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Energie dalla terra.

Occupare lo spazio del futuro

Bando per borsa di ricerca-azione su giovani e agricoltura

Riscoprire l’agricoltura e la natura come fattore possibile di realizzazione professionale e di vita, come concreta aspirazione a creare piccole imprese e non tanto come sogno idealizzato di fuga dalla congestione della città e della metropoli. Il ritorno alla terra può essere una via d'uscita, un modo per creare occupazione? E' vero che i giovani stanno riscoprendo l’agricoltura come sbocco occupazionale e come scelta consapevole? In caso affermativo, quali sono le dinamiche che hanno creato questo trend? Come trasformare una tendenza momentanea in un valore aggiunto per il territorio, creando anche comunità permanente di attori attivi, responsabili e consapevoli?

La riscoperta dell'agricoltura è un trend in crescita, come testimoniato da una recente indagine condotta dalla Coldiretti secondo la quale nell’ultimo decennio siano aumentate le imprese nel settore agricolo gestite dai giovani under 35 e come l’agricoltura rappresenti uno dei pochi comparti dell’economia italiana in aumento con un più 4,7% rispetto all’anno precedente. Un segno positivo costante che, secondo associazioni di categoria, potrebbe trasformarsi in 100 mila posti di lavoro nei prossimi tre anni.

Inoltre, sono sempre più numerose le rappresentazioni di resistenza e di denuncia dei numerosi attacchi al territorio e al paesaggio, in termini di cementificazione e utilizzo sfrenato delle risorse naturali (acqua, suolo, materie prime). Resta da indagare qual è il possibile anello di congiunzione tra queste nuove forme di azione e di protagonismo e quali prospettive si pongano, in termini di risultati concreti e di prospettive di sviluppo locale.

Per rispondere a questi interrogativi e per disseminare i segni, anche piccoli, di cambiamento, l’Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MIdA, propone una borsa di ricerca-azione della durata di 6 mesi,che indaghi e illustri la questione del “ritorno alla terra” in Campania e Basilicata.

La proposta di ricerca con la documentazione deve pervenire all’Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MIdA, spedita in formato pdf su supporto elettronico a: Fondazione MIdA - contrada Muraglione 18-20, 84030 Pertosa (SA) - o inviata via e-mail come allegato all’indirizzo:  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. entro il 1 dicembre 2014.

In allegato è possibile scaricare il bando, il regolamento e il modulo di domanda.

REGOLAMENTO

  1. Il bando è aperto a giovani residenti in Italia, che abbiano meno di 35 anni di età.
  2. Costituiscono titolo preferenziale la laurea o il dottorato di ricerca in materie attinenti al contenuto del progetto (Economia, Scienze Politiche, Discipline umanistiche) e la comprovata esperienza nell’ideazione, nell’organizzazione  e nella gestione di eventi culturali.
  3. La borsa di ricerca azione, della durata di 6 MESI, ammonta a un totale di 2000 euro netti. La Fondazione MIdA e lo staff dell’Osservatorio sul Doposisma garantiranno, a chi vincerà la borsa, il sostegno necessario in termini di contatti utili, informazioni logistiche e organizzative e potranno, nei limiti delle proprie possibilità, concordare le risposte alle altre necessità che la/il borsista farà presenti.
  4. Ai fini della partecipazione i candidati devono presentare la seguente documentazione:

 

    • Domanda di partecipazione (Allegato A) e copia del documento d’identità;
    • Curriculum vitae, completo di esperienze in organizzazione di eventi, festival, partecipazione e gestione di attività di associazioni riconosciute e non riconosciute, istituzioni culturali, rendicontazione, ideazione e gestione di progetti di vario tipo.
    • Lettera motivazionale nella quale si spiega come le attitudini e le competenze possedute possano essere in linea con gli obiettivi del progetto.
    • Eventuali pubblicazioni, compresa la tesi di laurea o di dottorato, utili a valutare il curriculum del candidato.
    • Progetto di ricerca, nel quale si espongono gli obiettivi del lavoro, i metodi che verranno adottati, il crono programma, i risultati attesi ed i prodotti che verranno consegnati al termine della ricerca (tipo di elaborato, allegati multimediali, altro).

5. La documentazione deve pervenire all’Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MIdA, spedita in formato pdf su supporto elettronico a: Fondazione MIdA - contrada Muraglione 18-20, 84030 Pertosa (SA) - o inviata via e-mail come allegato all’indirizzo:  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. entro il 1 dicembre 2014. In caso di invio via e-mail sarà cura del candidato richiedere un avviso di ricezione e di corretta apertura del file. Il candidato dovrà comunque conservare copia elettronica dei files inviati, da re-inviare, a richiesta dell’Osservatorio sul Doposisma, in caso di problemi nell’apertura o leggibilità dei files inviati.

6. Il vincitore sarà tenuto a consegnare un elaborato in forma scritta che sintetizzi i risultati della ricerca e le case stories che sono state oggetto del suo censimento; la ricerca deve contenere almeno una base di dati statistici, coerentemente illustrati, sull’oggetto della ricerca, e integrare i dati con storie, interviste e profili biografici ricavati dalla ricerca sul campo. L’elaborato sarà parte essenziale del rapporto 2014 dell’Osservatorio sul Doposisma. Inoltre, sarà richiesto al vincitore di organizzare, con il supporto dei componenti dell‘Osservatorio sul Doposisma  e della Fondazione MIdA, un festival-evento,  da tenersi in estate con sedi e modalità da definire, nel quale far convergere i risultati della ricerca, i protagonisti consultati e coinvolti e tutti i soggetti locali e nazionali potenzialmente interessati.

COMMISSIONE E CRITERI DI VALUTAZIONE

1. La valutazione delle candidature sarà effettuata da una apposita Commissione nominata dalla Fondazione MIdA.

2. Ai fini della selezione la valutazione verrà effettuata in base a:

- competenza e qualità del curriculum vitae in relazione al tema oggetto di studio. Massimo di punti 30;

- progetto di ricerca: coerenza con il bando, fattibilità nei tempi e con le risorse assegnate, coerenza dei metodi con gli obiettivi, qualità dei risultati attesi e dei prodotti consegnati. Massimo di punti 70.

3. I candidati devono superare il punteggio di 60/100 per essere ammessi in graduatoria

4. Al termine dei lavori la Commissione redigerà una graduatoria, con l’indicazione del vincitore sul sito dell’Osservatorio sul Doposisma (www.osservatoriosuldoposisma.com). La graduatoria sarà approvata con deliberazione della Fondazione MIdA.

REGOLE DI PARTECIPAZIONE

1. Pubblicazioni e materiali inviati non verranno restituiti, ma verranno conservati e resi disponibili al pubblico presso la biblioteca dell’Osservatorio sul Doposisma.

