono luoghi dai nomi tristemente noti, e ai quali si associa subito un ricordo nefasto; è il caso di San Giuliano di Puglia, dove morirono 27 bambini nel crollo di una scuola costruita colpevolmente male. Lo stesso è per Capaci, macchiata dal sangue indelebile di un magistrato, di sua moglie e della sua scorta, o per Vermicino, che fu teatro della prima suspense in diretta tv, la caduta nel pozzo del piccolo Alfredino Rampi nel 1981.

Sono troppi i luoghi e i nomi associati a eventi e situazioni tragiche, nella storia d'Italia. Pochi, però, hanno la potenza evocativa del Vajont, un fiume che scorreva in una valle e che si pensò di sbarrare con una diga per alimentare il sogno di potenza dell'Italia del miracolo economico.

Decido di andare a Longarone, Erto e Casso per una sorta di obbligo morale; avevo preso confidenza con questa storia attraverso carte, fotografie, testimonianze e libri per preparare una relazione in una conferenza di storia dell'ambiente a Monaco di Baviera.

Il caso del Vajont è stato certificato, nel 2008, dalle Nazioni Unite come uno dei cinque disastri più gravi mai provocati dall'azione umana, 1910 morti in quella notte del 9 ottobre 1963.

Per raggiungere Longarone, provenendo da sud, si attraversa il cuore del Veneto e l'ultimo lembo padano di pianura per assaporare le montagne dolomitiche e le loro valli, lasciandosi alle spalle quel tessuto di piccole e grandi fabbriche del nordest, una locomotiva che ora arranca, e con ancora qualche campo coltivato in mezzo alla sequenza di cemento e asfalto. Longarone è sulla rotta per Cortina, ci arrivo in un fine agosto di rientro vacanziero. Non so bene cosa cercare e cosa aspettarmi, perché so che anche la memoria di questo disastro è stata scandita da tappe controverse e dolorose.

Nella piazza del paese, che guarda dritto in faccia alla gola nella quale si scorge la diga, si affaccia un edificio che ospita il museo, gestito dalla Pro Loco di Longarone.

“Longarone-Vajont, attimi di storia” s’intitola la mostra permanente con ingresso a pagamento. La dichiarazione scandita dal messaggio posto all'ingresso è inequivocabile: “leggerezze imperdonabili, arroganza dei poteri, silenzi della stampa, assenza di controlli, gravissime omissioni”. Il museo è ordinato ed efficace, ci sono tutti gli elementi per conoscere per bene cosa è accaduto; sento nei miei accompagnatori lo stesso magone misto a indignazione che provo io. Le testimonianze dei superstiti sono vivide e toccanti e parlano nella lingua semplice ma diretta della gente di montagna.

Ho scoperto, prendendo confidenza con la storia del Vajont, che il trauma di chi è rimasto ha tracciato anche un solco che divide persino i “sopravvissuti” dai “superstiti”, una diversa tonalità di dolore e quindi di recriminazione verso lo Stato, la SADE o Enel o le autorità locali e nazionali. “Parlare del dolore non è facile, il dolore si vive”, c'è scritto sul muro della sala che accompagna all'uscita. E' proprio così; mancano sempre termini al vocabolario che tenta di narrare la sofferenza.

Saliamo verso la diga, per circa 4-5 chilometri, dove a maggio il Giro d'Italia ha voluto esserci con l’arrivo di una tappa. C'è molto movimento nel piazzale del parcheggio, quello dal quale l’attore Marco Paolini ha rievocato, in diretta TV per 4 milioni di italiani, le vicende di un dramma finito nell'oblio, di 1910 vittime spazzate via in pochi minuti da 50 milioni di metri cubi d'acqua, rocce e detriti.

Per la visita guidata ci affidano a un “informatore della memoria”, un ragazzo del posto, che ci racconta tappe e cronache della costruzione di un sogno ingegneristico costruito nonostante la voce della tradizione e del luogo diffidassero dalla sfida al gigante. Il gigante è il Monte Toc, che in friulano prende in nome da “patoc”, “marcio”. Ma non c'era tempo da perdere, l'industria nazionale ha bisogno di elettricità, e costruire una diga sul corso del fiume Vajont può fornirne tanta.

