fondazione Mida

Domenica 10 Aprile 2011 14:11

Io quella notte non c'ero

Scritto da  Enrico De Pietra
Valuta questo articolo
(0 Voti)
Io quella notte non c'ero Enrico De Pietra

Io quella notte non c’ero. Per un colpo di fortuna, per un caso, qualcuno dice per un miracolo, ma non c’ero.

Negli ultimi mesi mi ero fidato dei messaggi tranquillizzanti dei sismologi. Per la mia radio, nelle settimane prima del 6 aprile, ne avevo intervistati almeno tre, ogni qualvolta le scosse si facevano più frequenti o meno lievi. All’Ingv sembravano tranquilli, e confesso che mi sentivo anche un po’ idiota ad assecondare la preoccupazione crescente degli aquilani per quello sciame che continuava senza sosta già da qualche mese.

Per cui, quando quel pomeriggio di fine marzo, credo fosse un lunedì, mentre ero al lavoro ad Atessa, Anna Lucia, mia moglie, mi fece una telefonata concitata subito dopo una scossa più forte del solito, mi sforzai di tranquillizzarla. E quando la sera lei mi chiamò di nuovo dicendomi che se ne erano sentite altre e che avrebbe voluto dormire fuori con Sofia, nostra figlia, le ripetei quello che l’ultimo dei "miei" esperti mi aveva spiegato poche ore prima: che quelle scosse ripetute non erano preoccupanti, anzi erano tranquillizzanti, perché forse indicavano che la faglia in movimento era a "bassa resistenza", per cui non avrebbe avrebbe fatto danni. Forse.

Lei si fidò. E restò a letto anche intorno a mezzanotte, per quanto spaventatissima, quando la terra sparò un altro bel colpo.

Le giornate successive non furono particolarmente movimentate. Per lo meno, non più movimentate che negli ultimi due o tre mesi. Anzi, la sera del 5 aprile, eravamo in soggiorno, davanti alla tv, mentre ci dicevamo che negli ultimi giorni non c’erano state scosse: "vedi, la botte forte è arrivata ed è tutto finito". In realtà, a ripensarci ora, non ci credevamo affatto. Volevamo crederci.

Quel 5 aprile era domenica. La domenica delle Palme. Era stata una splendida giornata. Sole, bella temperatura, insomma la primavera aquilana. La mattina avevamo fatto una passeggiata fino alla Madonna Fore, e il pomeriggio, dopo esserci goduti il sole sul terrazzo di casa, eravamo andati a un concerto di canti gregoriani alla chiesa di San Giuseppe a piazza San Biagio. Non ero mai entrato in quella chiesa, e mi ricordo che durante il concerto me la rimirai tutta. Non era particolarmente bella, ma mentre la osservavo nei dettagli mi chiedevo come avrebbe reagito se avesse fatto una scossa proprio in quel momento. Gli stessi pensieri di tutti gli aquilani in quei giorni.

Comunque, sì, era stata una splendida giornata. Una giornata serena. Ed eravamo sereni, Anna Lucia ed io, quella sera davanti alla tv. Sofia era già nel suo letto, a dormire, da più di un’ora. Con mia moglie ci dicemmo, a un certo punto, che da un paio di giorni di scosse non se sentivano; forse la botta forte era stata quella di qualche giorno prima ed era tutto finito. Lo dicemmo a voce bassa, quasi che non volessimo svegliare il cane che dormiva. Poi, d’improvviso (e in che modo senno?), un boato, come di una potente scarica elettrica, che arrivava da fuori. Da lì fuori, proprio da dietro la finestra, che credo fosse socchiusa. Eccolo di nuovo quello stronzo! Ci alzammo di scatto e all’unisono dal divano, senza dire una parola, per precipitarci in camera di Sofia. Lo facemmo in modo talmente istantaneo che non mi ricordo di aver percepito la benché minima vibrazione. Di quella scossa sentii solo il rumore macabro. Anzi, mi ricordo che mentre ero chino sul letto di Sofia, che continuava a dormire serena, percepii un tintinnio, qualcosa che muovendosi produceva un suono dolcissimo.