2. I concorrenti che non dovessero risultati vincitori ma con un profilo scientifico e di ricerca adeguato potranno inviare degli abstract o delle proposte di contributo che, se ritenute valide, potrebbero essere inserite nel rapporto 2014 dell’Osservatorio sul Doposisma.

Pertosa, 20 ottobre 2014

Il presidente della Fondazione MIdA

Francescantonio D'Orilia

Per informazioni e contatti:

Area coordinamento dell’Osservatorio sul Doposisma

Stefano Ventura

349/6499285

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Area stampa e comunicazione

Francesca Caggiano

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VENERDÌ 20 SETTEMBRE 2013 – ORE 16:00 Fac. di Scienze Umane - Aula Magna – Viale Nizza 14, L’Aquila

Orlo, bordo, confine, selve, monti, mare, alberi, zolla, cane, vigna, nuvole, vacca, panchina, sole, alba, tramonto, e vento, neve, pioggia, e altro vento, e altra neve, e aprile, e il verde di maggio, e il nero di settembre, silenzio senza opinioni, luce senza commenti, voglio solo che la vita sfili, se ne vada da dove è venuta, non la trattengo, non voglio trattenere niente, camminare, guardare gli alberi, non dire e non fare nient’altro che il giro dei confini, andare sempre più dentro a certi confini, non superarli, non mirare al centro, non mirare alle passioni di tutti, disertare, prendere confidenza col cielo, ma farlo senza vantarsene, non sputare parole sul mondo e sugli altri, camminare, uscire perché è uscito il sole, uscire, prendere un paese, passarci dentro, non dire nulla del giorno, non accostare niente alla solitudine, lasciarla intatta, lasciare che la solitudine faccia la sua vita, svolga la sua storia e così pure la tristezza e la stanchezza, essere stanchi tristi e soli è comunque una fortuna, i buoni sentimenti rigano il mondo come quelli cattivi, come le parole…

PAESAGGIO CON MACERIE – L’AQUILA (selezione di testi dedicati al territorio aquilano)

interverranno:

  • Franco Arminio – Poeta, scrittore, regista, paesologo
  • Alessandro Vaccarelli – Docente di Pedagogia della cooperazione sociale e internazionale – Università dell’Aquila
  • Rita Salvatore – Sociologa dell’ambiente e del territorio – Università di Teramo

Proiezione del documentario:
Teora 2010- realizzato da Franco Arminio

Strutture enormi e inutilizzate, spazi immensi con distese di cemento anch’essi inutilizzati, questo è diventato il paese simbolo del terremoto molisano, San Giuliano di fronte, che dopo aver pagato un tributo altissimo al terremoto, ma soprattutto per colpa dell’uomo che ha costruito quella scuola maledetta, oggi è radicalmente cambiato, nella struttura e nella società. Intanto si accumulano problemi e i soldi mancano.

 

Michele Mignogna

 

“Anche a costo di sforare il patto di stabilità, pagheremo di tasca nostra i lavori già fatti”, a dichiararlo è stato il Presidente della regione Paolo Frattura, nell’incontro a Bonefro con i soggetti coinvolti nella ricostruzione. Va detto in ogni caso, che in questi ultimi tempi il problema ricostruzione si spostato sui tecnici e sulle imprese, che devono ancora essere pagati per i lavori svolti, e un po’ meno sulle condizioni dei terremotati, con il carico di problemi che ancora hanno e che avranno presumibilmente per molti anni ancora, allora il problema dov’è? Lo esplicita sempre il Presidente Frattura “non sappiamo ancora quanti soldi sono stati spesi, non solo – continua Frattura – soprattutto a San Giuliano di Puglia, ci sono lavori eseguiti senza impegno di spesa, e quindi difficilmente individuabili”. Nemmeno questa è una novità se vogliamo grazie al fatto che la ricostruzione di San Giuliano è stata fatta “in proprio” senza cioè passare dalla struttura commissariale, altra aberrazione di questa ricostruzione, un carrozzone inutile e che costa ai molisani attualmente oltre quattro milioni di euro l’anno, ma andiamo con ordine. Come si diceva San Giuliano, amministrata in questi anni dal sindaco Luigi Barbieri, ha gestito la ricostruzione con un canale preferenziale, e spesso, con risultati discutibili, per utilizzare un’altra frase del Presidente. Oggi il paese simbolo del terremoto, San Giuliano di Puglia, si presenta come un non luogo, completamente trasformato nelle strutture del luogo con enormi spazi coperti da cemento e totalmente inutilizzati, e soprattutto con una serie di infrastrutture, che stando agli amministratori, a tutti i livelli, dovevano servire a rilanciare tutta la zona del Fortore e non solo San Giuliano, in termini di sviluppo economico e sociale. Oggi invece l’economia è quella della scia della ricostruzione ancora per poco, e la società è completamente disgregata per faide interne e lotte intestine. Cosi chi oggi si trova a passeggiare nei paraggi della mega scuola, prima struttura a essere ricostruita e inaugurata da Berlusconi, come risarcimento alle giovani vittime del terremoto, è utilizzata oggi per meno di un terzo della sua struttura, trova anche un Museo, non si sa bene di cosa, ma i bene informati dicono che doveva essere un museo alla memoria del sisma, un centro Polifunzionale, che probabilmente doveva servire all’Università, mai approdata a San Giuliano, e un Laboratorio che doveva essere utilizzato da un centro di ricerche agricole, mai entrato in funzione. La cosa che più colpisce però è la genericità delle strutture, infatti, non c’è una sola indicazione che dica a cosa serve il museo piuttosto che il centro polifunzionale. Insomma cemento a terra e soldi, pubblici in aria, mentre le imprese, quasi la totalità, sono con l’acqua alla gola e con incognite pesanti sul loro futuro, cosi come i tanti spazi aperti, dove invece di scegliere il verde della natura hanno scelto il grigiore e l’anonimato del cemento, tanto cemento buttato a terra, che significa soldoni per pochi, è sul cemento che molte imprese e tecnici soprattutto hanno fatto fortuna in questo terremoto. E che dire della famosa casa di riposo per anziani, finita di costruire, arredata e pronta ma ancora chiusa perché, con ogni probabilità non ci sono anziani che ne hanno bisogno, una fortuna certo, ma il milione di euro servito alla sua costruzione poteva, a questo punto, essere impiegato per altro. Insomma una ricostruzione che ha fatto la fortuna di pochi a spese della collettività, il modello Molise appunto fallimentare su tutti i fronti.

Giovedì 18 Luglio 2013 18:05

Terre Memori, terre sorelle

Riportiamo la testimonianza di Barbara Vaccarelli pubblicata sul volume Territorio e Democrazia: un laboratorio di geografia sociale nel doposisma aquilano (L’Una, 2012 - a cura di Lina M. Calandra). Il volume è stato presentato nell’ambito del Seminario itinerante sui luoghi del cratere aquilano (3-5 maggio 2013) promosso dalla Società Geografica Italiana e tra le varie iniziative è stato coinvolto anche l'Osservatorio sul Doposisma.