Il sogno inizia nel 1925, con Mussolini e con il conte Giuseppe Volpi di Misurata, creatore della SADE (Società adriatica di elettricità) e presidente di Confindustria negli anni del regime. Ma è nell'ottobre 1943, con il re e Badoglio fuggiti a Brindisi e l'Italia lacerata dalla guerra, che in un corridoio ministeriale romano viene firmata la prima autorizzazione al progetto, realizzato dall’ingegnere Carlo Semenza. Tra il 1957 e il 1959 si lavora alla diga; nel 1960 si stacca una prima frana, ma siccome non si registrano morti, la SADE non ritiene di desistere dal continuare a tenere attiva la diga e a mantenere acqua nell’invaso; la società risponde abbassando la quantità di metri cubi quando la gente della valle protesta e alzandola quando tutto si sopisce. Ma la montagna inizia a cedere, gli allarmi sono più che fondati e anche i geologi di parte lo sanno; Tina Merlin scrive su “l'Unita” documentando tutto, ma viene portata in tribunale per disturbo della quiete. “Magari l'avessi disturbata davvero, la quiete”, dirà poi.

La nostra vertigine di attraversare la diga è unita alla consapevolezza degli effetti tragici di quel disegno scellerato di oltraggio alla natura. La collina che si è formata con la terra scivolata a valle dopo la frana è al centro dell'invaso, ora, ma la faglia a forma di M domina come una cicatrice sul fianco del Monte Toc.

Tra i dati significativi annoto il numero di visitatori che ogni anno sale sulla diga: 220 mila, un numero molto alto, che testimonia un omaggio silenzioso degli italiani, e non solo, a un luogo oltraggiato e ferito a morte.

Attraversando l'abitato semideserto di Erto, il paese più volte narrato dallo scrittore Mauro Corona, la faglia s’intravede sullo sfondo. Qui le case sono state in parte ristrutturate, anche grazie ai risarcimenti che l'Enel ha dovuto concedere ai comuni e ai parenti delle vittime, ma solo dopo il 1997. Ora quei soldi sono in parte fermi per il patto di stabilità. Longarone, invece, ha una struttura urbanistica anonima; la chiesa di Michelucci è imponente ma non sembra sia stata del tutto accettata dai cittadini. Molti palazzi sono a più piani e da periferia urbana, proprio come in tante altre ricostruzioni da post-disastro in Belice, Irpinia e così via. La direzione progettuale di Giuseppe Samonà, insigne professore veneziano, è stata in parte disattesa; Samonà all’epoca disse : “ora abbiamo costruito periferie, dobbiamo tramutarle in città”. Non sembra questo il risultato, e questo è un altro dei colpi inferti alla comunità ferita.

A Fortogna c'è, poi, il cimitero che ospita i morti del Vajont, un cimitero monumentale che assomiglia a un sacrario di guerra, con tutti i cippi sui quali sono segnati i nomi, allineati in una distesa di puntini bianchi. E' il giusto compendio agli altri luoghi visitati in questa visita, il conteggio visibile delle vittime di quella tragedia annunciata.

La sensazione è che, nonostante le divisioni, qui si abbia ben presente che si può intervenire per commemorare in maniera equilibrata, senza abbagliare né trascurare. Dallo spettacolo di Paolini in poi la tragedia del Vajont ha vissuto una nuova fase, una rielaborazione del lutto sia per gli abitanti di questi posti sia per l'Italia e le sue istituzioni. E' nata una fondazione nel 2003, la fondazione Vajont, che ora sta costruendo le attività in vista del 50esimo anniversario.

Tra le iniziative, il comitato dei sopravvissuti ha proposto di mischiare tutte le zolle di terra che arriveranno a Longarone da ogni parte d’Italia e del mondo in una “Aiuola monumento di solidarietà” a sancire una rinascita da quella stessa terra che si staccò dal monte Toc.