Non posso dire che il terremoto non mi faceva paura, ma in quel momento, più che mai, le gambe mi cedevano e sentivo anche di aver cambiato colore, per quanto tentassi di non darlo a vedere ad Anna Lucia e a Sofia, che nel frattempo avevamo svegliato bruscamente. Mia moglie era spaventatissima: "usciamo, dobbiamo uscire, subito!". "Ma no, dai, dove andiamo?". "Io qua non ci resto, usciamo ho detto!".

In quei mesi non ci eravamo mai mossi di casa. E’ vero che, fino a quel momento, quella era la scossa più forte che ci aveva trovato in casa, ma non ci eravamo mai mossi.
Avvolsi Sofia in una coperta. Io ero vestito di tutto punto, avevo persino le scarpe e il cellulare in tasca. Anna Lucia indossò qualcosa alla meno peggio e uscimmo, silenziosamente e in fretta. Scendendo le scale, con in braccio Sofia, mi resi conto che non si sentiva un fiato. Tutti erano tranquilli nel palazzo, nessuno stava uscendo. Erano quasi le 11 e fuori era piuttosto fresco.

Entrammo nella mia macchina. Quella sera non l’avevo portata in garage ed era proprio sotto casa, davanti al portone del palazzo. "Forse è meglio se ci spostiamo da qui" pensai. Così la portai fino al grande piazzale che si trova proprio in mezzo ai tre edifici del condominio, dove non c’era nulla che potesse cadere dall’alto. Scesi persino a spostare la macchina di mia moglie per parcheggiarla in un punto al sicuro.

Eravamo in macchina. Io al posto di guida, Anna Lucia sul sedile di dietro. Stringeva Sofia ancora avvolta nella coperta. Voltandomi, notai gli occhi spaventati di Sofia. Spaventati non dal terremoto ma dal nostro spavento. In giro non si vedeva nessuno, nessuno aveva deciso di uscire di casa dopo la scossa, non si vedevano luci accese negli appartamenti. Vedemmo uscire solo una coppia di pensionati che abitava in una delle palazzine, salre in macchina e partire per Capestrano. O per lo meno così immaginammo, perché qualche giorno prima li avevamo incontrati al supermercato e ci avevano raccontato di aver già trascorso qualche notte nella casa al paese dopo le scosse più forti. Per il resto, tutto tranquillo.

Ostentavo sicurezza. Così, dopo qualche minuto, cominciai a smaniare: "dai torniamo su, non possiamo mica trascorrere la notte in macchina". Anna Lucia sembrava irremovibile, non voleva proprio saperne di rientrare. E io cominciai a innervosirmi. Forse era passata una mezzoretta quando ebbi un’idea. All’inizio la tenni per me, valutando in silenzio se fosse possibile metterla in pratica a quell’ora di notte. Poi mi decisi, e mentre lo annunciavo a mia moglie presi il cellulare dalla tasca e chiamai mia madre, a Rieti: "mamma, siamo in giardino. Qui c’è stata un’altra scossa. Che ne dici se veniamo a dormire lì?". Anna Lucia andò su tutte le furie, e mi urlava di lasciar perdere quell’idea balsana mentre mia madre, al telefono, mi comunicava che quella notte era un po’ complicato sistemarci in casa, perché avrebbe dormito lì anche mia nipote con un’amica. Ma mia madre ha sempre avuto il terrore del terremoto, forse perché è siciliana del Belice, e a costo di dormire sul pavimento non avrebbe più mollato la presa: "su, di corsa, partite! Vi aspetto".