 

 

Non credo che ci sia, oggi, un'altra maniera di salvarsi l'anima. Si salva l'uomo che supera il proprio egoismo d'individuo, di famiglia, di casta, e che libera la propria anima dall'idea di rassegnazione alla malvagità esistente. Cara Cristina, non bisogna essere ossessionati dall'idea di sicurezza, neppure della sicurezza delle proprie virtù: Vita spirituale e vita sicura, non stanno assieme.

Per salvarsi bisogna rischiare.

I. Silone, Vino e pane, 1975

Terre Memori, terre sorelle

A dicembre 2011 si apre all’Aquila Terre Memori: dall’Irpinia all’Aquila. I luoghi dei diritti negati, una rassegna letteraria e di studi sulle comunità del dopo sisma organizzata dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università dell’Aquila in collaborazione con L’Aquila e-Motion e l’Osservatorio permanente sul dopo sisma di Auletta-Pertosa. Tutti i libri e documentari presentati fino a oggi hanno concentrato l’attenzione su quanto sia importante non ripetere, qui e ora, gli stessi errori delle ricostruzioni decise 32 anni fa; su come si possa ripristinare (e forse reinventare) un nuovo senso di appartenenza che tenga unita la ricostruzione materiale a quella sociale; sul dovere di vigilare e impegnarsi per scrivere un nuovo capitolo nel territorio aquilano anche attraverso l’apertura verso quelle comunità che nei passati decenni hanno subito decisioni dall’alto.

L’Aquila e-Motion nasce nel 2010 come sito da un gruppo di amici decisi a creare un contenitore di idee, di spunti di riflessioni e anche un raccoglitore di memoria sulla scossa del 6 aprile 2009. Tra i tanti obiettivi del sito c’è quello di favorire lo scambio, la condivisione e il confronto delle idee. È questa nuova vita da terremotata che mi ha portato ad aprire orizzonti di confronto. Gli spunti sono infiniti se vai alla ricerca di chi ha vissuto un terremoto e se costui/costei sa indicarti come sarà tra una settimana, un mese, un anno la tua vita; cosa ti puoi aspettare e cosa ti sarà negato. Dopo aver subito la perdita della mia città il 6 aprile 2009, è stato inevitabile associare ciò che anni prima avevo visto in tv e sentito da tanti amici sulle conseguenze di quel 23 novembre 1980, a ciò che ora vivevo io. Ho capito che vivere un terremoto è fondamentalmente diverso dal sentimento di compassione e dolore  che si prova quando lo si guarda da “fuori”. Con tutto l’impegno possibile non si riesce a comprenderne la portata e quanto ne possa essere travolta la vita, tua e della tua comunità. E la perdita di tutti i punti fermi che la sostengono.

All’inizio di questo percorso “emozionale” ho avuto la fortuna di conoscere all’Aquila  Antonello Caporale in occasione della presentazione del suo libro Peccatori che dedica il capitolo “non uccidere” al sisma del 6 aprile 2009 con la testimonianza aquilana di Rossella Graziani. Da questo momento vengo coinvolta per il sito dell’Osservatorio permanente sul dopo sisma (di cui è direttore Antonello Caporale) che nel tentare di riannodare il filo della memoria dei luoghi colpiti dal sisma del 23 novembre 1980, si allarga agli altri terremoti italiani. L’Osservatorio, finanziato dalla Fondazione MIdA che destina allo scopo, in coerenza con gli obiettivi statutari, parte dei proventi derivanti dalle proprie attività, indaga e analizza le trasformazioni sociali, ambientali, economiche successive al sisma, promuovendo l’analisi e la ricerca scientifica in diverse discipline. È in questo contesto che ho la fortuna di conoscere i “figli del terremoto irpino”, impegnati nella ricerca sul territorio colpito dal sisma del 1980 per capire e ricostruire la storia del “prima” e della ricostruzione non ancora finita; per raccogliere testimonianze; per trovare un modo per ripristinare il meglio del passato proiettandolo in un nuovo futuro che promuova la cultura e le peculiarità dei territori che ancora vivono i segni del loro sisma, nel bene e nel male. È un gruppo di giovani ricercatori e giornalisti impegnati su tantissime tematiche riguardanti il territorio irpino, da quelle sociali a quelle economiche, con particolare attenzione a tenere sempre il filo che lega la memoria dei luoghi. Scrivono, pubblicano, documentano, filmano, denunciano, raccontano quello che non c’è più, quello che servirebbe a correggere – se possibile – le scelte sbagliate della ricostruzione sul loro territorio, stravolto per sempre insieme alla vita, ai paesi della Campania e della Basilicata.

Io sono nata e vivo all’Aquila, terra sorella dell’Irpinia anch’essa su quell’Appennino che ci unisce nel destino delle avversità e della voglia di rinascere dalla distruzione. Per noi qui sono passati poco più di 3 anni da quando abbiamo perduto i nostri luoghi, per gli irpini più di 30 anni. Non ho mai pensato di fare paragoni sui danni materiali, sulle vittime che questi due terremoti hanno provocato.  Ho imparato a non competere su nessuna disgrazia e a pensare che dagli errori e dalla sofferenza provocata da uno Stato “distratto” verso le vite umane, dalle classificazioni sismiche sbagliate della dorsale appenninica, non possono che nascere dialoghi e scambi perché invece, rispetto agli sprechi, alle inefficienze è bene dire le cose come stanno. Nel giro di pochissimi mesi, nel terremoto dell’Aquila si sono spese enormi risorse come sul libro-inchiesta Terremoti S.p.A. di Antonello Caporale è chiaramente messo in evidenza con dati alla mano.

Conta il contesto storico: 1980, periodo storico di grande impegno politico ma anche dell’economia che si avvia a declino; 2009, periodo che raccoglie gli esiti di 20 anni di berlusconismo.

Da la Repubblica, 11 febbraio 2010: "... Alla Ferratella occupati di sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito, non è che c'è un terremoto al giorno". "Lo so", e ride. "Per carità, poveracci". "Va buò". "Io stamattina ridevo alle tre e mezzo dentro al letto".  Colloquio telefonico all'alba del 6 aprile 2009 tra gli imprenditori Francesco Maria De Vito Piscicelli, direttore tecnico dell’impresa Opere pubbliche e ambiente Spa di Roma, associata al consorzio Novus di Napoli e il cognato Gagliardi.