I posti bagnati da sangue innocente diventano sacri, dice un motto e una tradizione ebraica. Non è stata solo la barbarie della guerra, la crudeltà dell'uomo verso il suo simile a spargere sangue che si sarebbe potuto salvare. Anche inseguire la divinità del progresso inarrestabile, anche di fronte a leggi millenarie della natura, anche la superficialità e l’omissione colpevole di norme e tecniche di costruzione ha avuto troppi effetti nefasti. Andare a trovare luoghi come Longarone, come l'Aquila, San Giuliano di Puglia, Gibellina (nel Belice) e Laviano (in Irpinia) serve da ammonimento per porre l'orecchio a quel dolore che vive, anche 50 anni dopo.

Per saperne di più:

www.vajont50.it

www.vajont.info

www.orent.it

Sta per partire la campagna di crowdfunding finalizzata alla realizzazione del progetto di ricerca intitolato “Tanos: l’emigrazione meridionale in Argentina e Uruguay”  a cura di Fabio Ragone (fotografo-documentarista, professore di fotografia e ricercatore in formazione presso l’Università di Barcellona).

Il progetto sarà presentato martedì 27 Agosto, alle ore 17:30, presso la Sala Convegni della nuova sede della Banca Monte Pruno di Roscigno e Laurino in Via Paolo Borsellino a Sant’Arsenio (SA). Il presidente della fondazione MIdA, Francescantonio D’Orilia, ha espresso il sostegno al progetto. “La Fondazione è sempre vicina ad esperimenti culturali, come quello di Fabio Ragone – spiega il presidente – che tendono ad arricchire la memoria storica del nostro territorio”.

Il crowdfunding consiste in una campagna di microdonazioni per la quale molte persone apportando piccole somme di  denaro permettono il finanziamento di grandi progetti. Nello specifico, verrà finanziata una ricerca sull’emigrazione meridionale in Argentina e Uruguay, che prevede una permanenza del ricercatore, durante  sei mesi (da febbraio a luglio 2014), presso le comunità di emigranti meridionali residenti nella provincia di Buenos Aires (Argentina) e le città di Montevideo e Florida (Uruguay).

L’obiettivo della ricerca è recuperare la memoria collettiva di uno dei capitoli più importanti della storia del meridione registrando le testimonianze dei protagonisti (video-interviste) e raccogliendo e catalogando le immagini conservate negli archivi familiari di emigranti e loro discendenti (album di famiglia, documenti, corrispondenze, etc.), documentando nell’attualità la persistestenza di quegli aspetti della cultura meridionale e, in particolare campano-lucana, che hanno influenzato la formazione della cultura contemporanea uruguayana e argentina (soprattutto nella sfera religiosa con la diffusione di culti come quello di San Cono).

Mercoledì 03 Luglio 2013 21:02

Un premio-concorso dedicato al prof. Mantovani

La Fondazione MIdA ha lanciato in anteprima un premio-concorso per contribuire a conservare la memoria e diffondere la conoscenza sulla figura del Professor Adriano Mantovani con particolare riferimento al valore scientifico e sociale dei suoi contributi alla disastrologia veterinaria.

Il Bando è rivolto ai  giovani residenti in Italia che abbiano meno di 35 anni di età che presentino un elaborato sul tema: “Mantovani ed il terremoto dell’Irpinia: ricostruzione delle attività attraverso testimonianze, esperienze documentate e modelli operativi”.

Il Presidente D’Orilia ha sottolineato come “la Fondazione MIdA, che ha avuto il privilegio di entrare in contatto con l’esperienza del Prof. Mantovani e la sua conoscenza nel campo della disastrologia veterinaria attraverso incontri ed iniziative, sia particolarmente interessata a continuare la sua attività di ricerca, sorta all’indomani del terremoto del 1980 grazie all’intervento dello stesso Mantovani, coinvolgendo giovani studenti e ricercatori appassionati alla materia”.

La domanda di partecipazione va inviata entro il 5 settembre 2013.

In allegato è possibile scaricare il regolamento e la domanda di partecipazione

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Il Filo della Memoria:racconti, storie e testimonianze

FIL - Il sentimento dei luoghi

L'Aquila emotion