Io vivo all’Aquila da più di trent’anni, prima da studente universitario e poi per scelta di vita. In più di trent’anni non avevo mai fatto una cosa del genere. Non che quella notte avessi chissà quale presentimento: andare a Rieti era solo un modo per dormire. "Perché - mi dissi in quei minuti – dopo una scossa come quella di poco fà ne arriveranno di sicuro altre, più leggere ma che non ci faranno comunque dormire". E poi guardavo gli occhi assonnati di Sofia e quelli spaventati di Anna Lucia, per cui conclusi che andare a Rieti era il solo modo per riposare quella notte. L’indomani saremmo ripartiti presto per tornare all’Aquila e cominciare normalmente la nostra settimana.

Partimmo. Ma per una buona mezzora mia moglie non fece altro che dirmene di tutti i colori; non era per niente d’accordo con quell’improvvisato viaggetto notturno. "Niente da fare! Ormai ho deciso, si va a Rieti". E poi l’alternativa quale sarebbe stata? Dormire in macchina? Non se parlava davvero. La soluzione più sensata era tornare in casa. Ma per una qualche ragione che ancora oggi mi sfugge, quella notte la soluzione più sensata fu l’unica che non presi in considerazione.

Eravamo in viaggio. Mia moglie si era ormai rassegnata a trascorrere la notte da mia madrea, e aveva avvisato al telefono anche i suoi. Anzi, li aveva "caldamente" invitati ad uscire di casa, ma non c’era stato nulla da fare: Milena, mia cognata, l’indomani doveva lavorare e non poteva perdere sonno.
Arrivammo a Rieti che era più o meno l’una. I letti erano già pronti. Anna Lucia ed io nella seconda camera, Sofia in cameretta. Ormai ci eravamo tranquillizzati. Eravamo lontani e al sicuro. Ma poi, al sicuro da cosa? Da qualche scossetta di assestamento? Prendemmo sonno facilmente. Del resto quella domenica delle Palme era stata una giornata serena ma piuttosto intensa.

Non so da quanti secondi la casa aveva cominciato a oscillare quando aprii gli occhi. Anna Lucia con una mano mi stringeva forte un braccio. Destra sinistra... destra sinistra... un terremoto vero, silenzioso da far paura, lungo, interminabile. Evidentemente non stavo dormendo quando ebbi l’impressione di svegliarmi, perché la casa continuava a oscillare, anzi l’oscillazione si fece a un certo punto più rapida, e io ero già in piedi. Ricordo le mie uniche parole mentre uscivo dalle coperte: "ma che cazzo sta a succede all’Aquila?!". Nemmeno per un istante dubitai che quella scossa stesse arrivando proprio dall’Aquila. Sentii mia madre urlare con la voce strozzata... "Oddiooo!". Passando, la vidi in piedi accanto al suo letto, con le mani sulla testa. Ma non mi fermai. La casa continuava a oscillare. Mi precipitai nella cameretta dove Sofia stava dormendo. E in effetti stava ancora dormendo.

La sollevai stringendola, e la svegliai. L’impressione fu che la casa stesse ancora oscillando, ma forse no. Erano le mie gambe che cedevano. Forse, ma non ne sono certo, Anna Lucia mi gridò di chiamare i suoi all’Aquila. Corsi nella camera di mia madre, afferrai il telefono. Feci il numero di casa dei miei suoceri, ero sicuro che avessero sentito anche loro quella scossa.
Non ricordo granché di quei momenti. Dopo pochi squilli mi rispose mia cognata. Non ricordo se ebbi il tempo di dire qualcosa. Ricordo solo quelle due parole: "fatece scappa’!".

Fu in quel momento, un attimo prima di scoppiare a piangere abbracciando forte mia figlia e mia moglie assieme, che ebbi la certezza che qualcosa di tremendo era appena accaduto.

Forse, ma solo forse, ringraziai me stesso per quell'idea balsana di andar via dall'Aquila.
Di sicuro, in quel preciso momento, capii che quello era anche il mio terremoto. Anzi, in quel momento cominciava il mio terremoto.

Anche se io quella notte non c’ero.

Pubblicato in Abruzzo

Il Filo della Memoria:racconti, storie e testimonianze

FIL - Il sentimento dei luoghi

L'Aquila emotion