E conta il ruolo dei media: 1980, gli albori di Mediaset; 2009, l’impero di Mediaset. Ho imparato a capire in questi tre anni cosa riesce a fare la differenza sui trent’anni che separano le due “catastrofi”. Non è la tecnologia a fare la differenza visto che non c’è stata prevenzione né nell’uno né nell’altro caso e visto che il terremoto dell’Irpinia non ha insegnato nulla, o quasi, a questo paese. Negli anni ’80 non c’erano le intercettazioni telefoniche, in questi anni sì. In Irpinia subito dopo il sisma sono nati i comitati, anche all’Aquila. In Irpinia i sindacati furono molto attivi, qui no. Lì si occupò l’autostrada (“Terre in moto” documentario di Citoni, Siniscalchi, Landini 2006) e in alcuni centri storici si proposero ricostruzioni dal basso; qui, le 19 new town sono la prova concreta di una grande mangiatoia, dell’inganno di noi abitanti, dei massimi guadagni per alcune imprese del Nord: sembra che gli isolatori non siano antisismici! Ecco che di nuovo abbiamo toccato con mano che non siamo altro che carne da macello (Il fatto quotidiano, 23 luglio 2012). Dopo il terremoto del 1980 nasce la Protezione civile, quella che nel primo intervento sul cratere aquilano ha salvato moltissime vite, ma per il resto i terremoti restano campo privilegiato del malaffare: così è stato in terra irpina, così è in terra aquilana. Dall’Irpinia nasce, appunto, la Protezione  civile organizzata, dall’Aquila parte una proposta di legge di iniziativa popolare “Legge di solidarietà nazionale per i territori colpiti da disastri naturali” centrata sulla prevenzione, attenta alla gestione dell’emergenza e alla questione dei fondi per la ricostruzione. La legge, se mai fosse stata approvata dal Parlamento (siamo ancora in attesa!), avrebbe avuto utilità e impatto su tutto il territorio nazionale. Equamente per tutti. Perché vorremmo che quello che sta accadendo a noi non accada più. Sono state raccolte 45.000 firme da tutta l’Italia e nell’attesa che qualcosa si muova, abbiamo dovuto assistere ad altre catastrofi registrando la morte di 37 persone a Messina, 6 a Genova e 26 in Emilia. Le conseguenze sono le solite, le misure di emergenza differenti e nulla insegna.

 

Tre anni fa tanti italiani sono stati convinti che L’Aquila non avrebbe avuto la stessa sorte dell’Irpinia, e devo ammettere che anche tanti miei conterranei si sono ostinati a crederlo. Un messaggio martellante: L’Aquila sarà interamente ricostruita. L’unica cosa certa, invece, è che anche qui la decisione di svuotare i centri storici e di allargare le periferie è stato deciso dall’alto. Nella sostanza, dunque, nessuna differenza. Neanche la presa di coscienza che questo è un paese fatiscente. Vanno giù scuole e ospedali, adesso come trent’anni fa, abitazioni nuove e interi palazzi costruiti nel 2000. In Emilia vengono giù capannoni industriali e migliaia – troppe – risultano essere le abitazioni inagibili. Muoiono operai, quasi tutti migranti in cerca di migliori condizioni di vita.

L'Aquila 18 dicembre 2011Nel mio viaggio a Romagnano al Monte “nuovo”, in Irpinia, tocco con mano quello che sento da 3 anni accadere qui: famiglie che vivono in prefabbricati di legno, da oltre 30 anni. Come afferma Antonello Caporale, l’Irpinia durante il post sisma ha avuto un riscatto storico dall’isolamento e dalla povertà, anche grazie alla messa in opera di infrastrutture e vie di collegamento, ma lì come qui si è sacrificato il patrimonio agricolo per la (ri)costruzione al costo dell’identità territoriale e della storia (Convegno-mostra, L’Aquila, 18 dicembre 2011).

Di geografia e paesi mi attira e mi conforta la lettura delle tante pubblicazioni di Franco Arminio, scrittore e poeta dell’Irpinia d’Oriente. Dentro la sua produzione letteraria si trova tutto il significato del terremoto: parla e narra del “post”, dei valori sui quali si dovrebbero basare le comunità tutte, in particolare le nostre duramente colpite dai terremoti, ricercandone le origini attraverso i luoghi e i paesaggi snaturati dalle più scellerate ricostruzioni. Nelle tante riflessioni che Franco Arminio generosamente regala ai suoi lettori, anche sul web (Comunità provvisorie), ritrovo tutte le preoccupazioni che invadono il nostro vivere nel cratere aquilano vittima della stesso destino irpino: “Se vesti la taglia 42, perché compri una 52?” (F. Arminio, Scuola di paesologia).

Cosa raccontare dei miei luoghi? Se è vero che esistono, allora io ne ho vissuti tanti, siano essi fisici o mentali. Ogni luogo col suo ricordo associato a un odore o a un suono, colorato o scolorito, luminoso o buio, distante o vicino. In condizioni di normalità uno stesso luogo può ricordarti quando eri giovane, oppure di averlo vissuto prima della nascita di un figlio e non esserci più tornato da lungo tempo, scoprendo però che in fondo quel luogo non è cambiato troppo; a volte semplicemente anche i luoghi invecchiano lentamente, e solo in certi dettagli si può vedere l’usura o l’incuria; invece a volte sono solo le stagioni a fare la differenza, ma nella sostanza restano immutati. Quel luogo del “prima” di un particolare evento lo trovi sempre là, nella stessa posizione, invecchiato o rinnovato, magari solo trasandato, o al contrario tirato a lucido e se riesci a tornarci, riconosci e rievochi ricordi di volti ed emozioni. È rassicurante tornare nei luoghi che hanno tracciato un vissuto e raramente  queste terre le ho pensate rivolte al futuro, perché per esempio la mia è una città medioevale, almeno fino a 3 anni fa.

Della storia dei luoghi, dei luoghi della mia città, in realtà, ho avuto occasione di occuparmi tredici anni fa, quando  sull’Aquila inizia un percorso editoriale promosso dall’associazione culturale  “Territori” che nel 1999 pubblica il volume Sulle ali dell’aquila dedicato alla scuola primaria e distribuito gratuitamente alle classi IV e V. L’operazione si proponeva l’obiettivo di offrire un supporto per ampliare le conoscenze dei ragazzi sulla loro città. Oggi, è il caso di riprendere quel percorso per offrire uno strumento che, partendo da alcuni punti di riferimento spaziali e temporali, aiuti a maturare la consapevolezza storica e ambientale sul proprio territorio fatto di rotture e continuità. Fino al 6 aprile 2009, quando il terremoto ha segnato in modo indelebile la geografia e la socialità del territorio aquilano. Questo strumento didattico vedrà nella seconda edizione un coinvolgimento diretto dei bambini anche perché “Le situazioni d’emergenza e di post-emergenza causate da catastrofi interrogano l’orizzonte pedagogico e didattico su quali strategie attivare a fronte delle criticità che esse generano sugli individui” (Isidori, Vaccarelli 2012). Gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere alla fine di questo nuovo percorso sono, da un lato, fornire uno strumento didattico per insegnanti e alunni, che ripercorra la storia della città, teatro nel passato di avvenimenti che la memoria ha il dovere di trasmettere; dall’altro, rispondere all’esigenza di ricostruire il senso di appartenenza a un territorio che da secoli ha dovuto fare i conti con la ricostruzione di un doposisma.

