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Don Nicola Palmisano (scritta dopo il terremoto dell'80) (file zip)
Rimasi particolarmente colpito dalla cronaca toccante fatto da uno sconosciuto cronista.Parlava di un piccolo paese dell'avellinese, Senerchia, posto a 600 metri d'altezza, quasi completamente distrutto e non ancora raggiungibile dai soccorritori. Ma vedere il terremoto è una cosa, viverlo e tutta altra cosa. Io l'ho sentito e vissuto. Accadde quando decisi di rendermi concretamente utile partendo da Palermo con la mia nuova auto, una Fiat Supermirafiori con carrello al traino. Con i mezzi carichi di medicinali e vestiario io ed un mio collaboratore ci imbarchiamo per Napoli destinazione Senerchia piccolo paese di 876 abitanti situato a 600 metri s.l.m. in zona collinare . Ci documentiamo sull'itinerario da percorrere. Senerchia, centro Irpino dell'Alta Valle del Sele è situata a sud-est del capoluogo Avellino ed al confine con la provincia di Salerno. Per raggiungere il paese è necessario percorrere la Salerno-Reggio Calabria, uscire allo svincolo di Contursi Terme e proseguire per la ss.91.
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Pensieri in Rima Testimonianze
Volontariato a Senerchia
Appunti di un volontario
Inserita come una punta di spillo tra S.Andrea di Conza e Lioni, Teora è uno dei diversi paesi che rischiarono di scomparire a seguito del terremoto dell’80. Circa 160 le vittime accertate dopo due disperate settimane di ricerche tra le macerie. L’intero patrimonio immobiliare, le case, gli edifici pubblici, quelli religiosi furono distrutte dalla furia del sisma. Per capire meglio il danno facciamo ricorso alle parole dell’allora parroco: “Il corso era inaccessibile, una muraglia di calcinacci. Al chiaro di luna si vedeva che non c’era più niente. Da via Monte si vedeva direttamente Lioni, quando prima le case ti ostruivano la vista.” Dopo mille folate emigratorie, Teora conta oggi appena 1600 anime.
Qui, un anno dopo il terremoto, una piccola cooperativa di donne mosse i suoi primi passi, col difficile compito di riportare la vita dove c’era stata tanta morte. Ciò fu possibile soprattutto grazie all’opera di Luisa Morgantini, già Vicepresidente del Parlamento Europeo, che all’indomani del sisma - da sindacalista - portò i primi soccorsi alla popolazione teorese, restando poi per molti mesi nel paesino irpino, lavorando alla ripresa sociale ed economica del borgo. Oggi quella cooperativa, “La metà del cielo”, è ancora in piedi, trent’anni dopo.
Pescopagano è un paese di duemila anime che lentamente precipita verso il fondo dell'Ofanto. Ad un tiro di schioppo da Conza, dove si incrociano le provincie di Potenza, Avellino e Salerno, il paese è nel cuore del cratere. La sera del 23 novembre 1980 si diffuse la notizia nella provincia che il locale ospedale fosse crollato su se stesso uccidendo tutti gli ammalati. Fortunatamente non andò così: il pronto intervento dei sanitari riuscì a salvare tutti i degenti allettati, che passarono all’addiaccio l’interminabile prima notte del dopo-sisma. I morti a Pescopagano furono ben 21, i feriti 50. Il 70% del centro storico fu completamente distrutto, col suo portato di monumenti e chiese. Gravemente danneggiati o distrutti i palazzi più antichi, tra cui Palazzo Orlando, la Torre dell'Orologio, l’Istituto delle Suore di S. Vincenzo, il Palazzo del Municipio e Palazzo Quaglietta. L’opera di restauro ha funzionato bene e dopo trent’anni fatti di ricorsi e accuse, finalmente pare possa ripartire anche la ricostruzione della Chiesa di S.Maria, il simbolo della speranza per l’intera comunità.
Il paesino medievale di Sant’Angelo dei Lombardi, a pochi chilometri dall’epicentro, fu uno dei comuni che diede il maggior numero di suoi figli al computo di vittime del terremoto: 368 su una popolazione di poche migliaia di persone. Uno dei centri più incantevoli dell’Alta Valle del Sele, di fondazione medievale, conserva l'imponente Abbazia benedettina del Goleto, il sito architettonico di maggiore interesse artistico e culturale dell’area, oltre ad uno splendido castello longobardo. Fu grazie alla perseveranza ed alla determinazione di un funzionario della soprintendenza, Vito De Nicola, che in paese non intervennero le ruspe, ma una sapiente opera di ricostruzione. A Sant’Angelo perse la vita anche il giovane Sindaco, Guglielmo Castellano, di appena 32 anni. Il terremoto, poi, fece a brandelli il locale ospedale, che crollò come un castello di sabbia, facendo decine di vittime tra degenti e personale medico.
Mentre l’auto sguscia nelle curve dietro Buccino, pian piano il senso di abbandono pare risucchiare tutto. La strada cede il passo al rimpatrio della natura, la carreggiata si restringe, il silenzio – che è dolore - torna a regnare, le curve fendono, incerte, l’aspra roccia.
Romagnano al Monte è di certo il paese – dell’intero “cratere” – dove è più facile capire il danno sociale che il sisma dell’80 ha prodotto. La parte vecchia, abbandonata all’indomani del terremoto, è rimasta pressappoco come la lasciarono gli abitanti in fuga, ferita a morte e in perpetua agonia. A circa 2 km è sorta la “new town”, dove vivono oggi i circa 400 abitanti. Il nuovo paese ha pur esso un’aria sinistra, ma mitigata – almeno agli occhi del passante distratto – dagli infissi in alluminio anodizzato e dalle grondaie in plastica dura. Il vecchio paese è, di contro, un museo a cielo aperto. Un museo che non conserva reperti o tesori, ma senso di disperazione e ombre. Un museo dell’abbandono.
Chi vuole incontrare da vicino il terremoto non può non passare da qui, dove il tempo si è fermato una sera di novembre di 30 anni fa.
A Romagnano non è semplice arrivarci, ma la visita ripaga del viaggio. Un’atmosfera dolorosa e triste, a strapiombo su una rupe disperata: sembra che la terra a Romagnano non abbia mai smesso di tremare.
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