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Barbara Vaccarelli
è graphic designer presso un’azienda del Gruppo Telecom, nel settore della formazione. Si occupa di grafica e comunicazione visiva nel campo istituzionale, di marketing e di siti web. Cura l’organizzazione di eventi e progetti editoriali, tra i quali il libro per la scuola primaria Sulle ali dell’Aquila. Un viaggio nella storia della città (I edizione 1999, ed. Territori), attualmente si sta occupando della seconda edizione, come presidente e socia fondatrice dell'Associazione Culturale "Territori".

Mercoledì 17 Aprile 2013 17:46

Storie di terremoti, in Emilia

Il terremoto che nel maggio 2012 ha colpito L’Emilia Romagna e il Mantovano, oltre a causare rilevanti danni economici, ha diffuso tra le popolazioni dell’area interessata paure prima sconosciute, ha suscitato dubbi e  interrogativi inquietanti, ha dato luogo a riflessioni e discussioni sulle implicazioni economico-sociali, culturali e politiche dei disastri sismici. I problemi della valutazione dei rischi, della prevenzione, della sicurezza e della ricostruzione sono quelli che si sono affacciati più che mai urgenti alla coscienza di tante persone. Tuttavia non solo gli aspetti scientifici e tecnici, ma anche quelli psicologici e antropologici dei fenomeni sismici sono divenuti oggetti di un interesse non limitato agli specialisti.

Gli istituti associati all’Insmli (Modena, Bologna, Ferrara, Reggio Emilia e Mantova, oltre all'Istituto regionale Parri e al Landis di Bologna), si propongono di offrire un contributo originale alla memoria degli eventi, alla riflessione e alla discussione in corso organizzando due iniziative il cui coordinamento è stato curato dall'Istituto mantovano di storia contemporanea: un percorso di didattica autobiografica rivolto alle scuole di tutta l'area terremotata emiliana e lombarda, in collaborazione con il professor Duccio Demetrio e la Libera Università dell'autobiografia di Anghiari; un ciclo di incontri in cui le molteplici implicazioni dei fenomeni sismici saranno esaminate in una prospettiva storica.

L’esame dei temi e dei problemi prenderà spunto dalla narrazione di una o più vicende sismiche specifiche.
Essendo i casi e i problemi relativi in particolare al nostro paese, gli incontri saranno anche l’occasione per approfondire momenti e aspetti poco noti della storia d’Italia.

 

venerdì 12 aprile 2013, ore 15
Mantova, Archivio di Stato
Sacrestia della SS. Trinità (via Dotrina Cristiana, 4)

Emanuela Guidoboni
Un’altra storia: terremoti e distruzioni in Italia. Un problema oscurato?

Roberto De Marco
L’Italia si protegge dai terremoti: dal Belice all’Aquila

Indirizzi di saluto
Francesca Zaltieri, assessore alla cultura della Provincia di Mantova
Claudio Silingardi, diretore dell’INSMLI
Maurizio Bertoloti, presidente dell’IMSC di Mantova
Coordina
Andrea Marchi, presidente dell’ISREBO di Bologna

venerdì 19 aprile 2013, ore 15
Carpi, Biblioteca Arturo Loria (via Rodolfo Pio 1)

Stefano Ventura
Il terremoto dell’Irpinia dall’emergenza alla ricostruzione: una storia controversa e una memoria difficile

Giacomo Parrinello
Abbandoni, ricostruzioni, trasferimenti: le scelte insediative e il rischio sismico in Italia da Messina al Belice

Indirizzo di saluto
Amministrazione Comunale di Carpi
Coordina
Giuliano Albarani, presidente dell’Istituto Storico di Modena

venerdì 10 maggio 2013, ore 15
Ferrara, Castello Estense, Sala dei Comuni

Jean Paul Poirier
Filosofa, scienza e cultura popolare di fronte ai terremoti

John Dickie
Terremoto e patriotismo

Indirizzi di saluto
Amministrazione Provinciale di Ferrara
Amministrazione Comunale di Ferrara

Coordina
Anna Maria Qarzi, diretrice dell’ISCO di Ferrara

Istituto mantovano di storia contemporanea - Corso Garibaldi 88 - 46100 Mantova
Coordinamento:   0376 352706 - Biblioteca e Archivio: 0376 352713 - fax 0376 352712

Indirizzo e-mail:  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
Indirizzo web: www.italia-liberazione.it/mantova

 

tratto dal sito dell'ISTORECO

http://www.istoreco.re.it

Non tragga in inganno il titolo, nessuna lezione formale di Renzi all'Università. Piuttosto la sua forza rinnovatrice ispira e contagia l'austero consesso del Senato Accademico fiorentino che assegna la cattedra di urbanistica a Franco Arminio, il paesologo. Autore di numerosi testi, fra cui spicca Terracarne, il maestro elementare di Bisaccia vedrà la propria platea di molto cresciuta, ora con barbe e reggiseni. Lo attendono le fatiche di 48 ore che saranno certamente tutt'altro che tradizionalmente algide ed austere.
Credo sia la prima volta che un poeta sia incaricato di insegnare urbanistica. Ma non mi pare una follia, anzi. Molte sono state e saranno le polemiche, prime fra tutte quelle di un architetto aspirante all'incarico, i cui avvocati hanno eccepito il mancato possesso del titolo di lauree da parte del maestro. Un bizantinismo fariseico che non trova riscontro, tra l'altro, neppure nella normativa che fa riferimento a titoli, senza specificarne altrimenti l'esatta definizione, tanto da consentire ad altri il riconoscimento come tali ad articoli su riviste nautiche patinate o notiziari sull'allevamento di maiali.
In effetti, in generale " l'architettura è fra tutte le arti quella che più si avvicina all'universo, che gli antichi chiamavano kosmos, cioè ornato, perché è come un animale in cui rifulge la proporzione di tutte le sue membra". Così Umberto Eco faceva dire a fra' Guglielmo, ne Il nome della Rosa. Poi, se la Geografia è la lettura dei segni sulla terra  (dal greco geo grafos) essi sono stati realizzati dalla Natura: monti, valli, fiumi per la geografia fisica; strade, autostrade, ferrovie ed in generale i confini territoriali, per la geografia politica. Allora, chi meglio dell'inventore della paesologia: il cantore delle curve tettoniche e dei fallici campanili, di coppi e portali, vicoli e fontane? Altri in passato sono stati cultori di tale materia, sine titulo, basti pensare a Le Corbusier ed alla sua Brasilia. Diversamente abbiamo sotto gli occhi l'area metropolitana estesa di Napoli.
Non mi pare infine una coincidenza che tale felice "innovazione" si attui a Firenze. Il contributo al nuovo che ha dato il suo sindaco risulta contagioso. La saggezza dell'accademia sta nell'aggiungere il nuovo, inserendolo in contesti collaudati, non di avviare processi di rottamazione, col rischio di buttare via il bambino con l'acqua sporca, com'era in uso dire quando si affermava, con più vigore, altro desiderio di cambiamento.

Virgilio Gay


Per approfondire:

Articolo dalla Nazione

Commento da Orticalab

Articolo dal Corriere della Sera - Corriere Fiorentino

Sono passati 32 anni e c'e' ancora qualcuno a cui non e' stato saldato l'indennizzo dovuto. Era una domenica sonnolente, di quelle scandite ancora da un tempo di partita in tv. Mi pare che trasmettessero la sconfitta dell'Inter di Beccalossi ed Altobelli contro la Juve di Zoff e Scirea. 23 novembre 1980: una data fatidica. Di quelle che si usano per dividere i tempi della storia. In Campania e Basilicata si dice appunto prima e dopo il terremoto. Si scava nella memoria per mettere in ordine i ricordi classificandoli appunto così: prima e dopo. L'icona della memoria per il periodo e' probabilmente l'esordio cinematografico di Troisi, Ricomincio da tre. Uscito sugli schermi ad inizio 1981 rappresenta il mondo com'era prima del terremoto irpino-lucano. Vediamo di capire quanto sia lontana quella società, oggi. Innanzitutto non c'e' più Massimo. Portatoci via da un cuore incapace di contenere tutto il suo amore per Napoli. Nel film la prima scena può trarci subito in inganno. Mostra numerose travi che reggono la volta di un portone d'ingresso del palazzo dove abita il protagonista. Non sono le ferite del sisma, bensì una condizione di precarietà statica allora diffusa e sapientemente raccontata da De Crescenzo, nella Napoli di Bellavista, quando un vigile impedisce ad un turista di entrare in uno di quei palazzi a rischio di crollo e che, alle intemperanze dello stesso che protestava perché aveva visto altri entrare liberamente, il vigile rispondeva: che c'entra, quelli ci abitano!

La protagonista della pellicola sta scrivendo un racconto ed usa una macchina da scrivere, perché non c'era ancora il personal computer. In una scena, una sera allontanatosi dalla comunella di amici, Massimo guardava la tv ed una ragazza gli chiedeva se in essa sperava di vederci Dio. Egli rispondeva che non era possibile, perché  stava guardando il secondo canale, allora laico nella lottizzazione consociativa. Il palinsesto poi non durava l'intera giornata, Rai tre era appena nata, sarebbe tra poco diventata area d'influenza comunista e non c'erano le tv private nazionali. L'amico (Lello Arena) giunge all'improvviso e viene redarguito per non avere telefonato. Si scusa dicendo che mica poteva scendere dal treno ad ogni stazione (non c'era naturalmente l'alta velocità) per cercare una cabina telefonica? Allora molto diffuse, perché non erano stati inventati i cellulari. Lo stesso amico che poi scappa da Firenze perché gli aumentano la pensione di mille lire.

Non c'era l'euro, naturalmente. In un centro d'igiene mentale, con una magnifica performance, mi pare fosse Felice Andreasi ad ammettere di volere essere l'avvocato Agnelli. Certamente! Allora eva l'avvocato il modello di grazia e ricchezza. Non ancora il cavaliere, ne' Della Valle.. Infine, per tutto il film Massimo cerca di spiegare a tutti che sta viaggiando per conoscere il mondo e non per emigrare. Cattivo profeta di una necessita' che si credeva fosse passata ed invece proprio dal terremoto fu ripresa, spopolando i paesi dell'appennino campano e lucano. Certo non più con le valigie di cartone e molto spesso con in tasca un diploma o una laurea, il fenomeno sarà ripreso per giungere oggi a maggiore compimento. Ecco,  possiamo affermare che il filo rosso che unisce le due epoche sia proprio lo spostamento per ragioni di lavoro. Per un ragazzo di qui e' sempre più arduo non solo essere profeta, ma semplicemente lavoratore, in patria. Prima e dopo il terremoto.

Virgilio Gay

(Direttore Fondazione MIdA)

Oper-A-zione è un progetto di diverse realtà culturali del Sele/Tanagro che coinvolge i più piccoli in attività legate al tema ambientale. E' un progetto che nasce a seguito di una forte riflessione su ciò che è diventato il territorio dopo il terremoto: le fabbriche, costruite in grandi aree industriali a fondo valle, hanno sostituito il verde e contaminato la natura. I giovani della Valle del Sele e del Tanagro hanno quindi pensato di sensibilizzare su cosa sta accadendo, partendo dai bambini.

Domani, 18 novembre 2012, a partire dalle 9 e 30, partirà un concorso artistico-letterario e laboratori sul riuso dei materiali per colorare il destino dei paesi del “Cratere”, che si dislocheranno nei pressi delle zone industriali di Buccino, Contursi Terme, Oliveto Citra e Palomonte.

 

Altre informazioni sulla pagina Facebook di Oper-A-zione

 

di Angelo Cariello

Nulla mi è mai appartenuto meno della mia terra. Nulla mi tiene e mi appartiene, ora, più di questa stessa terra. M’affaccio ormai sui trent’anni ed il gioco della soggettività – la mia –, l’illusione di una storia personale, di un destino particolare, esclusivo, unico, s’assottiglia ad ogni respiro. Ogni respiro è un passo verso il nullificante tutto biologico, ogni sospiro artiglia la presa di coscienza dell’irrilevante trasparenza dei colori del mio spirito, che a me parevano, in un tempo che è già remoto, densi, forti, brillanti. Sono uomo tra gli uomini, un uomo negli uomini. Eppure galleggia, sulla superficie dell’agnostica impalpabilità in cui fluttua la vita del mio corpo, un abbozzo filiforme di cui pure non posso ignorare il potenziale narrativo che lo sostanzia. Tra l’estraneità e l’appartenenza, tre gradi mi raccontano, tre momenti – in un hegeliano spicciolo – nel mio spirito, tre domande terra terra nelle viscere. Perché restare in questa terra se essa non m’appartiene? Sono partito quand’era comodo farlo, l’università era un treno merci colmo di giustificanti occasioni da prendere al volo. Mi ha condotto in città, lì dove le cose accadono, dove tutto è diverso, semplice e complesso, distante e a portata di mano. La lontananza è stata un corposo slittamento cognitivo e semantico verso l’alterità che non ha né vuole confini: perché mai dovrei appartenere ad una ed una sola terra? Il ritorno, orpellato da una antifunzionale laurea in filosofia, è la sensitività tutta nuova dei miei occhi fissi sull’interrogativo che è sintesi ad un tempo sincretica e casta di tutto ciò che l’ha preparata e preceduta: come fa questa terra a non appartenermi se è a tutta la terra che appartengo?

Una valle, uno spiegazzato fazzoletto di storia steso tra i monti Alburni, quel che resta di un leggendario fiume – il Sele – a scavare, assieme al suo affluente – il Tanagro –, il solco tra i venti e i dialetti di una dozzina di comunità. È questa, adesso, la mia terra, la terra che ho scoperto bella quanto qualsiasi altra terra. C’è voluto il rischio di perderla una volta per tutte perché potessi ritrovarmi tra le mani la sua fragile bellezza. È il più classico dei paradigmi dell’amore: nel preciso istante in cui si sta per perdere qualcosa, di cui poco o niente ci si curava, ecco che l’acqua si fa vino, la morte si fa vita, l’accidiosa trascuratezza sangue pompato a mille da un cuore ormai perdutamente innamorato, di quell’amore che polverizza ogni distanza tra l’inizio e la fine. La fine della mia valle ha le nefande fattezze di un inceneritore, tirato su in un assordante silenzio ad uno sputo dal fiume. L’inizio è il miracoloso risveglio di questa stessa valle, che di certo non vuole ammalarsi e morire di “munnezza”, e allora scalcia, sgomita e tira fuori le unghie per afferrare la vita e riaffermare il più elementare diritto alla sopravvivenza. Chiudere gli occhi, serenamente, chiuderli e morire solo e soltanto quando il ciclo naturale delle cose sancisce che è il tempo di lasciare questo mondo: guai a dare per scontata, a questo mondo, una grazia simile. La mia terra l’ha imparato sulla propria pelle, la mia gente l’ha capito appena in tempo, il mio mondo ora lo sa. Sa che il cielo terso, l’aria linda, l’acqua cristallina, il verde immacolato sono un bottino di guerra e non una rendita fissa, sa che respirare, bere, mangiare sono una conquista quotidiana e non un’assodata prerogativa, sa che la vita non è un’ovvia elargizione ma una refurtiva recuperata alla falange della morte, la luciferina squadraccia che semina veleno e raccoglie distruzione, il malefico esercito che assolda fabbriche e fabbricatori, amministranti e amministratori, profitti e profittatori. Unirci e allearci per fronteggiare il male era il minimo che noi, abitanti di questa valle, potessimo fare. Affratellarci e riconoscerci simili nello spirito è il massimo a cui noi, figli di questa terra, potevamo aspirare. Via gli sterili campanilismi, al bando gli esasperanti localismi, al diavolo le risibili faide di provincia: da sciatti e distratti co-abitanti, siamo diventati un popolo. Un popolo cosciente e determinato. Cosciente della propria storia e determinato ad impugnare la penna della coscienza per riscriverla, correggere il suo corso, raddrizzare le tante, troppe storture. Riscrivere la storia, ridisegnare il nostro raccontarci dal basso tanto quanto l’altrui raccontarci dall’alto. A partire dal quando e dal dove questa storia si è incrinata, squarciata, abbrutita, inquinata. 23 novembre 1980. Ore 19 e 45. Un rombo, uno strappo. Non dal cielo ma dalla terra, un tuono cupo e capovolto travolge e stravolge il racconto di ogni singolo cristiano. Il violento moto della terra è uno spartiacque universale. Il diluvio di potenza tellurica s’abbatte sulle case di pietra per sradicare dalla terra il corso del destino di chi quelle case le abitava. Niente sarà più come prima. La pioggia di soldi della ricostruzione annacqua le radici. La colata di cemento armato della rifondazione sbiadisce le tradizioni. Dal primario al secondario, scatto di settore economico nella produzione, sembrava un avanzamento, è il progresso, per tale lo spacciava chi comandava e guidava la grande abbuffata di incentivi e risarcimenti. Dal quando al dove, dal minuto e mezzo di terrore dell’ottanta, al successivo sedizioso innesco della bolla industriale, l’artificioso innesto delle aree industriali, spettrali poli produttivi che vennero ad arredare ogni centro urbano, snaturandone prerogative e periferie.

Spianate chilometriche, stese a mo’ di tappeto rosso sotto i piedi di chi fiutava l’affare, intascava i finanziamenti per aprire e, in un lampo, immediatamente chiudere baracca, lasciando i burattini a piangere sui fili spezzati ed il cemento versato. Se avessero spartito tra noi poveri cristi terremotati quella massa immane di soldi pubblici (e quindi, paradossalmente, già nostri), se ci avessero assegnato direttamente, un tot a testa, i miliardi e miliardi di lire stanziati per procurarci un’occupazione nelle fabbriche e restituirci la dignità, ebbene, con ogni probabilità, da queste parti il problema del lavoro non avrebbe avuto modo di esistere, avremmo potuto vivere di rendita, passare le giornate a leggere Platone e trascorrere le notti a cercare la legge morale nel cielo stellato. Ma non è questa la nostra storia: la storia che abbiamo ereditato ci disegna squattrinati, spiantati, emarginati, disorientati dalla lugubre costellazione di capannoni dismessi e fabbriche diroccate, costretti a perpetuare lo stereotipo del terrone che emigra per il pane, prima ancora che per la dignità. È una storia vecchia, è la millenaria narrazione etnocentrica, è il sempiterno racconto del potere. Un rospo indigesto che non va più giù a chi ha scelto di rinunciare finanche al pane pur di far attecchire qui, tra le proprie radici, il seme della dignità. L’amore che plasma l’azzurro e partorisce i principi è il mezzo migliore per propagandare la consapevolezza tutta nuova della propria forza e diffondere la repulsione verso ogni sedimentata, arcaica, storica sottomissione. Chi, se non i bambini, detiene il potere del cambiamento? Dove, se non nella loro caleidoscopica armatura di variopinte idee, rintracciare l’illibata genialità per la più radicale ed assoluta operazione di ripensamento del gioco – finora a perdere – delle forze? Estirpare l’erbacce della sconfitta, divellere la marcescente sterpaglia dell’incessante disfatta meridionale, scovare i rovi del servilismo covato nell’anima di questa terra, piantare in ogni pozza di degrado un progetto di speranza. I bambini sanno come fare. È un loro segreto. È la loro arte, l’arte della rivolta. Simbolica, semantica, spirituale, materiale. D’altro canto, cos’è il grigio, se non il fondo migliore su cui stendere un verde energico e brillante? Che senso ha una ciminiera se non diventa una scala per dare una mano d’azzurro al cielo? E a cosa serve una fabbrica, se non per produrre i colori? Ora che questa terra m’appartiene e mi tiene, ora che tengo ed appartengo ad essa, ora che questa terra è mia quanto tutta la terra intera, ora che posso e devo disporre di essa come meglio credo, è alla divina onniscienza dei bambini che voglio affidare il bisturi della mia, nostra, loro salvezza.

Dopo l'emergenza, che ancora non è finita, e in mezzo alle numerose scosse che interessano quotidianamente le zone terremotate dell'Emilia, c'è bisogno di pensare a come ripartire. Giuseppe Morrone, da Modena, ci parla di come la politica debba rendersi protagonista della rinascita, dando la priorità al lavoro e allo sviluppo, favorendo soprattutto la partecipazione dei cittadini e delle forze sociali diffuse.

 

Terremoto in Emilia Romagna: i compiti della politica tra emergenza e ricostruzione

Il terremoto che ha piegato ma non spezzato l'Emilia Romagna, sta mettendo a dura prova la vitalità di un territorio che, negli anni, ha dimostrato di essere all'avanguardia nella creazione di un ricchissimo tessuto di piccole e medie imprese e per gli elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile. Un tessuto industriale fatto di eccellenze e competenze diffuse e che, adesso, per ripartire ha bisogno delle fondamenta: risorse e spazi fisici, in primo luogo.

L'urgenza consiste, senza dubbio, nel dare un tetto ai cittadini delle zone più colpite dal sisma e da questo punto di vista le iniziative sorte per impegno dei gruppi di cittadinanza attiva - che stanno raccogliendo centinaia e centinaia di disponibilità di abitazioni sfitte o stanze inoccupate e offerte calmierate di camper e roulotte - si sposano alla perfezione con l'intenzione del Presidente della Regione Vasco Errani di puntare sul patrimonio abitativo inutilizzato per contrastare l’emergenza; una scelta giusta perché evita di rispondere ad un dramma con ulteriore consumo di suolo e soluzioni improvvisate, come accadde con le new towns abruzzesi, e permette quindi di dedicare tutte le risorse alla ricostruzione, mentre si restituisce un tetto a chi ne ha un bisogno immediato.

Ma non c'è soltanto questo aspetto.

In prospettiva, le maggiori preoccupazioni riguardano: la necessità di restituire dignità alle persone attraverso un lavoro sicuro, qualificato e stabile; la tutela dei cittadini dai tentativi di sciacallaggio che speculano su condizioni già drammatiche; l’intervento per scongiurare il disfacimento del tessuto produttivo e i rischi di delocalizzazione; una risposta rapida nella risoluzione dei problemi nei settori fondamentali della scuola e della sanità giacché molte strutture pubbliche risultano inagibili o deteriorate; la promozione di politiche industriali e sociali che rilancino, ripensino e finalizzino le produzioni; un rapporto equilibrato tra snellimento delle procedure e reintroduzione della logica del controllo pubblico nella definizione di norme per le costruzioni civili e industriali che siano adeguate al mutamento delle cartine sismiche nei nostri territori; il tornare a dare slancio e freschezza agli spazi ed ai significati della socialità e dell'interculturalità; il recupero possibile del patrimonio culturale ed artistico devastato perché storia, memoria, bellezza e cultura di una comunità non possono essere disperse.

Per mettere in campo le risposte adeguate, però, c'è bisogno di un largo processo partecipativo che affianchi le Istituzioni nelle scelte per convogliare le risorse - che giungono e giungeranno dai livelli nazionali e regionali - verso obiettivi condivisi e definiti; nonché di un'attenzione potenziata rispetto a possibili ed inquietanti presenze della criminalità organizzata nel percorso della ricostruzione. Il contributo delle forze sociali e politiche, dell’associazionismo e dei cittadini può essere decisivo e la scelta del decentramento - con il Presidente della Regione nominato commissario e i sindaci dei Comuni interessati dal sisma nominati vice-commissari - va in questa direzione.

Occorre, in sostanza, legare il progetto complessivo della ricostruzione al coinvolgimento diretto delle comunità interessate, ad esempio attraverso l’adozione della legge regionale 3/2010 sulla partecipazione fra gli strumenti da utilizzare, perché la qualificazione della democrazia come metodo inclusivo di governo è un fattore decisivo di garanzia di qualità della ricostruzione, all’opposto di recenti esperienze che hanno fatto dell’emergenza la condizione di sottrazione alle normali regole e controlli, con le conseguenze che tutti conosciamo.

Avrebbe senso, ancora, porsi la domanda su come impostare, nei contenuti, il percorso della ricostruzione.

Ovvero provare a riflettere, pubblicamente, sul nostro modello di sviluppo economico, ambientale e sociale. Dalla messa in sicurezza del territorio quale prima e indifferibile opera pubblica, al porre in discussione la priorità di certe opere infrastrutturali (si pensi, per i territori interessati, all'autostrada Cispadana); dalla promozione di stili di vita sobri e sostenibili, al come garantire piena ed effettiva sicurezza (fisica ed economica) per le persone che lavorano: perché non sono le esigenze del mercato, bensì la sicurezza a rappresentare la prima misura del lavoro.

 

 

Giuseppe Morrone (1984) è nato e cresciuto a Caggiano (Sa). Nel 2003 si è trasferito a Siena dove si è laureato in Scienze della Comunicazione. Dopo la laurea triennale si è trasferito a Modena e si è specializzato in Storia dei conflitti nel mondo contemporaneo, conseguendo la laurea magistrale nell'aprile del 2012 con una tesi sul nesso saperi-lavoro nel pensiero di Bruno Trentin. Ha scritto per il Corriere di Siena, Liberazione, Micromega e L'Unità.

Il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha approvato nella seduta del 23 marzo una serie di delibere per lo stanziamento di fondi destinati a vari interventi, che contemplano interventi per il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale, interventi infrastrutturali e politiche per il lavoro.

All’interno di questo pacchetto di misure si trova anche una voce per le ricostruzioni post-sismiche del territorio dell’Aquila, per le alluvioni in Liguria del novembre scorso e anche per il completamento della ricostruzione in Campania e Basilicata (terremoto del 1980). Per quest’ultima voce i fondi ammontano a 33,4 milioni di euro; di questo fondo andranno in Campania 23,4 milioni di euro, dei quali 9,7 per l'Irpinia, 6 per il Sannio, 5,8 per il Salernitano, 1,7 per la provincia di Caserta.

Era dal 2008 che non venivano stanziati fondi per il completamento della ricostruzione. Ora il Ministero per le Infrastrutture dovrà ripartire il fondo tra i comuni che ne hanno necessità per le opere da completare.

La delibera del CIPE permetterà, in un periodo di forte criticità per le casse pubbliche e per l’economia, in particolare al Sud, una piccola boccata d’ossigeno.

Gli amministratori dei comuni interessati hanno condotto, negli scorsi anni, una lunga trattativa affinchè il ministero delle Infrastrutture consentisse lo sblocco dei fondi e il completamento della ricostruzione.

LINKS:

http://denaro.it/blog/2012/03/23/autoimprendiorialita-e-occupazione-il-cipe-sblocca-65-milioni-di-euro-2/

http://www.irpinianews.it/Politica/news/?news=100010

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Economia/Dalloccupazione-alla-cultura-il-Cipe-da-il-via-libera-allo-stanziamento-dei-fondi_313122223129.html

http://www.salernonotizie.it/

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Il Filo della Memoria:racconti, storie e testimonianze

FIL - Il sentimento dei luoghi

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